11 maggio: l’eccidio del 1920 a Iglesias…
… nel racconto di studenti e studentesse
di Benigno Moi con Marina Muscas e Gianni Persico
PREMESSA
S’undixi de maju
de su millinixentus’e binti/
po cantu eusu a bivi
sar’arregordai
L’undici di maggio
del millenovecentoventi
per quanto vivremo
sarà ricordato
*Poesia d’autore anonimo composta subito dopo l’eccidio, riportata da Salvatorico Serra
Questa scor/data trova spunto, come in un gioco di specchi, dal ricordo della prima commemorazione, realizzata in forma drammaturgica da studentesse e studenti, di un eccidio di minatori da parte delle forze di polizia. Eccidio praticamente dimenticato in Italia e nella stessa Sardegna; quantomeno molto meno noto di quello di Buggerru del 1905, 15 anni prima.
Ma non è più scordato a Iglesias, dove nel 2008 le scuole cittadine, col supporto del Comune (e di alcune associazioni) rievocarono i fatti dell’11 maggio 1920, quando l’esercito sparò sui minatori in sciopero nel centro della città mineraria.
In realtà già tre anni prima (nel 2005) l’Istituto comprensivo del quartiere di Serra Predosa, oggi Istituto Costantino Nivola, con la collaborazione dell’attrice Nicoletta Pusceddu, realizzò una rappresentazione teatrale degli eventi nella piazza del Municipio, aperto a tutta la popolazione.
Da allora sono gli studenti della scuola media Eleonora d’Arborea che ogni anno rievocano, con grande forza emotiva, l’eccidio.
I FATTI DEL 1920
Maggio 1920, la prima guerra mondiale è finita da un anno mezzo ma continua ad esserci il razionamento dei generi alimentari, in vigore dai tempi di guerra, quando la priorità nei rifornimenti era riservata all’esercito. Buona parte dei comuni del comprensorio minerario dell’Iglesiente sono amministrati da sindaci socialisti; le lotte operaie dell’immediato dopoguerra danno forza a sindacati e organizzazioni dei lavoratori, che stanchi di non avere neanche il minimo indispensabile per sopravvivere si mobilitano e portano avanti continui scioperi e rivendicazioni.
L’8 maggio i minatori delle miniere di Monteponi si astengono dal lavoro e si recano davanti al palazzo della Sottoprefettura di Iglesias per chiedere aumenti salariali e, soprattutto, la fine dei razionamenti. Il sottoprefetto Farina, alla presenza del sindaco socialista Angelo Corsi, promette di farsi portavoce delle loro richieste, e i minatori tornano a lavoro.
La direzione della miniera, per ritorsione, decide di decurtare dal salario dei minatori l’equivalente della mezza giornata di lavoro “persa” nella manifestazione. Dopo aver tentato inutilmente di far revocare il provvedimento, i minatori, martedì 11 maggio 1920, tornano in massa, ad Iglesias dal Sottoprefetto, con mogli e figli, chiedendo al vicedirettore della miniera, Binetti, di accompagnarli per trattare l’annullamento della decurtazione.
Il corteo, circa tremila persone, trova la strada verso la Sottoprefettura sbarrata da un reparto di carabinieri armati. L’ingegner Binetti, sentendosi rassicurato dal rovesciamento di forze lascia la delegazione dei minatori e si nasconde dietro i carabinieri. Alle urla e alle proteste dei manifestanti, che intendono comunque arrivare in Prefettura, i carabinieri rispondono sparando ad altezza d’uomo, uccidendo alcuni minatori.
I dimostranti indignati avanzano e ci sono altri scontri e altri spari. Fino a quando, grazie alla mediazione del sindaco, i carabinieri abbassano le armi e la manifestazione si scioglie, in una città che di colpo si blocca, chiudono i negozi, si sbarrano porte e finestre e viene proclamato il lutto cittadino.
Il giorno dopo cinquemila persone partecipano ai funerali dei sette minatori uccisi. In seguito si scoprono i documenti che dimostrano che già dal gennaio il Sottoprefetto aveva chiesto rinforzi militari, consapevole che il malessere dei minatori e delle loro famiglie sarebbe potuto sfociare in proteste decise e di massa. Nell’Iglesiente, come nel resto dell’isola e in tutta Italia, cominciano gli anni della repressione delle istanze operaie e dei contadini ex combattenti, che aprono le porte al ventennio di regime fascista.
Le vittime sono Raffaele Serrau di 23 anni, Pietro Castangia di 18, Emanuele Cocco di 37 anni, Attilio Orrù di 40, tutti di Iglesias, Efisio Madeddu di Villaputzu, di 40 anni, Salvatore Melas di Bonarcado, di 50 anni e Vittorio Collu di Sarroch di 18 anni.
IL RICORDO
Già negli anni settanta del secolo scorso Iglesias, anche grazie al lavoro del sindaco di allora Armando Congiu, in occasione della ricorrenza ricordava i suoi minatori uccisi con cortei e omaggi alla targa/monumento dedicata alle vittime dell’eccidio.
Allora si trattava di manifestazioni prevalentemente politiche, segno del clima di partecipazione che caratterizzava quegli anni, con il PCI e i gruppi della sinistra extraparlamentare ben presenti e attivi, sia a livello nazionale che a livello locale.
Le commemorazioni degli ultimi anni hanno un carattere meno militante e vedono appunto i ragazzi come protagonisti, in maniera anche giocosa come può esserlo una drammatizzazione in costume.
Qui non ci interessa confrontare i diversi modi di rievocare un fatto storico che ha comunque segnato tutta la comunità, tantomeno dare giudizi di valore. Ci interessa piuttosto sottolineare l’importanza del ricordare, e di farlo coinvolgendo i più giovani, anche nella ricerca e nell’approfondimento, senza lasciare che l’oblio o la falsificazione storica possano travisare i fatti e sminuirne il valore.
Con questo spirito nacque il coinvolgimento delle scuole, come racconta una delle protagoniste, l’insegnante Marina Muscas, che con Nicoletta Pusceddu e Gabriella Azzena, del settore Pubblica Istruzione del Comune di Iglesias, resero possibile l’evento che poi si è sempre ripetuto, sino a quando lo ha bloccato il covid.
Testimonianza di Marina Muscas
“Il lavoro di quegli anni, dal 2005 in poi è stato molto significativo e bello, per bambini e adulti. Partiva dalla constatazione che nella società attuale, dove il cambiamento è continuo, rapidissimo e complesso, il contrasto fra un passato molto recente e il presente è molto forte. I giovani di oggi sanno ben poco della vita dei loro padri e dei loro nonni perché si è spezzato quel legame di continuità fra generazioni e tra mondo agricolo-minerario e città; si è molto ridotta quella trasmissione orale che ha costituito molta parte del bagaglio culturale di chi è stato giovane solo quarant’anni fa.
C’è stato un bisogno genuino, reale di ricerca di memorie come bisogno collettivo di ritrovarsi in un passato che desse il senso di continuità culturale là dove al contrario c’è stata discontinuità e sradicamento. E ciò era quanto vero non solo per i bambini ma anche per gli adulti, insegnanti e genitori.
Adulti figlie e figli di minatori, di genitori di una umanità profonda, cresciuti tra rinunce, fatiche, povertà, battaglie quotidiane, di poche parole, sobri, essenziali, orgogliosi, chiusi, disposti a lavorare aspramente per vedere i propri figli crescere meglio di loro. Lontano dalla miniera. Perché i propri figli studiassero, non parlassero solo il sardo, si preparassero a fare altro.
Con l’attrice e regista Nicoletta Pusceddu abbiamo cercato di dare vita a quel paesaggio minerario e a quelle storie che ci portiamo dentro nell’anima, ma anche nel sangue, nei polmoni, nella sordità, nel tremore e che l’antropologo Pietro Clemente ha espresso tanto bene: “Queste terre violate raccontano storie finite, sono musei per eccellenza, raccontano epoche compiute ma vicine a noi, raccontano soprattutto la modernità: società internazionali che investono, usano territori, danno lavoro, esauriscono sottosuoli, seguono le leggi del mercato, abbandonano siti, lasciano sul lastrico uomini con abitudini secolari, spingono gente a chiedere che le miniere siano aperte in eterno, siano rivalutate, riusate…”
E con Nicoletta Pusceddu e tante amiche e tanti amici abbiamo continuato imperterrite in quegli anni a parlare di miniere con i bambini e le bambine: interviste, visite guidate, rappresentazioni teatrali, filmati, murales, album di figurine, animazioni nelle piazze, per conoscere, per capire, per non dimenticare.
Perché dovevamo riscattare la nostra storia. E la storia dei vinti del mondo, la storia dei nostri padri minatore e delle nostre madri per dare senso e responsabilità alla nostra esistenza e al nostro futuro.
Abbiamo raccontato così alcune vicende dell’epopea mineraria degli inizi del secolo scorso, vissuta anche da donne e da uomini dipendenti, subordinati, malati nei polmoni e nelle ossa, che ha pagato con il sangue delle pallottole di piombo le battaglie per il pane. E questo è stato l’11 maggio 1920.
In questi dieci anni, per me, c’è stato il fatto che mi è sembrato più importante riflettere non sul passato, ma trarre dal passato elementi per diventare più forte nella storia presente e futura. Per capire che certe cose non le possiamo più fare, che dobbiamo pensare, trovare un altro modo di approcciarci all’economia, alla nostra terra e alla sua vita.
Dobbiamo superare una cultura che ha sfruttato la terra e le persone senza limiti, quella cultura che oggi viene chiamata estrattivismo, non reciproca ma predatoria rispetto alla natura, e che ha spezzato le leggi della natura (e non riguarda solo l’estrazione di minerali o di idrocarburi, ma anche l’agricoltura industriale).
Noi, nonostante le miniere fossero chiuse, abbiamo continuato ad essere figli della miniera anche in questo, accettando qualunque cosa ci venisse proposto e continuando per tanti anni, a perpetrare la medesima storia: dalle centrali a carbone o a biomassa, alle ipotizzate coltivazioni di canne per produrre energia, alle fabbriche di bombe …
Ma nel presente e nel futuro con tanti giovani e adulti insieme, con la nostra consapevolezza storica e la nostra coscienza biofila di oggi, aspiriamo a scrivere un’altra storia, rigenerativa”.
Marina Muscas è andata in pensione, non si occupa più in prima persona delle commemorazioni dell’11 maggio, ma continua il suo impegno in difesa del territorio, dando alla memoria e alla storia della sua comunità una continuità nella partecipazione e nell’impegno nelle problematiche del presente.
Negli ultimi anni, e con la volontà di riprendere quanto prima possibile, a coordinare la preparazione e gestione degli eventi c’è un altro insegnante, Gianni Persico.
Testimonianza di Gianni Persico
Quello che l’Istituto Comprensivo Eleonora d’Arborea di Iglesias mette in scena ogni anno, alle ore 10 dell’11 maggio, è un momento il cui valore emotivo supera le aspettative di chiunque possa pensare che di tratti di adolescenti vestiti come 100 anni fa.
Dal 2008 è diventato un rito collettivo che anima l’intera comunità, atteso come forse quasi nessun altro evento cittadino. In perfetto stile da teatro greco, la città si dispone a cerchio attorno al palcoscenico di Piazza Municipio, si emoziona fino alle lacrime per poi sciogliersi in un applauso catartico, il tutto nella breve spanna temporale di meno di dieci minuti.
Sono oltre un centinaio di alunni e alunne di età tra i 10 e i 14 anni che si preparano per mesi, imparando a cadere e a piangere, con l’obiettivo di rappresentare fedelmente quel momento e di suscitare nel pubblico le stesse emozioni di chi quel giorno era lì. Ci sono tutte le dramatis personae, dal Sindaco al Commissario ai Regi Carabinieri, alle decine di donne cernitrici o madri di famiglia con figli al seguito, scalze e vestite di cenci, sporche e spettinate come la realtà del tempo ci racconta. Una miscela di fame e orgoglio, rabbia e paura, innescata dalla sirena di miniera che segnala l’inizio della rappresentazione, che esplode con il corpo a corpo e le fucilate che risuonano in tutta la città.
Grazie a questo progetto la città ha riesumato dall’oblio una delle pagine più tristi e meno conosciute della sua storia recente, destinata da quel processo di rimozione della cultura mineraria avviatosi, spesso con dolosa intenzionalità, negli anni ’90 a finire probabilmente nella storiografia per specialisti invece che nella memoria di ogni cittadino e cittadina Iglesiente. Questo progetto ha ricreato un senso di appartenenza e di identità, agendo soprattutto sulle giovani generazioni che poco sapevano della vita dei loro antenati e che adesso ogni anno ricercano come piccoli storici, nelle vicende nascoste dei loro nonni, le motivazioni per diventare, in scena, quei minatori urlanti e quelle donne disperate che chiedevano solo un pezzo di pane.
Negli anni, il nostro progetto ha incluso anche Nebida, Buggerru e Gonnesa in un tentativo di creare una rete di comunità minerarie che avevano visto in quegli anni tanto sangue dei lavoratori sparso nelle lotte per i diritti e per la dignità.
Il 2020 era l’anno del Centenario e purtroppo l’epidemia ha fermato la rappresentazione, così come nel 2021. Ma torneranno tempi migliori. La scommessa è che il seme gettato a scuola diventi radice, pianta, rami e tronco di una nuova generazione conscia del proprio passato e in grado di pensare, con strumenti adeguati, a un futuro dignitoso da persone libere.
Ogni anno, invariabilmente, piango.
L’ECCIDIO DI IGLESIAS NELLA CULTURA E NELL’IMMAGINARIO
I fatti del maggio 1920 ebbero da subito una vasta eco nell’immaginario popolare, l’emozione e lo sdegno suscitati dalla brutalità della repressione, 15 anni dopo l’eccidio di Buggerru hanno ispirato artisti e poeti, oltre che stimolato storici e ricercatori. Rispetto ai fatti del 1905 bisogna sottolineare che si era agli albori dell’avvento del fascismo, e qualsiasi narrazione doveva tenere conto di censure e mistificazioni di regime. Il fascismo rese illegali anche le tradizionali gare poetiche in lingua sarda, diffuse in tutte le sagre e feste patronali, gare che spesso diventavano occasione di palese o velata critica politica.
Poesia e canti popolari
Oltre alla poesia d’autore anonimo citata in premessa, un’altra poesia, scritta dal poeta Iglesiente d’azione Efisio Collu, che partecipò personalmente alla prima commemorazione del 2005, è diventata uno degli emblemi del ricordo dell’eccidio, “11 de maju 1920”, contenuta nell’opera “Ouverture po dexi balladas” (Edizioni Ramagraf, Iglesias, 1985). Ne riportiamo alcuni versi
Curri o Campanàrxu de sa storia
a pratza de sa Seu ca inc’est de arrepiccai!
De arrepiccai a mortu po setti de nosu
chi po malasorti andaus a morriri
poita sa morti s’hanti scioberau.
Campanàrxu de sa storia, hoi setti de nosu,
po nexi de is meris hant essiri sacrificaus.
A s’inzèrta setti ancora chene nomini.
…
O Campanàrxu càstia, candu scuttus a balla
Setti de nosu in terra hant essiri mortus sangràus
a manu zurpa de una picciocala de sordaus.
Ascurta sa boxi de sa beridadi e no cussa faulància
de is mèris chi hant’a contai ca fiant malafattoris,
e ca po si firmai no ddoi fiat atra manera
che si fai dustizia a sa buggerraia.
trad.
Corri campanaro della storia/in piazza del Duomo che c’è da scampanare!/Da scampanare a morto per sette di noi/che per malasorte andiamo a morire/perché la morte ci hanno scelto./Campanaro della storia, oggi sette di noi/per colpa dei padroni saranno sacrificati./A caso sette ancora senza nome
O campanaro guarda, quando colpiti dal piombo/sette di noi in terra saranno morti sanguinanti/per mano cieca di una ragazzaglia di soldati./Ascolta la voce della verità e non quella bugiarda/dei padroni che racconteranno che erano malfattori,/e che per fermarci non c’era altro modo/che farsi giustizia alla maniera di Buggerru.
Le produzioni poetica e canora popolare all’interno del mondo minerario sono sempre state presenti e importanti, come testimonia Antonia Podda nel numero 22-23 della rivista dell’Istituto De Martino del 2013, “Storie e canti di protesta nella Sardegna sud occidentale tra passato e presente” http://www.associazioneminatorinebida.it/download/podda_storiecantidiprotesta.pdf
Anche se i fatti che maggiormente sono rimasti nell’immaginario popolare rimangono quelli di Buggerru.
“Scavi ancora minatore/a saziare padroni stranieri/predatori voraci/delle tue carni/e della terra tua./Alla luce/del lume incerto/affonda lo scalpello/nell’antro gelido./Ore, ore, ore:/Dieci ore al giorno/di silicio nel cuore/dieci ore al giorno/di ossa fradice/dieci ore al giorno/di rabbia/repressa a stento” scriveva Salvatore Sardu in “Buggerru settembre 1904”
https://www.antiwarsongs.org/canzone.php?id=42260&lang=it
Teatro
Dopo la collaborazione alla drammatizzazione dei fatti del 1920, e all’allestimento delle rievocazioni storiche realizzate dagli studenti, l’attrice e regista Nicoletta Pusceddu ha continuato a lavorare su queste tematiche, realizzando vari spettacoli incentrati sulle storie di miniera. Fra questi l’Opera Teatrale Musicale ‘NELLA PANCIA DEL MONTE’ , di cui ha scritto testo e musica e curato la regia, con la collaborazione di Roberto Trastu alla musica e agli arrangiamenti.
Lei stessa racconta il suo percorso artistico relativo a questi temi:
La mia è una famiglia di miniera – racconta la regista – originaria di Rosas * e che conta zii che hanno lavorato come minatori per 36 anni. Seguendo i vari progetti del Terzo Circolo, curati da Marina Muscas, ho avuto modo di incontrare tanti ex minatori che mi hanno donato le loro storie, e da lì è nata l’idea di creare questo spettacolo dedicato a tutti coloro che in miniera hanno perso la vita“.
*Miniere Rosas a Narcao: https://www.ecomuseominiererosas.it/
Il teatro sardo ha avuto nelle storie, fatiche e lotte di miniera uno dei suoi capisaldi, lo spettacolo “Parliamo di miniera” di Gian Franco Mazzoni (dramma epico in 10 volate e 9 avanzamenti), della Cooperativa Teatro di Sardegna, del 1976, racconta “settant’anni di lotta operaia nel bacino del Sulcis, dai moti di Buggerru agli anni Settanta”. Lo spettacolo fu una delle straordinarie opere che accompagnarono Pinuccio Sciola alla Biennale di Venezia del 1976, sorprendendo e appassionando veneziani e visitatori.
Arte
Spesso sono stati i padroni delle miniere a chiamare gli artisti per “abbellire” uffici e stabilimenti (il caso più noto è probabilmente quello del murale di Aligi Sassu nella foresteria del villaggio di Monteponi).
Non conosciamo opere specifiche sui fatti del maggio 1920, anche se esistono molte opere sui minatori, citiamo qui quelle di Foiso Fois, nato proprio ad Iglesias e che aveva 4 anni all’epoca dei fatti. Fra queste una xilografia che racconta il funerale di un lavoratore: La morte del compagno, del 1955.
Infine mi sembra doveroso ricordare il murale realizzato, fra il 2005 e il 2009, nella recinzione della Scuola elementare di Bindua, dove insegnava Marina Muscas; murale realizzato dai ragazzi del Liceo Artistico Remo Branca di Iglesias e della residenza di Est’Arte, di cui riportiamo alcuni particolari anche in varie parti di questa scordata. https://ricerca.gelocal.it/lanuovasardegna/archivio/lanuovasardegna/2009/10/22/SI1SU_SI105.html
MAGGIO 2021
Quest’anno, come nel 2020, le restrizioni causate dalla pandemia da Covid-19 non permettono le rievocazioni nella forma pubblica e drammatizzata che le hanno caratterizzate e che coinvolgevano l’intera città di Iglesias; ed avendo sperato fino all’ultimo di poter fare qualcosa in presenza non ci sarà neanche un incontro on line come fu l’anno scorso.
Ma si pensa già a come recuperare nel 2022
CONCLUSIONI
Iglesias in questi anni è stata associata spesso alla RWM, la fabbrica di Domusnovas produttrice di armi vendute anche all’Arabia Saudita, e utilizzate nel conflitto in Yemen. Inevitabile l’accostamento, dato che Domusnovas è a due passi, e che parte dei terreni della fabbrica, in particolare quelli interessati ai progetti di ampliamento, sono in Comune di Iglesias; e ad Iglesias ha sede il Comitato che lotta per la riconversione della fabbrica ad usi civili.
Personalmente non riesco ad evitare una riflessione sul fatto che il lavoro in miniera, sicuramente uno dei più pericolosi, ha drammaticamente ucciso molti di quanti ci hanno lavorato, anche a prescindere dagli episodi di cui si parla in questo articolo. Il lavoro in miniera ha ucciso e avvelenato, solo nel 1920 nel distretto minerario dell’Iglesiente ci furono 10 infortuni mortali e oltre 100 invalidanti; ma è un lavoro che ha prodotto (quasi sempre) materie indispensabili, utili alla vita.
Altre produzioni, all’opposto, possono dare vita (l’indispensabile salario) a chi ci lavora, ma il prodotto finale serve a dare morte. Le materie estratte, come tutte le materie prime, vengono utilizzate anche a fini militari, ma non è quasi mai quella la loro “ragione sociale“. Anzi, l’inizio della Prima Guerra mondiale comportò una grave crisi per il bacino minerario dell’Iglesiente, che portò al licenziamento di 6.000 lavoratori, a conferma che la guerra non fa necessariamente bene all’industria estrattiva.
Infine, non meno importante, le battaglie portate avanti agli inizi del diciannovesimo secolo nell’iglesiente sono state parte di una sensibilizzazione che andava bene oltre il proprio territorio. Erano parte di un processo emancipativo globale, che aveva presenti gli interessi generali di una classe, di un’intera comunità.
Per questo è importante il lavoro che viene portato avanti dalle scuole, perché di questo è fatta la storia delle miniere, che non può ridursi a semplice riconversione a fini turistici delle infrastrutture sopravissute. I progetti per il Parco minerario, il Cammino minerario di Santa Barbara, sono occasioni importanti; questi luoghi (quelli naturali e quelli antropizzati e trasformati dalle miniere) sono una ricchezza incomparabile; il fascino di Porto Flavia e indiscutibile. Ma tutto questo ha bisogno di un’anima, un’anima che penso possa venire solo dalla consapevolezza di cosa sono stati questi luoghi; di chi erano le donne e gli uomini che gli hanno costruiti, abitati e vissuti. E quest’anima, il lavoro che abbiamo raccontato, mi sembra la stia dando.
Ringrazio Cristian Strina per la foto d’apertura https://www.facebook.com/CristianStrina e Roberto Deiana per la consulenza su musiche e poesie.
Un ringraziamento speciale a Gabriella Azzena, del Comune di Iglesias, che seguì la nascita dei progetti di rievocazione storica fin dall’inizio, e che mi ha messo in contatto con le persone che hanno vissuto, vivono e hanno raccontato questa esperienza. Se questa scor/data ha raggiunto la compiutezza che meritava, è grazie al suo aiuto.
Per chi volesse approfondire
sui fatti del 1920
http://www.itenovas.com/in-italia/3978-storia-l-eccidio-dei-minatori-di-iglesias-del-1920.html
https://www.lincontro.news/leccidio-dei-minatori-delliglesiente-del-11-maggio-1920/
https://www.infoaut.org/storia-di-classe/11-maggio-1920-iglesias-minatori-in-rivolta
sulla storia delle miniere (e delle lotte) sarde:
http://www.alpcub.com/xminieresardegna.htm sito dell’Associazione Lavoratori Pinerolesi
che riporta in pdf alcuni degli studi dello storico originario di Iglesias Salvatorico Serra, esperto di storia delle miniere.
https://www.youtube.com/watch?v=0zRVDjTwjzE (servizio RAI di TV7 del 24.06.1963 “CRISTO TRA I MINATORI” sulla storia di fratel Gerardo Fabert, uno dei preti operai francesi che, negli anni sessanta, visse e lavorò per oltre 10 anni nella miniera di San Giovanni)
video sulle commemorazioni
Rievocazione del 2015 https://www.youtube.com/watch?reload=9&v=YW8fR9b-Zh4
L’Eccidio, di Christian Castangia https://www.youtube.com/watch?v=uk5sW7EV4jY
Per il Cammino minerario di Santa Barbara e i musei minerari
http://www.visitiglesias.comune.iglesias.ca.it/it/iglesias/attrazioni
https://www.camminominerariodisantabarbara.org/
Per alcune cose che succedono oggi ad Iglesias e dintorni
https://www.iglesiente.eu/blog/index.php/it/
Uno dei fatti di lotta operaia più significativi dell’Italia agli inizi del 900 abbastanza misconosciuto. Un territorio colonizzato da la capitale internazionale e che esprime una potenziale di resistenza e di lotta e di coscienza quasi impensabile per un territorio così ‘marginale’ e emarginato.
Congratulazioni a tutte le persone che hanno organizzato e collaborato per questa fantastica rappresentazione, per farmi conoscere un bel pezzo di storia della meravigliosa Sardegna
Ottima e completa ricostruzione di fatti che conoscevo a malapena, spero che queste iniziative possano continuare anche in futuro grazie all’impegno di tutti coloro che conoscono l’importanza del non dimenticare
Oggi, 20 maggio, è l’anniversario di un’altra strage di minatori dell’Iglesiente, a Gonnesa nel 1906, due anni dopo Buggerru e 14 prima dell’eccidio di Iglesias. Riporto i link ad alcuni materiali su quell’evento, conosciuto anche come “I moti del maggio 1906” o “La rivolta popolare di Gonnesa”.
Inserisco anche il collegamento al video sull’eccidio di Iglesias realizzato nel centenario dall’Istituto Comprensivo Eleonora D’Arborea, il video 30 minuti circa, riporta buona parte delle drammatizzazioni messe in piedi dai ragazzi negli anni precedenti.
Gonnesa 1906
https://www.comune.gonnesa.ca.it/it/84/aree-tematiche/96.0/moti-maggio-1906.html
Video della ricostruzione del 1998 dei ragazzi delle elementari: https://www.youtube.com/watch?time_continue=3&v=We915PZYnUg&feature=emb_logo
Video “La rivolta popolare di Gonnesa del Maggio 1906”
https://www.youtube.com/watch?v=sMAYxWdihXQ&t=5s
https://www.facebook.com/gonnesamaggio1906/
Centenario eccidio di Iglesias
https://www.youtube.com/watch?v=cuMcnnQ0vX0
Non è mai troppo ricordare le tante e poco raccontate stragi di miniere, come quella del 4 maggio (maggio, il maggio mese feticcio per movimenti operai e per donne e madonne, sembra proprio funesto per le miniere) del 1871, che vide la morte di 11 donne, 11 cernitrici, nella laveria della miniera di Montevecchio. https://www.nemesismagazine.it/4-maggio-1871-11-donne-addette-alla-cernita-dei-materiali-nella-laveria-della-miniera-di-montevecchio-rimangono-uccise-in-seguito-al-crollo-di-una-cisterna/