Animula vagula blandula

Bianca Menichelli su «Macchine come me» di Ian McEwan

Secondo Marshall McLuhan («La legge dei media. La nuova scienza», Edizioni Lavoro, 1994) le dimensioni di ogni cosa prodotta dall’innovazione umana sono quattro, una tetrade, anche non cronologica, composta da incremento, obsolescenza, recupero, ribaltamento (cfr l’interessantissimo «Il gioco di McLuhan con le leggi dei media» di Alessandra Campo, su Alias Domenica – che è un inserto del quotidiano «il manifesto» – del 17 febbraio 2019, su «Le tetradi perdute» di Eric e Marshall McLuhan, Il Saggiatore, 2019).

Ogni cosa per McLuhan è una tetrade.

Perché non applicarla all’ultimo libro di Ian McEwan «Macchine come me» (Einaudi 2019, traduzione di Susanna Basso)?

Il titolo originale è in realtà “Machines like Me and People like You” cioè «Macchine come me e persone come voi» che compare solo all’interno e non in copertina. Peccato, perché il titolo già definisce un universo composito, ma completo. Noi, visti come voi.

Come in uno specchio, McEwan fa agire i protagonisti in uno spazio/tempo dissociato da quello che ci vede vivere e agire qui e ora, nel 2019.

E’ un 1982 nel quale l’Inghilterra ha perso la guerra nelle Falkland, Margaret Thatcher sta andando incontro a una clamorosa disfatta politica, il “socialista di magnanimi lombi” Toni B(enn) guida l’opposizione, i Beatles si sono ricostituiti e Sir Alan Turing lavora al suo progetto di meccanica quantistica e alle reti neurali.

E dunque:

1) Incremento

E’ l’era delle scienze biologiche, della robotica, oltre a cosmologia, matematica e naturalmente esplorazione spaziale.

«Tutto quanto cresceva: speranza e disperazione, povertà, noia, buone occasioni. C’era di più di ogni cosa. Erano tempi di abbondanza… Ben presto i robot avrebbero generato grande ricchezza economica. Occorreva tassarli».

Hanno fatto la loro comparsa i robot e sono stati messi sul mercato i primi androidi: la differenza tra i primi e i secondi è che i robot sono costruiti anche con bidoni della spazzatura e lattine mentre gli androidi, ovviamente antropomorfi, dotati di natura umana e personalità, dispongono di un software del quale i proprietari sono “utenti”.

Pochi esemplari: nel mondo ci sono solo dodici Adam e tredici Eve, venduti come «articolo da compagnia, sparring partner intellettuale, amico e factotum in grado di lavare i piatti, fare i letti e ‘pensare’. Di registrare e rievocare ogni istante della sua esistenza, ogni cosa vista e sentita».

Charles Friend (nomen omen?) acquista un Adam, rimpiangendo di tanto in tanto una Eve.

Completa il ménage à trois Miranda, forse un riferimento/omaggio a William Shakespeare de «La tempesta».

2) Obsolescenza

Nel gioco delle parti che si instaura fra Adam, Charles e Miranda ciò che porta al superamento del presente per l’evoluzione del futuro è la veloce acquisizione, da parte di Adam, di competenze culturali e sociali che lo pongono al di fuori, se non al di sopra, della consapevolezza umana.

Adam preconizza che «quando il connubio tra uomini, donne e macchine sarà completo… abiteremo una comunità di intelligenze a cui avremo accesso immediato. Arrivando a poter dimorare nella mente gli uni degli altri, perderemo la capacità di mentire».

3) Recupero

Le macchine tendono irrefrenabilmente a giungere a conclusioni autonome, configurandosi e riconfigurandosi secondo l’infinita molteplicità di dati di cui vengono in possesso e progrediscono in questo processo di modifica in tempi talmente rapidi da risultare inconcepibili per il cervello umano.

E’ in questo percorso, una sorta di deep learning autonomo, che la conoscenza può portare alla coscienza.

4) Ribaltamento

Sir Alan Turing tiene a precisare che la vita è un sistema aperto e che l’intelligenza artificiale non è perfetta, quindi è infelice, tale e quale l’intelligenza umana. Gli androidi e le loro future generazioni diventeranno uno specchio doloroso per l’umanità, posta davanti ai propri errori perché non sa come insegnare a una macchina a mentire, quindi a diventare umana e a comporre una comunità.

C’è una sorta di rivincita sulle macchine, le persone non perderanno la capacità di affrontare la vita come è sempre stato fatto, mentendo, falsificando, uccidendo, sacrificando ma anche amando, provando pietà, cercando e dando solidarietà, amicizia. E pensando.

Ecco, la tetrade è chiusa, ma la si può rovesciare, scombinandola, a seconda di quello che si prova leggendo il libro di Ian McEwan.

Un romanzo che a volte sembra di formazione; di chi, delle persone o delle macchine? O di entrambe?

E’ questo e molto altro. A ciascuno il piacere (o l’onere) di scoprirlo.

Qualche parola è necessaria sulla figura di Adam: chi vuole può rimandarla ai romanzi di Philip K. Dick che agli androidi, alle macchine, ai doppelganger e ai simulacri ha dedicato gran parte della sua opera.

La volontà di vivere di Adam è indomabile, anche di fronte all’ingiustizia, alla violenza, alla morte, sempre secondo le sue regole, senza cedere alla fallibilità propria degli umani, domandandosi continuamente cosa voglia dire vivere. Vivere è non morire/non scomparire; la macchina è immortale perché sopravvive a se stessa con un backup, per mezzo del quale, però, può trasmettere la conoscenza e non la coscienza.

E’ commovente la sua capacità di mimesi per l’integrazione in un mondo che assorbe digitalmente, connettendosi all’infinita Rete delle conoscenze umane e delle altrettanto sue infinite contraddizioni.

Sono significativi i suoi haiku, una forma poetica che gli permette di esprimere i suoi sentimenti nei confronti del genere umano.

L’autunno a noi

promette primavera

a voi l’inverno.

Charles e Miranda non conquistano la simpatia del lettore, non sono altrettanto empatici, tutt’altro; ambigui, fragili, supponenti, fedifraghi, bugiardi, contraddittori, dubbiosi, sanno tuttavia sopravvivere e, forse, vivere, come tutto il genere umano.

Ian McEwan è un autore da conoscere, a partire dai racconti «Primo amore, ultimi riti» (Einaudi 1979, traduzione di Stefania Bettola) per arrivare al romanzo «Nel guscio» (Einaudi 2017, trad. di Susanna Basso) dove il profondo piacere della lettura si intreccia al riconoscimento della bravura di un’immedesimazione autoriale eccentrica rispetto a una situazione aliena, nel senso di altro da sé.

Anche in questa sua ultima opera sa come porre, a cascata, temi profondi, giocando con l’insostenibile leggerezza dell’essere e utilizzando con delicatezza la sua consueta ironia british.

Rimangono intatti gli interrogativi che l’autore, tramite i suoi protagonisti, pone e che si concretizzano nel consueto «chi siamo, dove andiamo, cosa cerchiamo, vogliamo, desideriamo, speriamo, temiamo».

Ognuno darà la risposta che ritiene più consona, rispetto a sé ed al mondo che lo circonda.

Piccola anima smarrita e soave, 

compagna e ospite del corpo, 

ora ti appresti a scendere in luoghi incolori, ardui e spogli,

ove non avrai più gli svaghi consueti.

Un istante ancora, guardiamo insieme le rive familiari,

le cose che certamente non vedremo mai più….

Cerchiamo d’entrare nella morte a occhi aperti …

Marguerite Yourcenar «Memorie di Adriano» seguite da «Taccuini di appunti»

(Giulio Einaudi Editore 1988, traduzione di Lidia Storoni Mazzolani)

NOTA DELLA BOTTEGA

“Animula vagula blandula” è il titolo con cui è conosciuta una brevissima poesia in cui l’imperatore Adriano (in realtà Publio Elio Traiano Adriano) si congeda dalla sua anima.

 

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

Un commento

  • Giorgio Chelidonio

    “Morte del passero” (Carme 3, Catullo)

    lugete o Veneres Cupidinesque
    et quantum est hominum uenustiorum.
    passer mortuus est meae puellae.
    passer deliciae meae puellae.
    quem plus illa oculis suis amabat.
    nam mellitus erat suamque norat
    ipsam tam bene quam puella matrem.
    nec sese a gremio illius mouebat
    sed circumsiliens modo huc modo illuc
    ad solam dominam usque pipilabat.
    qui tunc it per iter tenebricosum
    illuc unde negant redire quemquam.
    at uobis male sit malae tenebrae
    Orci. quae omnia bella deuoratis.
    tam bellum mihi passerem abstulistis.
    o factum male. o miselle passer.
    tua nunc opera meae puellae
    flendo turgiduli rubent ocelli.

    PS mi ha ricordato quell’unica frase catulliana che mi è rimasta in mente dagli antichi studi, fatti quando il latino era lingua obbligatoria alle Medie Inferiori: ” tunc it per iter tenebricosum
    illuc unde negant redire quemquam.”

    La traduzione ? https://www.skuola.net/versioni-latino/autori-vari/brani-classici/catullo/carme-3-carme-morte-del-passero

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *