«Assalto alla Lombardia»

Recensione di Gian Marco Martignoni al libro di Michele Sasso (Laterza), dedicato ad evidenziare tutti i disastri combinati dall’edilizia pubblica ai trasporti, dalla sanità all’educazione scolastica.

 

 

La recente tornata delle elezioni regionali, che hanno visto una netta affermazione del centro-destra, si sono caratterizzate per un astensionismo di proporzioni inedite e preoccupanti, poiché quando i votanti sono nell’ordine del 37,2 % nel Lazio e del 41,7 % in Lombardia, è evidente che nel corpo elettorale si è sedimentato più di un malessere rispetto alle inefficienze e agli inconvenienti che si ripercuotono sulla vita quotidiana delle persone.

Anche la riconferma di Attilio Fontana alla guida della Lombardia non può occultare l’enorme tracollo della Lega sul piano dei consensi, valutata la tabella di comparazione con gli altri appuntamenti elettorali dell’ultimo quindicennio. Per capire cosa può aver determinato, al di là degli schieramenti politici, una così marcata disaffezione dell’elettorato rispetto alla gestione regionale della cosa pubblica, risulta interessante la lettura del libro di Michele Sasso “Assalto alla Lombardia “ (Editori Laterza, pag. 247, euro 20), perché evidenzia tutti i disastri combinati in ogni settore d’attività – dall’edilizia pubblica ai trasporti, dalla sanità all’educazione scolastica, ecc… -, da una classe politica dedita all’autocelebrazione, ma tutt’altro che specchiata.

Il liberismo in “salsa lombarda“, avendo favorito la penetrazione dell’iniziativa privata nel complesso della macchina statale, ha coinciso con la spartizione clientelare e scientifica di ogni carica pubblica da parte di Forza Italia e Lega, unitamente al dilagare del binomio affarismo e corruzione. Crolla, paragrafo dopo paragrafo, il mito dell’eccellenza lombarda nel campo della sanità, poiché la magistratura è stata costretta ad un super lavoro per indagare una classe politica avida, rapace e decisamente sfrontata nei reiterati comportamenti immorali. La degenerazione lombarda del welfare state è decollata con la legge n 31 del 1997, mediante il grimaldello della sussidarietà orizzontale, che ha permesso in quasi tre decenni alle infrastrutture private di passare , grazie alla “libera scelta“, dal 10 % al 40 %. Al punto che su 238 ospedali ben 104 sono privati, mentre i consultori pubblici da 209 sono scesi a 157, in quanto quelli privati, di matrice cristiana, sono cresciuti da 56 a 98.Le conseguenze di queste scelte hanno determinato, con la beffa delle liste d’attesa, una sanità che discrimina sul piano della prevenzione e della cura chi non è abbiente, mentre semmai è molto attenta sul piano dei profitti ad attirare pazienti da altre regioni.

La vicenda della pandemia-sindemia da Covid-19, con gli oltre 40.000 morti in Lombardia, ha fatto emergere tutti i limiti derivanti dai mancati investimenti nel campo della medicina territoriale e di prossimità, tanto che il confronto con le lungimiranti politiche attuate dall’Emilia-Romagna è impietoso.

Nel decennio 2009-2019 l’Emilia-Romagna ha realizzato 120 case della salute, mentre in Lombardia, dopo un immenso spreco di risorse pubbliche per la società in house Aria e la carta regionale dei servizi (Crs), le case di comunità inaugurate a tempo di record da Letizia Moratti si sono rivelate solo un mesto e ridicolo cambio d’insegna delle strutture esistenti. Ma il disprezzo per la salute e la qualità della vita dei cittadini ha raggiunto vertici inauditi nell’intreccio perverso tra culto della motorizzazione di massa ( con quasi 7 milioni di veicoli circolanti ), cementificazione selvaggia e consumo di suolo spaventoso e infinito, malfunzionamento di Trenord e deregolamentazione totale nello spargimento dei fanghi da depurazione – notoriamente cancerogeni – nei campi agricoli; dato che per la mancanza di addetti specializzati i controlli ambientali delle Ats sono diminuiti del 40 %.

Tutto ciò è avvenuto in stretto rapporto con gli interessi cinici e mortiferi dei comparti più retrivi del padronato. Pertanto, nella regione più inquinata d’Europa, con un numero elevato di morti da smog, gli investimenti nell’autostrada Brebemi e nella Pedemontana si sono tradotti in due flop annunciati a carico dell’erario e con la conseguente devastazione del territorio. Al contempo, la vita di settecentomila pendolari è stata trambustata dal mancato potenziamento del servizio ferroviario e da un carente manutenzione del parco mezzi a disposizione di Trenord. Non casualmente contro lo scempio del territorio e per rivendicare un servizio sanitario pubblico e gratuito sono sorti molti comitati di “resistenza popolare“ nel campo sanitario, civico e ambientalista.

Inoltre, a proposito di salvaguardia dei beni comuni e della salute pubblica, il Comune di Brescia si è addirittura appellato al Consiglio di Stato per rivendicare la tutela di alcune aree verdi contro le pretese edificatorie della regione; mentre da tempo è in corso uno scontro acceso tra Palazzo Lombardia e Palazzo Marino in merito alle varie misure che le giunte di centro-sinistra, con Giuliano Pisapia prima e ora con Beppe Sala, hanno adottato per vietare la circolazione ai mezzi con maggior impatto ambientale e ridurre l’inquinamento dell’aria. Infatti, nonostante le tre procedure d’infrazione della Commissione Ue che pendono sull’Italia, le giunte regionali, buon ultima quella di Attilio Fontana, hanno preferito la strada lassista delle deroghe al blocco del traffico, nel vano tentativo di tutelare alcune categorie professionali del loro elettorato.

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