C’era una volta… il Nicaragua rivoluzionario

Adesso, invece, a dominare è la propaganda embedded

di Bái Qiú’ēn

Guarda come son tranquilla io / Anche se attraverso il bosco / Con l’aiuto del buon Dio / Stando sempre attenta al lupo. (Lucio Dalla, Attenti al lupo)

iam pridem nam qui dabat olim imperium, fasces, legiones, omnia, nunc se continet atque duas tantum res anxius optat, panem et circenses. (Giovenale, Satire X, 77–81)

Chi ha una certa età, ricorda il mitico colonnello dell’aviazione Edmondo Bernacca. Colui che tutte le sere sull’unico canale della Rai allora disponibile ti diceva le previsioni del tempo per il giorno seguente. «Domani, sole che spacca le pietre». Bene, allora uscivi con l’ombrello e la sicurezza che sarebbe scesa acqua a catinelle. «Domani nevica con un freddo polare» e uscivi in maglietta, bermuda e zoccoli da spiaggia, senza scordare gli occhiali da sole e la crema protettiva contro i raggi U.V.A. Bastava comportarsi esattamente al contrario di ciò che il colonnello prevedeva.

In Nicaragua, invece, i malgovernanti attuali hanno capito che è meglio dire e ripetere costantemente che sarà sempre bello, così tutti sono contenti e tranquilli. Se, caso mai, dovesse piovere non se la prenderanno con chi ha sbagliato la previsione: in fondo, ha fatto del suo meglio.

Invece, gli oppositori (sempre e comunque brutti, sporchi e cattivi) non hanno capito che dicendo continuamente che il tempo sarà orrendo, e poi lo è davvero, la colpa è di chi lo ha predetto, cioè di loro stessi. Ostinandosi a dire che le cose vanno male e andranno peggio, come minimo saranno accusati di essere dei menagrami. Soprattutto se le previsioni si avverano.

Morale della favoletta meteorologica: bisogna sempre prevedere cose belle e un futuro splendido e radioso, così il popolo è felice e ti vuole bene. È un corollario indispensabile alla vecchia teoria del panem et circenses di Giovenale. Se, poi, le cose belle non si avverano e il Paradiso Terrestre tarda ad arrivare, si può sempre dare la colpa ad altri. Il classico scaricabarile funziona quasi sempre, specialmente quando il lavaggio del cervello è costante, martellante e insistente. Quelli che Vance Packard nel 1957 definì «persuasori occulti» (Hidden Persuaders), possono oggi essere denominati «manipolatori sociali».

Detto in poche parole, a tutti piacciono le buone notizie, anche se inventate, anche se inverosimili, anche se irrealizzabili. È solo questione di marketing (“vendere” un partito o un presidente con relativa vice-presidente, non è diverso dal vendere uno shampoo). Perché, come in tutte le favole, il lieto fine prevede che «vissero tutti felici e contenti».

La realtà è che le favole che conosciamo, quelle che ci raccontavano le nonne per farci addormentare, sono state tutte edulcorate e falsate, esattamente come quelle che gli attuali governanti pseudo-sandinisti raccontano quotidianamente ai nicaraguensi (ripetute come pappagalli dai propagandisti un tanto al chilo). Invece, i racconti popolari da cui derivano, quasi sempre contrapposti alla religione istituzionalizzata, non avevano e non hanno lo scopo di moralizzare o educare, limitandosi a esporre la crudeltà umana in modo “diverso”, con metafore, come nel caso del lupo di Cappuccetto Rosso.

«Nonna, perché hai denti così grandi?».

«Per mangiare meglio, piccola figlia.».

E il lupo la mangiò.

Cappuccetto Rosso, nella versione originale nata sulle Alpi orientali e tramandata in forma orale per secoli, è divorata tranquillamente dal lupo cattivo e non esiste alcun cacciatore buono che giunga opportunamente in soccorso, personaggio inventato e aggiunto dai fratelli Grimm nel 1812. I quali, dopo le già notevoli variazioni politically correct di Charles Perrault (Histoires ou contes du temps passé, avec des moralités, 1697), adattarono ulteriormente un racconto truculento alla sensibilità “buonista” dell’epoca.

C’era una volta, in Nicaragua, una Rivoluzione che aveva il progetto di costruire una società più equa e giusta per tutti. Da tempo, però, si assiste a una lotta intra-familiare che vede Daniel aggrappato alla carica di Presidente della Repubblica come una cozza allo scoglio, ormai unica sua ragione di vita, e Rosario che vuole sedersi al più presto sulla stessa curul. È il sogno della sua vita, finora irrealizzato.

Entrambi ormai lontani anni luce dagli anni Ottanta, il loro unico interesse è il potere per il potere. «…da molto tempo questo popolo ha perso interesse per la politica, e se prima concedeva comandi, fasci, legioni, insomma tutto, ora lascia fare e desidera solo avidamente due cose: pane e giochi da circo», affermò il Giovenale di cui sopra. E via con la costruzione di nuovi e megagalattici stadi in varie località del Paese: León, Estelí, Masaya, La Libertad (Chontales), Sébaco, ecc. perché, per reggersi, il socialismo orteguista, più che di ospedali e di scuole, ha parecchia necessità di ludi circenses.

In quell’ormai lontano 2 agosto 2016, pochi minuti prima della chiusura della registrazione delle candidature presidenziali, in cuor suo Rosario sentiva che si stava rapidamente avvicinando alla realizzazione del suo sogno, mettendo il proprio nome come candidata alla vicepresidenza e collocandosi nella linea diretta di successione, come in ogni monarchia assoluta che si rispetti. Al tempo stesso, era a un passo dall’essere la futura candidata ufficiale per la Presidenza della Repubblica alle successive elezioni del 2021, se fosse riuscita a giocare le sue pedine in modo efficace ed efficiente. Ma scivolò rovinosamente sulla classica buccia di banana: se gli eventi dell’aprile 2018 hanno lasciato un netto perdente, questo è proprio lei (perdonate il bisticcio grammaticale, ma ormai ci siamo abituati, con il nostro Giorgia). Nonostante la ricandidatura alla vicepresidenza nel 2021 e l’inevitabile elezione, è ormai una persona disperata che sa di essere in un vicolo cieco e non può raggiungere i suoi obiettivi finché Daniel respira o, come direbbe il nostro Sommo Poeta: «e mangia e bee e dorme e veste panni». Ma è pure cosciente che se il “simbolo” Daniel scompare, la sua presidenza non sarà rose e fiori (ammesso che ci arrivi), per quanto in questi ultimi anni siano aumentati a dismisura la sua influenza e il suo potere personale sulle istituzioni.

Ragionando sull’ipotetica morte di Daniel, nel novembre del 2019 Edén Pastora propose che il più alto organo politico del FSLN (il Congresso Nazionale) dovesse scegliere il suo successore, per quanto fosse ben cosciente che «nos hace falta ese partido que existió en los 80». Questa decisione avrebbe annullata l’ambizione di Rosario di ereditare la carica. Lungi da noi ogni ipotesi complottista, ma per pura coincidenza nel giugno dell’anno successivo Edén Pastora esalò il suo ultimo respiro in un reparto di terapia intensiva dell’Ospedale Militare di Managua, forse per insufficienza respiratoria, forse per infarto, forse per il Covid…

Cosciente di questa realtà negativa (per lei), Rosario si accanisce nei confronti di chiunque osi avanzare delle critiche, seppur blande, nei suoi confronti. «La Grande Sorella vi guarda» e il suo pollice verso è sempre in funzione. Lo stesso accade per tutti coloro che possono farle ombra, a partire dallo stesso Daniel. Tutto ciò che dice o che fa, rientra nell’idea ossessiva e paranoica che lei ha sempre ragione (specialmente quando ha torto). Di più: qualsiasi cosa accade di buono è «gracias a Dios, al comandante y la compañera». Se ti pagano il salario il giorno giusto e senza ritardi è «gracias a Dios, al comandante y la compañera». Se arriva la tredicesima è «gracias a Dios, al comandante y la compañera». Se i medici dell’ospedale X riescono a curarti e a salvarti la vita è «gracias a Dios, al comandante y la compañera». Se l’autista ubriaco non ti investe è «gracias a Dios, al comandante y la compañera». E via delirando in quello che è molto più di un semplice desiderio di protagonismo.

Rosario pensa che chiunque sia un potenziale nemico che possa tradirla, poiché sa di non essere amata né benvoluta da nessuno… nemmeno dallo stuolo degli adulatori che le scodinzolano attorno per ammirare da vicino i suoi abiti multicolori, le mani piene di anelli e i polsi di bracciali. Con la speranza che cada qualche briciola.

Mancando totalmente di empatia, gli epiteti e le offese con cui quotidianamente, da quasi cinque anni, denigra gli oppositori e i semplicemente critici sono un modo per squalificare le persone, ma non vanno alla radice del problema, che è politico e di lotta per il potere. Arrivando al limite estremo di dire che non sono umani (senza rendersi conto che la stessa definizione fu usata dai nazisti negli anni Quaranta del secolo scorso: Untermenschen, sub-umani). Si trattta di una forma di razzismo, neanche tanto mascherata, che ha trovato il suo culmine nella cancellazione della nazionalità a chiunque non la pensasse come lei, detentrice del pensiero unico vigente in Nicaragua.

Eppure, qualcuno ricorda ancora le parole di una vecchia canzone rivoluzionaria del gruppo Pancasán: «Y dicen los sandinistas / con un clamor oportuno / “Habrá patria para todos / O no habrá para ninguno”» (De la libertad del pueblo, 1979).

Se negli anni Ottanta i nove comandanti (caudillo collettivo) giravano costantemente il Paese, rendendosi conto di persona della realtà, dei problemi, delle inefficienze e dei ritardi, dal 2007 a oggi bastano le dita di una mano monca per contare gli incontri diretti sia di Rosario sia di Daniel con la popolazione, parlando a tu per tu con le persone. Vivono all’interno di una bolla che si sono costruiti in questi anni, nella quale esiste soltanto la loro realtà immaginata e immaginaria. O, per usare le recenti parole di Papa Francesco relative proprio a Daniel e alle sue decisioni: «Con grande rispetto, non ho altra scelta che pensare a uno squilibrio nella persona che dirige [il Paese]». Si può concordare o meno con il pontefice, ma resta il fatto che nessun governante con un minimo di lucidità politica si sognerebbe di sospendere le relazioni con il Vaticano, come ha fatto il governo del Nicaragua il 12 marzo (chiedendo pure la chiusura delle rispettive sedi diplomatiche), dopo avere nei fatti espulso il nunzio apostolico Waldemar Stanisław Sommertag nel marzo del 2022 e dando inizio a un periodo di forte ostilità nei confronti della Chiesa cattolica locale, fino a obbligare la le suore di Teresa di Calcutta a lasciare il Paese, la Caritas locale a chiudere i battenti, e proibendo persino le processioni e le via crucis nel periodo della Quaresima e della Settimana Santa (Pasqua). Come se non bastasse, il 21 febbraio Daniel ha definito il papa e la curia come una mafia: «Los obispos, los curas, los papas son una mafia». Noi italiani sappiamo bene cosa sia il Vaticano in quanto istituzione, ma poi non ci si può meravigliare delle parole del pontefice che paragona la situazione del Nicaragua a quella della Germania hitleriana: «Son un tipo de dictaduras groseras. O, para usar una distinción linda de Argentina, guarangas». Appunto di parole si tratta, che rispondono a quelle precedenti pronunciate da Daniel, ma quando, per quasi cinque anni, si è ripetuto che in Nicaragua esiste la libertà di parola e che chiunque può esprimere il proprio pensiero, il castello di carte presenta un’evidente crepa: libertà di parola a senso unico. E, come si dice comunemente, il rattoppo pare assai peggiore dello strappo, anche in considerazione delle precedenti parole di Francesco: «La Santa Sede non se ne va mai da sola. La cacciano. Cerca sempre di salvare le relazioni diplomatiche e tutto ciò che si può salvare con la pazienza e il dialogo» (dicembre 2022).

Negli ultimi anni soprattutto Rosario, che qualcuno definisce «nacatamal mal amarrado»*, ha assunto le sembianze di una orwelliana Grande Sorella che fa di tutto per essere onnipresente attraverso i media e centralizza le informazioni su tutto ciò che accade nel Paese, per dimostrare che sa tutto, vede tutto e controlla tutto, grazie all’uso della religione (nei quotidiani resoconti “istituzionali” colmi di halleluya sulla eccezionale crescita economica del Paese e sul benessere sempre più diffuso, alterna la lettura di versetti biblici, interpretati pro domo sua), poiché sa che la maggior parte del popolo nicaraguense è credente e le sue profonde convinzioni sono il principale quadro di riferimento nel quale le singole persone adattano la loro vita e il loro mondo. È un modo per cercare di avere una maggiore legittimità, convinta che la gente pensi: «Se questi due sono buoni cristiani, devono per forza essere buoni governanti». Equazione da tre soldi in un Paese dove nessuno sa effettuare una semplicissima operazione matematica senza la calcolatrice: se devi pagare 55 pesos e non vorresti riempire le tasche di monetine allungandone 105, qualunque commerciante ti guarda con aria interrogativa, poi ti restituisce i 5 e ne aggiunge 45.

Così, con Daniel a Cuba per curarsi e lasciata sola a dirigere il Paese, Rosario (per usare una recente e felice espressione nostrana) non ha visto arrivare la bufera del 2018 e si è mossa come il classico elefante nella cristalleria.

Se ufficialmente è una presidenza bicefala (Presidente e co-presidenta), è più che evidente che a lei non basta co-governare, dovendosi limitare al ruolo di papessa in pectore. Per quanto nessun ministro, nessun magistrato, nessun funzionario si azzardi a fare un passo senza il suo benestare, la denominazione «Presidenta» le manca più dell’ossigeno.

Questa è la vera “seconda fase della Rivoluzione”, che proseguirà finché le dispute in privato tra i due (che si riproducono all’interno sia della dirigenza del FSLN sia dell’apparato statale e pubblico), e ormai sono alla luce del sole, non romperanno l’incantesimo e i militanti sandinisti vedranno con i loro occhi che, se non intervengono nel ruolo di cacciatore (speriamo senza fucile, ma con decisione), la favola è destinata a finire con il lupo che divora Cappuccetto Rosso, la nonna, il cestino, Perrault e i fratelli Grimm. E, forse, pure Biancaneve, i sette nani e Pinocchio.

Ciò che ci disse Augusto qualche settimana fa (nome di fantasia, ribadiamo), ci è stato ripetuto quasi testualmente da un altro ex combattente storico a León che partecipò alla runga, la liberazione della città dalla Guardia Nacional somozista. Aggiungendo sconsolato che il FSLN non esiste più e lo stesso vale per la Rivoluzione, ormai morta e sepolta. Il che ci fa pensare che, ora che l’opposizione (definita “di destra”, in modo assolutamente generico e non rispecchiante la realtà, con un termine comodo solo per la facile propaganda) è stata zittita e annullata, stia crescendo in modo esponenziale la “fronda” all’interno della militanza di un FSLN trasformato a immagine e somiglianza di Daniel. Proprio per questo potrebbe implodere a causa delle tensioni sempre più evidenti tra il vertice e la base (soprattutto i combattenti storici). Del resto, come pare abbia detto un certo Albert Eistein: «Non si può risolvere un problema con la stessa mentalità che l’ha generato».

Cosa accadrà nel breve-medio periodo nessuno può dirlo con certezza, ma non ci meraviglieremo se pure una parte dei combattenti storici prima o poi fossero dichiarati «traditori della Patria» e privati della loro nazionalità, poiché la Patria è solo quella barricata nel bunker di El Carmen. Il primo a rischiare seriamente è Humberto, il fratello di Daniel, con le sue reiterate dichiarazioni alla stampa internazionale: «Rosario Murillo ha il peso che Daniel Ortega vuole darle. Ha detto pubblicamente, anche se non è costituzionale che, per lui, lei è co-presidente. Sta dicendo che lui e lei sono al comando» (El País [Spagna], 11 marzo 2023).

In ogni caso, questi combattenti storici resi apatridi non avranno che l’imbarazzo della scelta per la nuova nazionalità: non soltanto la Spagna, il Costa Rica e Panamá, ma persino la Colombia, il Messico, l’Argentina, il Cile e più di recente pure il Brasile di Lula hanno offerto la loro: Paesi che rappresentano la spina dorsale di quella che è definita la «seconda ondata progressista» dell’America latina hanno scelto di isolare sempre più Daniel Ortega e la Papessa, con il loro sistema sempre più palesemente autocratico. Ma per la propaganda embedded sono tutti Paesi governati da controrivoluzionari al soldo di Washington, fideisticamente convinta che ciò che vede (o le “suggeriscono” di vedere) è bianco anche se è palesemente nero e, in puro stile pavloviano, si ostina a ripetere che è bianco.

* «Nacatamal legato male». Il nacatamal è un piatto tipico del Nicaragua, di origine precolombiana, costituito da un impasto a base di maiz macinato, carne, verdure e riso. Il tutto va cotto in acqua, avvolto in una foglia di banano e legato ben stretto, possibilmente con fibre vegetali, per evitare che il contenuto si disperda nell’acqua.

Redazione
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