Venezuela sotto attacco

In una situazione geopolitica già complessa gli Stati Uniti sono alla ricerca del casus belli contro Caracas utilizzando la scusa della lotta al narcotraffico.

di David Lifodi

Foto: https://www.resumenlatinoamericano.org/

In Venezuela è partita la riconquista. Dall’America del sud ci sono buone notizie e venti promettenti che stanno fornendo alternative alla distruzione neo-comunista e al narcoterrorismo in paesi come Bolivia, Venezuela e Colombia. Siamo in piena lotta”. Queste parole, riportate da un lancio Ansa del 14 settembre scorso, sono di María Corina Machado, esponente dell’estrema destra venezuelana che ha inviato un videomessaggio al raduno dei Patrioti europei tenutosi in quei giorni a Madrid. Sempre nella stessa circostanza, Machado ha definito come grandi amici i militanti del partito dell’ultradestra spagnola Vox.

Una dichiarazione del genere assomiglia molto ad una chiamata alle armi per colpire il Venezuela e, dopo Caracas, approfittare delle difficoltà di Gustavo Petro in Colombia per far tornare, anche a Bogotá, un governo allineato con le oligarchie. In Bolivia è solo questione di tempo, ma il vincitore del ballottaggio del prossimo 19 ottobre sarà sicuramente un alfiere della destra, dipende solo se un neoliberista conservatore come Rodrigo Paz oppure un provocatore come Jorge “Tuto” Quiroga, assai vicino alla dittatura di Hugo Banzer.

Si inserisce in questo contesto, con la scusa della lotta al narcoterrorismo, il tentativo statunitense di creare un casus belli per attaccare il Venezuela. L’invio, da parte degli Stati Uniti, di altri F-35 nei Caraibi, le manovre aeree nello spazio della Guyana, in disputa per la regione dell’Esequibo proprio con il Venezuela e, in precedenza, gli spari e l’affondamento in acque internazionali di navi partite da Caracas che, per la Casa Bianca, trasportavano droga, rappresentano dei chiari segnali della volontà di alzare la tensione. Si vocifera anche di attacchi mirati contro Caracas. Intanto, le imboscate alle imbarcazioni venezuelane si sono concluse con un saldo di 14 morti.

Le provocazioni statunitensi, alle quali hanno plaudito governi latinoamericani vicini a Washington, a partire da Argentina, Ecuador e Paraguay, paesi i cui vertici, peraltro, sono stati associati spesso al narcotraffico (secondo i Pandora Papers Noboa sarebbe proprietario di un’impresa offshore con sede a Panama legata ai narcos, infiltratisi a loro volta anche tra le più alte cariche del governo di Asunción, per non parlare delle accuse di riciclaggio di denaro sporco insieme alla criminalità organizzata pendenti su Javier Milei) sono state fortemente stigmatizzate sia dalla Comunità degli stati latinoamericani e dei Caraibi (Celac) sia dall’Onu, che hanno ricordato come la lotta al proliferare del narcotraffico non debba mai prevalere sul principio di legalità.

Il dispiegamento di forze messe in campo dagli Usa per operazioni antidroga nel Caribe resta decisamente sproporzionato rispetto al raggiungimento dell’obiettivo e, proprio per questo, cresce il timore per una nuova crociata in quello che la Casa Bianca ha sempre considerato come patio trasero. Ad essere a rischio non è solo la sovranità del Venezuela, sulla quale il presidente colombiano Gustavo Petro ha evocato il rischio, in caso di attacco militare, che si venga a creare una situazione simile a quella siriana, ma dell’intero continente latinoamericano.

Secondo Washington, Maduro sarebbe alla guida dell’organizzazione criminale Cartel de los Soles e ciò giustifica la mobilitazione dei marines, l’invio di un sottomarino nucleare e la presenza di imbarcazioni lanciamissili. Si tratta, quindi, di un passo ulteriore di Trump, che, durante il suo primo mandato, aveva già rafforzato l’embargo contro Caracas a partire da quello petrolifero. Dal canto suo, il Venezuela invoca il Trattato di Tlatelolco del 1967, che proibisce la circolazione e l’utilizzo di armi nucleari in America latina, e ribadisce come l’America latina sia una zona di pace.

L’espediente di associare il chavismo al Cartel de los Soles si trascina almeno dal 2020, ma era quasi caduto nel dimenticatoio almeno fin quando non è stato rispolverato dal trumpiano di ferro e Segretario di Stato Usa Marco Rubio. In realtà, la cosiddetta geopolitica del petrolio, mascherata da lotta contro il narcotraffico, sembra essere la chiave per cercare ad ogni costo il conflitto con il Venezuela, sebbene l’Onu abbia ribadito più volte, fin dal 2007, che il paese può essere definito un “territorio libero dalle coltivazioni della foglia di coca e della marijuana, nonché dalla presenza di cartelli criminali internazionali”.

Solo il 5% della droga colombiana passa attraverso il Venezuela per raggiungere il mercato statunitense e quello europeo. Inoltre, evidenziano il Colectivo del Observatorio en Comunicación y Democracia e la Fundación para la Integración Latinoamericana, il Guatemala, paese assai più piccolo del Venezuela, è divenuto nel tempo un corridoio della droga sette volte più grande di quello che è stato definito, in maniera del tutto strumentale, “narcostato bolivariano”, ma nessuno si è mai attivato per combattere i cartelli della criminalità organizzata presenti nello stato centroamericano perché non è ricco di petrolio, l’unica droga non naturale che interessa a Trump.

Da quando Chávez si era insediato per la prima volta a Miraflores il Venezuela non ha più messo a disposizione degli Usa le riserve di petrolio e minerali come era accaduto fino ad allora e, per questo motivo, gli Stati Uniti, ritenendo inaccettabile questo diniego, hanno iniziato a cercare un pretesto valido per attaccare il paese. L’ultimo tentativo, quello attuale, per screditare il Venezuela e creare un casus belli, è consistito proprio nell’aver rispolverato il Cartel de los Soles, la cui sigla, segnala Geraldina Colotti, è apparsa per la prima volta nel 1993 e fu coniata da due giornalisti venezuelani Juan Carlos Issa e Rafael J. Poleo in relazione ad un’inchiesta su due generali della Guardia nazionale. Il nome, spiega, deriva dal simbolo a forma di sole che i generali venezuelani portano sulle loro uniformi: nasce da qui la denominazione di questa presunta rete di narcotraffico all’interno delle forze armate.

Nonostante quella statunitense si configuri come una vera e propria provocazione, la stampa mainstream si è allineata alla campagna mediatica contro il Venezuela, senza far alcun cenno al fatto che quella condotta contro Caracas è una guerra ibrida dove gruppi di criminali e oppositori di estrema destra cercano di destabilizzare ad ogni costo il paese per preparare il terreno agli Usa. Purtroppo, il rischio che si apra un fronte di guerra anche in America latina non sembra essere così lontano.

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

Un commento

  • Enrico Semprini

    Questo lavoro di David è veramente da valorizzare, perché in merito alle notizie che provengono dal sudamerica siamo veramente in balia della ignoranza. Ascoltando le informazioni è chiaro il fatto che vengano affondate navi ed uccise persone senza verifica dei carichi, senza processo e che una delle imbarcazioni era chiaramente di pescatori di tonni; è altrettanto chiaro che siamo di fronte ad azioni volte a distruggere l’idea stessa di diritto internazionale, con uno stato che distrugge impunemente le imbarcazioni che battono bandiera di un altro stato. Sia chiaro: sarebbe mostruoso anche vedere uno stato che distrugge le imbarcazioni che battono la sua bandiera, ma in questo caso è evidente che oltre al crimine si è di fronte anche ad un atto di guerra.
    Tuttavia non è altrettanto chiaro, per chi ascolta le notizie, almeno comprendere se esiste davvero un problema di narcotraffico legato a quelle imbarcazioni ed è per questo che chi conosce le dinamiche di quei paesi ci aiuta a distinguere cosa è realtà e cosa è propaganda.
    Si tenga conto che sabato sera a seguire la notizia sul nuovo attacco statunitense, c’era un reportage sulla Colombia che parla di una parte dei guerriglieri colombiani coinvolti nel narcotraffico: le due notizie non venivano presentate in continuità, ma in successione, come notizie indipendenti. Tuttavia chi le ha viste si è reso conto che la seconda notizia rafforzava la sensazione di veridicità della prima nel senso della lettura che vogliono gli Stati Uniti.
    Pare proprio difficile pensare che sia un caso…

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *