Yerka e non Yerka / 10

Artisti a confronto – di Mauro Antonio Miglieruolo

PRIMA PARTE: YERKA

Variante meglio definita di una immagine già inserita. Uguale a tanti altri artisti, Jacek Yerka usa introdurre piccole varianti in un testo sospinto dalla necessità (necessità più che ambizione) di approdare alla perfezione. Prima ancora di consentire alle richieste dei critici e del pubblico, l’artista risponde a questa ansia di perfezione che è nell’essere umano.

Quando il pittore, il musicista, il poeta, lo scrittore non riesce a dare senso compiuto a un’idea, quell’idea gli si ripresenta costantemente, finché non acquisisce una forma accettabile. Solo allora si attenua o scompare.

A volte però accade che il creatore, come sembra sia successo al Creatore (maiuscolo), si stanchi di essa, se ne disgusti persino. Effettivamente, a quel punto, smette di inseguirla.

 

Lo stesso vale per l’immagine di cui sopra. La si può ritrovare altrove, con alcune differenze nei particolari (vedi ad esempio in Yerka 3).

Il fascino però non diminuisce.

 

Idem

 

Tema consueto. Svolgimento inconsueto.

 

Un villaggio vacanze frutto della commistione di mille villaggi vacanze, alieni e non alieni.

 

Nella versione a colori, sopraffatto dall’originalità e armonia del risulatto, l’occhio distratto non nota particolari invece decisivi, in grado di guidare la mente sulle tracce di un apologo, una storia con un suo senso segreto.

È all’interno di una stanza nuda che l’essenza della vita è nascosto. Un cuore dentro il quale un occhio guarda e ascolta.

Solo attraverso lo scadaglio dell’udito il mondo può entrare. I suoni, alias parole, sono il suo lasciapassare. In quell’ascolto si esaurisce il senso dell’essere e della relazione con gli altri esseri. La vita non è altro che amplificazione ed elaborazione degli impulsi che il mondo esterno invia  ai sensi. Il mondo è parola.

 

Un paesaggio innevato che restituisce il senso nuovo di un Natale che è stato e ora non è più, che invita alla pace, alla tranquillità.

La neve, essenza magica; significato che purtroppo la parola “nevicata” non riesce ad esprime. È bene però riflettere sulla serenità con la quale viene accolto il silenzio soffice dei fiocchi che cadono. Si osserva e si tace, in rispettoso silenzio del silenzio.

Può essere che la troppa neve dia luogo a disastri. La mente, il cuore non considerano. Perché è con la neve che i pericoli diminuiscono. Ognuno se ne sta rintanato per difendersi non solo dal freddo, in casa o all’aperto ben poche minacce possono raggiungerlo. L’unica davvero temibile è che si sfondi il tetto.

Non più fango, nemmeno terra, ma il soffice bianco d’una materia che appare ed è (era) immacolata. La case continuano ad arrampicarsi sugli alberi, ma più per starsene raccolti (ben caldi per quell’essere insieme, vicini) che per un bisogno d’elevazione che forse non è nemmeno è sentito. Di quel sentimento non si ha bisogno. Il mondo è già elevato. Più in alto non si può.

 

Chi non vorrebbe avere parte in un laboratorio tanto ricco di attrezzi eppure tanto misterioso?

Impossibile sapere dove sia situato. Sopratutto dove porta lo stretto passaggio di scalini, una apparente via di fuga dall’immobilità eterna di un luogo che forse non è frequentarto da mille anni. O è frequentato da presenze gelose che mal sopportono intrusioni.

 

Dopo la Decima Guerra Mondiale, confinati in un casolare, i superstiti contemplano il mondo di teschi che ne è il risultato. Calamità su calamità, anche l’ultimo rifugio è sospeso su un vuoto che può essere e non essere la fine definitiva.

In altra immagine questa fine è sanzionata da un incendio che rode alla base il casolare.

 

SECONDA PARTE: Tomek Setowski

 

 

 

 

Il miglior Setowski

 

 

 

continua sabato prossimo

 

Miglieruolo
Mauro Antonio Miglieruolo (o anche Migliaruolo), nato a Grotteria (Reggio Calabria) il 10 aprile 1942 (in verità il 6), in un paese morente del tutto simile a un reperto abitativo extraterrestre abbandonato dai suoi abitanti. Scrivo fantascienza anche per ritornarvi. Nostalgia di un mondo che non è più? Forse. Forse tutta la fantascienza nasce dalla sofferenza per tale nostalgia. A meno che non si tratti di timore. Timore di perdere aderenza con un mondo che sembra svanire e che a breve potrebbe non essere più.

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