«Risorgerà il sole»

Un’epopea sepolta e quotidiana. Recensione al libro di Sara Giulia Vitale

di Antonio Carletti (*)

Ho conosciuto Sara Vitale a Genova, tre anni fa, al festival della Malanotte, in occasione dell’unica presentazione del suo primo libro, Risorgerà il sole, pubblicato da Robin edizioni nel 2022.

Sara mi è sembrata una giovane donna sicura di quello che vuole, certo con una dose di fragilità che è di tutti i giovani e soprattutto dei nati alla fine degli anni Novanta, eppure mi ha comunicato una forza e una determinazione anch’esse diffuse, al di là delle dicerie e degli stereotipi, in molti suoi coetanei. Il libro racconta, in terza persona, di Sole, un’adolescente che cresce tra una grande città italiana e un’Isola del mediterraneo, dove va spesso perché figlia di genitori isolani emigrati.

Attraverso un’epopea che culmina con il periodo della pandemia, Sole fotografa un micro mondo di coetanei e di adulti che rifuggono le responsabilità, e descrive anche il suo vissuto che la porta spesso a farsi del male fisico, ma lei è vigile, attenta, non cede, non molla, anzi è cosciente, in un certo qual modo, di essere lucida, ed esprime questa lucidità non partecipando a riti di “quel gruppo che, alla fine, era pieno di persone che in un modo o nell’altro stavano soffrendo e cercavano di nasconderselo a tutti i costi, ubriacandosi senza pietà e facendo festa ogni qual volta ne avessero la possibilità”; ma il suo non è mai uno sguardo moralista, compassionevole sì ma anche crudo, come la sua scrittura: asciutta, essenziale e, cosa non da poco, trascinante lungo una trama esile ma al tempo stesso forte.

La storia di Sole è una realtà che anch’io ho vissuto dal di dentro, in quanto ho una figlia più o meno coetanea di Sole e ho scelto di lavorare con ragazzi e ragazze e anche di accoglierli con la formula dell’affido. Sole la sento vera e viva, e credo di capire anche il perché del fatto che questo libro non si legge facilmente, non solo perché non è stato scritto in modo facile (anzi, ci vuole molta fatica a scrivere un libro così, e Sara ci è riuscita), ma questo libro è difficile da leggere perché è, per certi versi, incandescente, eppure molto semplice, non racconta nulla di così crudele o di inconfessabile, nonostante ciò è crudo, vero, vitale (sarà che nomen omen? In questo caso “cognomen”? Ma in francese cognome si dice nome de famille!).

Lungo le pagine troviamo una realtà quotidiana e invisibile non perché nascosta ma perché vorremmo non vederla. A pag. 16 c’è un passaggio significativo: «Aveva pensato che forse, per mettersi con una ragazza molto più piccola, era evidente che qualcosa doveva essere scattato in lui, e che probabilmente non riuscisse più a stare solo, che avesse un bisogno impellente di distrarsi e non pensare a quanto stesse male, cosa che alla fine era l’obiettivo di tutti». È quasi banale questa frase; eppure è di una lucidità sconcertante, forse occorreva mettere un punto interrogativo alla fine o forse no perché la frase stessa scopre un interrogativo sotteso alle nostre vite, alle nostre relazioni, se non da tempo immemore, per lo meno attinente agli ultimi decenni della nostra storia di umani di questa parte del mondo?

C’è un dolore e una sofferenza che Sole ci fa scoprire, ma non è qualcosa di penoso né c’è commiserazione, la difficoltà di accettare la lettura di alcuni passaggi è dovuto a questa sofferenza che vorremmo negare, come vorrebbero negarla i compagni di bisboccia di Sole, affogandola in ubriacature varie, a spese di Sole che non sa dire di no ai loro autoinviti, con il risultato che loro invadono la sua casa e in parte la danneggiano, fino ad arrivare, durante una notte, a tentare di fare sesso forzosamente con lei, e sono due suoi amici che entrano nel suo letto mentre lei è assonnata e ubriaca, lei riesce a divincolarsi ma dopo un ennesimo danneggiamento di oggetti della casa di Sole (che in realtà è quella di sua madre e storicamente dei suoi nonni), lei prende a schiaffi uno di loro e poi tira un pezzo del bracciolo rotto di una sedia a dondolo sulla gamba di un altro.

Le scene sono quelle che potrebbero essere di molti giovani borghesi di provincia, però Sole non si ferma a questo livello: scava in sé stessa, nel suo bisogno di riconoscimento e nel bisogno di compagnia, eppure evita spesso di accettare inviti per andare al mare o per uscire insieme a un gruppo di amici e amiche che non riconosce come veri né sinceri, a parte poche eccezioni. È l’annosa battaglia tra la solitudine doverosa per non essere inghiottiti dal gruppo e il bisogno di essere riconosciuti, in quanto donna e in quanto amica.

A pag. 53 c’è un passaggio a suo modo formidabile, perché riassume tutto un vissuto di Sole e che rievoca, se vogliamo, un passaggio di Chiedi alla polvere di John Fante, quel passaggio in cui il protagonista, mentre sta nuotando nel mare e sente le scosse di terremoto, si chiede se non sia lui il colpevole della calamità naturale che sta arrivando! Sole invece, mutatis mutandi, scrive così: «E desiderava vendicarsi, mostrandogli che alla fine, lei – che era stata trattata di merda da tutti – era mille volte più in gamba e che poteva ficcarglielo in culo come voleva, sapendo che loro avrebbero continuato a peggiorare la loro situazione e a seguire il percorso che conduceva giù alla tana del Bianconiglio. Ma in realtà non aveva bisogno di desiderare una vendetta, perché i fatti parlavano da soli: loro erano persone che stavano male e non facevano un cazzo per cambiare […]. Mentre lei, seppur sofferente da anni, cercava comunque di fare qualcosa e di combattere ogni fottuto giorno per uscire dal suo dolore e ricominciare a vivere sul serio, senza il bisogno di iniziare a drogarsi. Aveva pensato che forse, gli altri trovassero nel bulleggiarla una valvola di sfogo del loro dolore. Io sto male, quindi mi sfogo sugli altri e mi alleggerisco. Ma forse, con Sole assente, non sapevano più chi prendere di mira e non avevano più un modo per sfogare la loro frustrazione e rabbia su qualcuno più debole; quindi, darsi alla droga era probabilmente sembrato loro il modo più facile per sentirsi più leggeri e stare senza pensieri». Il romanzo si chiude con una “rinascita” di Sole, e con delle “conclusioni” in cui l’autrice si scopre e dichiara che «c’è bisogno di un aiuto esterno per andare avanti» […]

È il primo passo per stare bene. E penso che il problema sia anche dato, forse, dalla crescita esponenziale di persone che cercano di distaccarsi sempre più dalle emozioni diventando sempre più fredde e cattive nei confronti degli altri». Viene da pensare quell’assunto di qualcuno che ha scritto l’unica recensione di questo libro fino ad ora, allargando il discorso e svelando così un sottobosco ancora poco indagato nei luoghi e nelle narrazioni pubbliche: «Il libro di Sara sembra accennare a una realtà paradossale e capovolta: sono molti i giovani a mostrare una consapevolezza interiore da adulti e i cosiddetti adulti sono i veri bambini, solo che purtroppo solo i primi vanno in terapia, mentre in realtà loro hanno la forza e la lucidità per indicare una diagnosi agli adulti».

(*) Antonio Carletti è un narratore teatrale e sociale, autore del film Il silenzio della violenza, presentato in anteprima nazionale al Festival della Malanotte 2024.

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