«A Visual Diary»

di Susanna Sinigaglia

Triennale Teatro

Fog

A Visual Diary

Fabio Cherstich

 

Questa ricostruzione con materiali visivi della scena newyorchese queery degli anni ’80, ripercorrendo la traiettoria esistenziale di tre artisti morti a causa dell’Aids, è molto toccante e poetica. Fabio Cherstich, seduto a tavolino davanti a un microfono – alle spalle due schermi su cui scorrono le immagini scelte per riannodare i fili della memoria dei testimoni che hanno reso possibile questa rievocazione –, racconta come sia riuscito a contattarli e a stabilire con loro un rapporto di fiducia e affetto; lì accanto, a terra, un vecchio giradischi con sopra un 33 giri di altri tempi.

I tre artisti sono Patrick Angus (3 dicembre 1953 – 13 maggio 1992), Larry Stanton (21 giugno 1947 – 18 ottobre 1984) e Darrell Ellis (1958-1992), i primi due pittori, il terzo fotografo e pittore ma soprattutto artista sperimentale.

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Tutti e tre questi artisti non hanno avuto successo durante la loro esistenza, ma i loro lavori sono stati amorevolmente custoditi da parenti e amici, che li hanno protetti e ora sono entrati a tutti gli effetti a far parte del patrimonio artistico occidentale, se non mondiale. All’epoca, era molto apprezzata la pittura astratta e quella – cosiddetta – figurativa aveva perso il suo fascino, anche se in certi casi una simile distinzione è molto opinabile.

Il viaggio di Fabio nella memoria incomincia a Fort Smith, in Arkansas, a casa di Betty Angus, la mamma di Patrick, custode preziosa dei lavori del figlio che conservava ovunque fosse possibile trovare uno spazio: sotto al letto, in garage, fra gli attrezzi da giardino. Alcuni dipinti mi ricordano le silouhette che compaiono in certi quadri di Picasso, come Les demoiselles d’Avignon, per esempio; alcuni paesaggi mi rievocano quelli di Cézanne.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Quindi parlare di “figurativo” in contrapposizione con ”astratto” mi sembra molto azzardato ma a volte l’ideologia o peggio, la moda, o peggio ancora, l’avidità del mercato si sostituiscono al giudizio critico.

Attraverso i quadri di Patrick, Fabio ricostruisce i momenti della vita dell’artista e lo stesso si può dire per quanto riguarda gli altri due. Larry Stanton aveva soprattutto il gusto per il ritratto e l’autoritratto. E come dargli torto? Era particolarmente bello e frequentava tanti

ragazzi, in cui probabilmente si rispecchiava. Fu Arthur Lambert, collezionista e amante, a conservarne i lavori e la memoria.

 

Infine Darrell Ellis mi sembra il più originale e audace di tutti. Il padre era un appassionato di fotografia, ucciso dalla polizia due mesi prima della nascita del figlio, e Darrel aveva iniziato il suo percorso artistico utilizzandone le vecchie foto come materiali di base da cui partire per elaborare e creare i propri lavori.

Ecco così che trasforma le foto in quadri unendo alla fotografia la pittura fino a utilizzare materiali diversi e creare opere astratte.

 

 

Rileggendo la recensione mi accorgo che Fabio Cherstich, nel suo “diario”, cita gli artisti secondo un ordine scandito dalla durata della loro esistenza: Patrick Angus, il più longevo, morì all’età di 39 anni; segue Larry Stanton, morto a 37 anni, e infine Darrell Ellis, che se ne andò a soli 34 anni. Nessuno di loro era riuscito a varcare la soglia dei 40…

Cherstich sorvola leggero sulla vita e le opere dei tre artisti che a New York frequentarono più o meno gli stessi ambienti riservati agli omosessuali.

Ebbero anche esperienze lavorative simili come Patrick Angus e Darrell Ellis, entrambi custodi dello stesso museo – il MoMa – per un periodo della loro vita, alla faticosa ricerca di impieghi saltuari per sbarcare il lunario.

Ma gli anni ’80 non furono tragici solo per gli omosessuali preda, oltre che delle usuali discriminazioni, anche di questo morbo sconosciuto chiamato Aids. Furono tragici per un’intera generazione che aveva creduto alla possibilità di smascherare l’ipocrisia dei valori borghesi, ribaltare l’ordine capitalistico costituito, e che invece si ritrovava a subire impotente la restaurazione di tutto quello che aveva cercato di combattere. Molti ne furono sopraffatti, non riuscirono a sopravvivere. L’epidemia di Aids che si scatenò in quegli anni potrebbe essere il simbolo di questo ribaltamento, di una tragedia che travolse tante persone e che allunga ancora la sua ombra sul nostro tempo incerto. Anche se, per fortuna, c’è stato chi ne ha protetto i tesori che malgrado tutto da quest’epoca buia sono scaturiti arrivando fino a noi e ci mostrano ancora una luce da seguire nei meandri del nostro difficile presente.

Susanna Sinigaglia
Non mi piace molto parlare in prima persona; dire “io sono”, “io faccio” questo e quello ecc. ma per accontentare gli amici-compagni della Bottega, mi piego.
Quindi , sono nata ad Ancona e amo il mare ma sto a Milano da tutta una vita e non so se abiterei da qualsiasi altra parte. M’impegno su vari fronti (la questione Israele-Palestina con tutte le sue ricadute, ma anche per la difesa dell’ambiente); lavoro da anni a un progetto di scrittura e a uno artistico con successi alterni. È la passione per la ricerca che ha nutrito i miei progetti.

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