Clelia Farris e «La consistenza delle idee»

Intervista di Ignazio Sanna

Clelia Farris è una scrittrice molto raffinata. Sia per quanto riguarda i contenuti di ciò che scrive che per i mezzi linguistici che utilizza. E viene dalla Sardegna, vale a dire dalla provincia dell’impero. Certo, è vero che dall’isola sono venuti fuori, soprattutto in tempi recenti, anche autori importanti, dal premio Nobel nuorese Grazia Deledda al suo concittadino Marcello Fois. Ma Clelia Farris è, o perlomeno sembra essere, un unicum, molto lontana sia dai nomi più di spicco che dai tanti epigoni che ormai la Sardegna esporta con generosità nell’editoria della penisola italiana.

La consistenza delle idee (Future Fiction, 2018, p 181, 8,13 €) è una raccolta di racconti per certi versi spiazzante, a tratti anche disturbante, fino a lambire il grottesco, come in alcuni passi di “Chirurgia creativa”. Ma sempre di alto livello qualitativo.

Mentre scrivo queste righe la radio sputa fuori Song 2 dei Blur (https://www.youtube.com/watch?v=SSbBvKaM6sk), il che, chissà poi perché, mi fa venire in mente un paragone musicale con la nostra autrice: i Flying Lizard che alla fine degli anni Settanta coverizzavano un classico di fine anni Cinquanta: Money (https://www.youtube.com/watch?v=E-P2qL3qkzk, https://www.youtube.com/watch?v=3_iQZiVD_zA ) (rifatta anche dai Beatles nel 1963: https://www.youtube.com/watch?v=CeWjEYhk7Xo). Nell’operato di entrambi gli artisti, il gruppo inglese e la scrittrice cagliaritana, convivono felicemente iconoclastia punkish e amore per la tecnologia fantastica, tendente al surreale.

Clelia Farris è una scrittrice molto raffinata. E una persona riservata, misteriosa perfino, come a volte sappiamo essere noi sardi. Credo proprio che se la leggerete non potrete che amarla.

Intervista a Clelia Farris

Una delle cose che mi hanno colpito leggendo i racconti de La consistenza delle idee è la totale assenza di connotazioni femminili nella tua scrittura (penso alla scelta del punto di vista del narratore o alla glaciale asperità di certe situazioni narrative), come se alla sua base ci fosse l’idea, probabilmente inconscia, che più la narrativa è di qualità, più è sganciata da stereotipi di genere, nel bene e nel male. É così o c’è qualcos’altro?

«Molti scrittori hanno utilizzato il punto di vista di un personaggio femminile: senza andare a cercare il solito Flaubert, lo splendido La regina degli scacchi di Walter Tevis, per esempio, o La bella estate di Cesare Pavese.

Poter cambiare sesso e forma è uno dei privilegi della scrittura, ma ritengo che il narratore debba mantenere comunque un certo distacco dai suoi personaggi, anche quando la storia è raccontata in prima persona. In caso contrario, si corre il rischio che i limiti e le banalità dell’autore in quanto individuo finiscano per inquinare i personaggi.

Penso che la creatività vada oltre la persona, piccola e insignificante, che è l’autore. L’autore è il tramite, il ripetitore di un flusso più grande.

Devo dire, però, che solo da pochi anni riesco a scrivere storie con protagoniste femminili. Sono cresciuta ritenendo che soltanto le figure maschili potessero stare al centro della scena, le donne erano tutt’al più delle interessanti comprimarie. Oggi mi accorgo che la cosiddetta “questione femminile” è sempre più universale, tocca problemi ampi: la libertà collettiva, la libertà individuale, la diversità dell’essere rispetto a una norma naturalizzata.

Credo che il futuro ci riservi un punto di vista sempre meno maschio-centrico e sempre più altro-centrico. Con altro intendo chiunque incarni una cultura diversa, un’etnia diversa, una sessualità diversa».

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Un’altra caratteristica della tua scrittura è la precisione chirurgica con la quale utilizzi il lessico messo a disposizione dalla lingua italiana, in totale controtendenza rispetto al chiacchiericcio vuoto, spesso sintatticamente e lessicalmente povero, quando non addirittura misero, che caratterizza il modo di esprimersi dei politicanti che vanno per la maggiore attualmente, con rare eccezioni, e di tutta la pseudo-cultura televisiva (o di origine televisiva e mediatica in generale) che ammorba la società italiana contemporanea.

«Giocare con le parole mi è sempre piaciuto e, come tutti i giochi, diventa un’attività molto seria. Il divertimento maggiore l’ho avuto quando ho inventato la strana lingua di Sirah, un personaggio de La pesatura dell’anima, che utilizza termini arcaici, parole inventate e qualche locuzione sarda.

Di recente ho scoperto che mi piace mescolare sardo e italiano. Un sardo spurio, com’è quello che si sente a Cagliari.

Subisco poco l’influenza televisiva o social, perché da molti anni non ho più la tv, preferisco ascoltare la radio, e non ho blog o pagine Facebook».

 

L’atmosfera generale rimanda a quelle di autori importantissimi come George Orwell o Aldous Huxley e in parte anche Philip Kindred Dick. Quindi le coordinate di riferimento sembrano essere principalmente quelle della distopia. “Un giorno da ricordare” sembra rimandare invece a precisi echi ballardiani (Deserto d’acqua per esempio), e non soltanto nell’ambientazione. Inoltre in questo e altri racconti (come il riferimento in “Gabola” a Tuvixeddu, il colle sul quale sorge un’importante, e mal gestita, necropoli punica) i riferimenti alla cagliaritanità nei nomi di luoghi e persone dà un tocco stranamente familiare per noi sardi, e probabilmente un tocco di esoticità in più a tutti gli altri.

«Huxley, in modo particolare. Ho sempre ritenuto Il mondo nuovo superiore a 1984. Una storia piena di umorismo nero, scritta in maniera molto moderna, carica della disperazione di chi vede realmente dove sta andando l’umanità. Sono più spaventata dai regimi “morbidi”, dalla dittatura del sorriso e della felicità, piuttosto che dalle atmosfere plumbee di Orwell. E non dimentico la lezione di Ursula Le Guin: anche il luogo più benevolo del cosmo può essere opprimente per la libertà umana. Ogni riferimento a I reietti dell’altro pianeta è fortemente voluto.

I racconti ambientati a Cagliari sono nati quasi per caso.

Durante la settimana della scienza ho seguito la conferenza di un geologo che parlava dei cambiamenti climatici e, nello specifico, di come sarebbero cambiate le coste della Sardegna se il livello del mare fosse cresciuto.

Un giorno da ricordare” è ambientato nel mio quartiere, Is Mirrionis. Sì, la storia può ricordare Deserto d’acqua, ma io ero più interessata al deserto emotivo della protagonista, al suo sentirsi vinta e inutile.

Tuvixeddu è un luogo speciale, emana un’energia particolare. La prima volta che ci sono stata ho pensato “questa è la nostra Zona. Qualcuno vi ha lasciato un influsso misterioso, come gli oggetti extraterrestri finiti nella Zona di cui parlano i fratelli Strugatzki”.

Al posto dello stalker è saltato fuori Gabola e io ci ho aggiunto il contorno di una Cagliari in bilico fra tradizioni e innovazioni futuristiche. Mi è piaciuto molto giocare coi nomi sardi di alcuni personaggi e con la sintassi della parlata cagliaritana».

 

L’ultimo racconto della raccolta, “Rebecca”, è con tutta evidenza una riscrittura del celebre film di Hitchcock del 1940, quello con Laurence Olivier e Joan Fontaine, e/o dell’omonimo romanzo (1938) di Daphne Du Maurier dal quale è tratto. Qual è il tuo rapporto con il cinema e l’arte audiovisiva in generale (si pensi a una serie come Black Mirror) e come influenza la tua scrittura?

«Ho visto il film di Hitchcock da bambina e ho letto il romanzo da adulta, pochi anni fa. Il racconto è scaturito dalla forte sensazione di ingiustizia che emerge dal romanzo. Trovo che Du Maurier sia stata troppo di parte e non abbia visto le ragioni di Rebecca, presentata come una cattiva a tutto tondo da un punto di vista (quello della seconda moglie di de Winter) parziale e limitato.

Parlando di arte audiovisiva hai toccato un tasto forte. Sono cresciuta davanti alla tv, guardando i film di grandi registi. Hitchcock per me è il regista per eccellenza, capace di raccontare una storia solo con le immagini. Probabilmente l’educazione cinematografica ha condizionato la mia scrittura. Tendo a descrivere molto ciò che “vedo”, evitando però troppi dettagli (nel cinema i dettagli sono mostrati solo quando sono significativi per la storia). Se mi è utile, però, posso aggiungere le descrizioni olfattive e tattili, un vantaggio che il cinema non ha ancora raggiunto».

 

Quali sono gli autori (non solo letterari) che ami di più e che, eventualmente, ti hanno influenzato?

«I fumetti e i fumettisti. Miyazaki, per esempio. Come si fa a scrivere fantascienza e a non amare Conan – Il ragazzo del futuro? Da ragazzina mi piacevano gli X Men, da cui sicuramente ho derivato i miei concetti di alterità e corpi mutanti.

Riflettendoci meglio, un conto sono gli autori che mi piacciono, altro quelli di cui subisco l’influenza. Temo di non avere un modello di autore o autrice, credo di essere più suggestionata dai luoghi, dall’ambiente che mi circonda. Di sicuro vivere in Sardegna influenza le mie storie. Non c’è racconto o romanzo in cui io non metta un pezzetto della mia isola».

IN “BOTTEGA” potete leggere la recensione di Maria Paola Masala: Clelia Farris: «Se il nemico si annida… e l’introduzione – di db – al libro: Clelia Farris? Minimo un brindisi … ma anche numerosi articoli di (e su) Clelia Farris e persino qualche suo racconto. Sì, da queste parti, la amiamo molto.

 

Ignazio Sanna

2 commenti

  • Grazie per l’accostamento ai Blur. Li preferivo di gran lunga agli Oasis.
    Clelia

  • Clelia, sei sempre più sorprendente 🙂 La penso esattamente allo stesso modo. Non c’è proprio paragone tra i due. Ma in realtà l’accostamento è ai Flying Lizards di David Cunningham, secondo me molto vicini alla tua scrittura quanto a capacità di evocare un certo tipo di atmosfera, come in Her story: https://www.youtube.com/watch?v=_-qqeHr8WrQ (e siamo nel 1979!)

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