Wa Tho Huch, forse il più grande

Ogni anno ci spero. Che qualche giornalista italiano si ricordi di raccontare la storia di Wa Tho Huch cioè Sentiero lucente. Era noto anche come Jim Thorpe ma temo che, con qualunque di questi nomi, poche persone – anche fra quelle che leggono questo blog – sappiano di chi sto parlando. Peccato.

Jim Thorpe ovvero Wa Tho Huch (Sentiero lucente) è morto il 23 marzo del 1952: ma in un Paese come l’Italia che pure si esalta per gli anniversari sportivi quasi mai si parla di lui. Probabilmente è stato il più grande atleta di tutti i tempi, di certo il più completo dell’era moderna. Quel prudente «probabilmente» significa: per ciò che sappiamo, visto che delle Olimpiadi greche (o comunque dello sport nell’antichità) ben poco conosciamo. Ma la sua purtroppo è soprattutto una storia di inganni e razzismo. Gli tolsero le medaglie olimpiche. La sua vera colpa? Era un pellerossa.

Ecco come, nel 1996, io e Riccardo Mancini riassumemmo la sua storia nell’antologia «E lo sport si fece mondo», edito da La Nuova Italia. La scheda risulta firmata Gianni Boccardelli che è un mio pseudonimo (ma questo ovviamente è un particolare senza importanza).

Solo nel 1982 il Cio (Comitato internazionale olimpico) revocò la squalifica «per professionismo» a Jim Thorpe, ovvero Wa-Tho-Huch, «Sentiero lucente», il pellerossa della nazione Algonquin che trionfò alle Olimpiadi di Stoccolma nel 1912. Una piccola storia ignobile di ingiustizia e razzismo che vale la pena conoscere. […] L’allora sconosciuto Jim Thorpe gareggiò nel pentathlon e vinse con risultati straordinari per l’epoca: 7,07 nel lungo; 46,41 col giavellotto; 33,57 con il disco; 4’44”8 sui 1500 metri e 22’09 sui 200 metri. Già che c’è (Thorpe) partecipò anche alle gare del salto in alto e lungo dove arrivò solamente quarto e settimo rispettivamente. Ma il successo più clamoroso lo ottenne nel decathlon e in almeno 4 gare (su 10) fece registrare risultati che lo avrebbero portato a vincere medaglie anche in quelle specialità (individuali) se avesse partecipato alle finali. […] Retorica vuole che, nel dargli la medaglia d’oro, re Gustavo di Svezia abbia detto: «signore, lei è il più grande atleta del mondo». All’inizio del 1913 però un giornalista (statunitense) vide una fotografia di Wa-Tho-Huch in tenuta da football. In cerca di uno scandalo indagò e scoprì che nel 1909 (Thorpe) aveva giocato sia a baseball che a football per qualche decina di dollari al mese. La federazione Usa di atletica leggera lo squalificò a vita. Fu costretto a restituire le medaglie e il suo nome venne cancellato dall’elenco dei vincitori olimpici.

La “faccia pulita” dello sport avrebbe voluto che a quel tempo tutti si fossero molto dispiaciuti per Sentiero lucente. La verità è ben diversa. In primo luogo, nessuno mosse un dito per difendere il pellerossa Thorpe, nonostante  episodi di “professionismo” (più o meno mascherato) fossero già allora tollerati. In secondo luogo, il clima olimpico era ben diverso da quell’ideale di “fratellanza” attribuito a De Coubertin e soci: soprattutto non piacquero agli organizzatori delle Olimpiadi le vittorie di neri, indiani e di un hawaiano contro i bianchi; al punto che gli Usa ritirarono dalla finale dei 100 metri di Stoccolma il più veloce, un afro-americano, per far vincere il connazionale bianco. […] Wa-Tho-Huch protestò. Inutilmente. […] Cominciò a bere. Nel 1952 finì all’ospedale dei poveri di Filadelfia. E il 23 marzo venne trovato morto in una vecchia roulotte.

A questa scheda molto scarna c’è poco da aggiungere. Alcuni studiosi danno per certo che il complotto contro Thorpe fu costruito a tavolino. A lui dedica alcune pagine Rudi Ghedini nel suo «Il compagno Tommie Smith e altre storie di sport e politica» uscito da Malatempora nel 2008, con la prefazione di Silvia Baraldini: un libro che consiglio a chiunque voglia capire come la passione, la gioia, la sfida, l’alta retorica si mescolino nello sport con la strumentalizzazione, l’inganno, le molte e brutte facce del razzismo e del sessismo. Ghedini ricorda che nel 1951 uscì «Pelle di rame», un film di Michael Curtiz (con Burt Lancaster) ispirato alla vita di Wa-Tho-Huch e che il 30 gennaio del ’98 le poste Usa gli dedicarono un francobollo. Ma forse la miglior riparazione di quell’ingiustizia è in una piccola nota di cronaca datata 1969 che Ghedini ricorda così: «Grace Thorpe, figlia di Jim, fa parte del primo gruppo di pellerossa che nel novembre del ’69 occupa l’isola di Alcatraz, al largo di San Francisco. Chiedono il rispetto dei Trattati firmati dal governo con le tribù indigene […] Sull’ isola si radunano più di 600 nativi americani, in rappresentanza di oltre 50 tribù. Il Red Power Movement reclama i propri diritti sull’isola […] Intendono trasformare Alcatraz in un centro studi sui popoli indigeni, offrono lo stesso prezzo pagato ai nativi per l’isola di Manhattan, 300 anni prima: 24 dollari in perline di vetro». Alla fine le truppe federali cacciano i pellerossa ma la lotta non è finita. Anche oggi le “ombre rosse” continuano a esigere i loro diritti violati e le loro terre che furono rubate come le medaglie tolte con l’inganno a Sentiero lucente.

Redazione
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Un commento

  • Davvero commovente. Fossi in Clooney, sempre che i paparazzi italiani non l’abbiano rincoglionito troppo, ci farei su un bel film di peso. Il momento sarebbe favorevole, con la riforma della sanità nel cassetto. O Clooney l’ha già fatto e mi sono perso pure questo oltre a “Pelle di rame”?
    zzz

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