America Latina: la difesa delle lingue native

Riflessioni di Maria Teresa Messidoro (*) dopo la giornata internazionale della lingua madre.

21 febbraio: giornata internazionale della lingua madre. Questa data è stata scelta dall’Unesco perché  molti studenti bengalesi dell’Università di Dacca il 21 febbraio 1952 furono uccisi dalle forze di polizia del Pakistan (che allora comprendeva il Bangladesh) mentre protestavano per il riconoscimento del bengalese come lingua ufficiale dello stato.

Una giornata passata inosservata, ma che merita rispetto e attenzione.

Cercherò di renderla attuale, raccontando e condividendo tre piccole storie latinoamericane.

La prima si riferisce alla morte di Cristina Calderón, avvenuta il 16 febbraio di quest’anno, a Magallanes, nel sud del Cile. (1)

Cristina, che se ne andata a 93 anni, era l’ultima nativa parlante della lingua yagán, la lingua più australe del mondo.

Cantante, etnografa e scrittrice, Calderón ha dedicato gran parte della sua vita a preservare la cultura yagán, preoccupandosi di diffonderla, raccontando racconti e leggende ancestrali del suo popolo.

Con la sua morte si estingue questa lingua, anche se rimane fortunatamente un dizionario bilingue yagán-spagnolo, a cui Cristina aveva lavorato con la nipote negli ultimi anni della vita. Insieme avevano anche dato vita ad una raccolta di racconti e storie in yagán, dal titolo  Hai Kur Mamašu Shis (Desidero raccontarti una storia). (2)

Lascia 7 figli e 14 nipoti, nessuno dei quali ha lo yagán come lingua materna: Cristina era riconosciuta internazionalmente dalla stessa Unesco e dal Cile come un “tesoro umano”.

Così come era stata dichiarata durante il Bicentenario della Repubblica del Cile, nel 2010, come una delle 50 donne più importanti del popolo cileno.

La sua morte è stata annunciata dalla figlia minore, Lidia Gonzáles Calderón, una delle “integranti” della Convención Constituyente per la stesura della nuova costituzione cilena.

Gli yagán sono il popolo indigeno più australe del mondo: anticamente popolavano gli arcipelaghi dell’estremo sud del continente latinoamericano, lungo la costa meridionale della Tierra del Fuego e tra il Canale Beagle e il Cabo de Hornos.

La loro lingua possiede qualcosa come 32 mila vocaboli, una enormità se confrontati ad esempio con le 5 mila parole della lingua spagnola normalmente utilizzate.

Purtroppo, la lingua è isolata e non classificabile, perché non ha nessun vincolo con altre lingue esistenti; inoltre, già da tempo era considerata una lingua in via di estinzione, dato che il meticciato, l’evangelizzazione e le pressioni esercitate da una colonizzazione anche culturale hanno praticamente rotto la catena di trasmissione orale.

Quando, nel 2003, morì Úrsula, la sorella di Cristina, lei si rese conto di essere l’ultima parlante di una lingua che non poteva più utilizzare per dialogare con nessuno.

Per questo era necessario lasciare una eredità.

Grazie Cristina. La saluterei con la riflessione del fotografo Cristiano Denanni, in un articolo di alcuni anni fa: “Mentre scattavo, e lei guardava fuori, verso l’oceano, e poi guardava me, ho sentito che non ha alcun senso domandare all’ultima donna del mondo cosa si prova ad essere depositaria di una storia millenaria, o cosa pensa della sua lingua morente, o dell’unicità del suo essere. Come se in qualche modo, con chissà quante parole, si potesse recuperare qualcosa di tutto il tempo di questo angolo di mondo che sta scomparendo. Quando la verità è che non si torna indietro in alcun modo, si muore in una direzione soltanto. E l’ho capito perché in quegli occhi ho intravisto la pace leggera di chi si accontenta di essere, di dormire e sognare e svegliarsi e cucire…” (3)

La seconda si riferisce alla recente campagna commerciale Lenguas vivas” lanciata dalla Cerveza Victoria in Messico, proprio per la Giornata Internazionale della lingua madre e alla conseguente reazione di scrittori indigeni ed attivisti.

Perché se è vero che l’intenzione era dare visibilità a lingue spesso ignorate o cancellate, nella pratica quotidiana le industrie produttrici di birra hanno sempre avuto una pratica di sfruttamento dell’acqua e del territorio delle comunità indigene.

Yásnaya Aguilar, scrittrice ayuujk (mixe), dagli altopiani di Oaxaca Nadia López García, scrittrice ñuu savi (mixteca), Elvis Guerra, poeta binnizá (zapoteco), il poeta e scrittore nahua Mardonio Carballo, tuttə hanno voluto sottolineare ciò che si cela dietro a questa campagna pubblicitaria: promotrici sono industrie che fomentano l’alcolismo (un modo per indebolire chi pratica le lingue originarie); le stesse industrie che, per imporre i propri prodotti, hanno screditato le bevande fermentate tradizionali messicane, come il pulque e la taberna.

Le stesse industrie che nel nord messicano si sono appropriate ad esempio delle terre agricole dei popoli  yaquis y rarámuris, e nel centro sud del paese di molte sorgenti naturali.

Inoltre, se si volesse veramente difendere le 62 lingue messicane, con le loro 364 varianti (dati Catálogo de las Lenguas Indígenas Nacionales (CLIN) del Instituto Nacional de Lenguas Indígenas), prima di tutto occorre difendere le popolazioni che le usano quotidianamente. Perché sono le persone che le parlano a restituirne dignità.

La difesa delle lingue originarie non è un gesto romantico da salotto e conversazione, è una lotta concreta per l’identità dei popoli indigeni e per la salvaguardia del loro territorio. (4)

Meléndez Guadarrama, laureata in Estudios Mesoamericanos e docente presso la UNAM di Città del Messico, sottolinea che “mantenere la diversità linguistica e culturale arricchisce l’umanità. E’ un fatto positivo di fronte alle tendenze unificatrici volute dalla globalizzazione. Perdendo una lingua, si perde parte della cosmovisione di un gruppo etnico, e si perde soprattutto un diritto umano fondamentale, quello di parlare la propria lingua materna. Un diritto che chi parla spagnolo non ha mai percepito, perché lo spagnolo è una lingua egemonica: chi invece parla una lingua originaria ha dovuto difendere questo diritto nel corso dei secoli, un diritto da difendere ancora oggi. Prima che sia troppo tardi” (5)

La terza notizia riguarda invece il Perù. Dove, dopo anni, anzi secoli, in cui parlare nella propria lingua materna era quasi una vergogna, si è iniziato un processo in cui nuovamente si valorizza la propria lingua e quindi la propria cultura.

Foto tratta da https://www.resumenlatinoamericano.org/2021/09/02/peru-el-quechua-renace-con-toda-la-fuerza/

Secondo il censimento del 2017, più di 4 milioni e mezzo di peruviani hanno dichiarato di avere come prima lingua una delle 48 lingue riconosciute nel paese andino, corrispondente quindi al 16% della popolazione; ancora pochi, ma in aumento rispetto al censimento precedente, del 2007, quando erano il 15% del totale. In realtà, non è aumentato il numero di persone appartenenti ad un gruppo indigeno, ma  è aumentato il numero di persone che hanno preso coscienza della propria identità.

Ad esempio, sono aumentate di mezzo milione le persone che si riconoscono come quechua parlanti, mentre nell’Amazzonia peruviana, i kukama-kukamiria, un popolo che aveva perso quasi totalmente l’utilizzo della propria lingua nativa, hanno  iniziato un suo processo di rivitalizzazione : oggi, sono diventati 300 i parlanti del gruppo, contro i 20 del censimento precedente.

E’ interessante inoltre segnalare che quasi 6 milioni di peruviani si autoidentificano come appartenenti ad un popolo originario del Perù, quechua, aimara, asháninca, awajún tra gli altri.

La Mapa Etnolingüístico del Perú ha inoltre determinato la predominanza delle lingue indigene in tutto il territorio nazionale. Ne consegue che i cittadini che hanno come propria prima lingua quella madre hanno diritto ad accedere a tutti i servizi statali e locali utilizzando mezzi di comunicazione bilingue, così come stabilito dalla Ley de lenguas indigenas, la Ley 29735. La speranza è che questa legge si concretizzi prima possibile, per riscattare 500 anni di spogliazione ed emarginazione (6)

 

  1. https://desinformemonos.org/muere-la-ultima-hablante-nativa-del-idioma-indigena-yagan-en-chile/
  2. Purtroppo l’edizione tradotta in spagnolo è esaurita, ma si può trovare quella tradotta in inglese https://www.ediciones-pix.org/es/libros/hai-kur-mamashu-chis/
  3. it/2018/02/19/terra-del-fuoco-ho-conosciuto-lultima-donna-yaghan-del-mondo-mentre-compilava-un-dizionario/4161823/
  4. https://desinformemonos.org/difundir-las-lenguas-indigenas-en-una-cerveza-es-justificar-el-despojo-del-agua-y-territorio/
  5. https://desinformemonos.org/peligro-de-muerte-para-muchas-lenguas-indigenas-de-mexico/
  6. https://www.resumenlatinoamericano.org/2022/02/21/peru-elena-burga-las-lenguas-maternas-que-el-peru-debe-proteger/

*Vicepresidentessa Associazione Lisangà culture in movimento OdV

 

 

 

Teresa Messidoro

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *