Che ci fa Lenin su Marte-dì?
Dove db s/ragiona sul bellissimo «Proletkult» di Wu Ming
Secondo me il collettivo Wu Ming (all’anagrafe 20 anni circa, so’ pupotti ancora) non ha sbagliato un libro. Quale più riuscito e quale un filino meno sono tutti notevoli: “facile” direte voi nell’Italia catatonica. Manco per un cavolfiore: resistere a ricatti, lusinghe, pigrizie… restare intelligenti e controcorrente, farsi capire senza cadere nelle banalità è sempre impresa dura.
Ciò premesso ecco la mia annunciata (*) rec a un romanzo di quasi fantascienza ma anche forse di quasi marxismo quasi bambino: «Proletkult» (340 pagine per 18,50: come al solito Einaudi).
Il prologo ci porta nell’impero russo: il 26 giugno 1907 un drappello di rivoluzionari (“banditi” direbbero gli zaristi) puntano a «un prezioso bagaglio di sacchi». Li guida Kamo – all’anagrafe Simon Arshaki Ter-Petrosian – e se vi incuriosite di lui dovrete cercare sulle bancarelle o in biblioteca un vecchio libro – qui sotto la copertina – chissà quanto agiografico (faccio mio il dubbio di Riccardo Mancini che lo lesse e me lo raccontò con entusiasmo misto a perplessità) perchè subito scompare dalle pagine del romanzo.
Un bel salto al dopo rivoluzione.
Al solito non dirò la trama, confortato da Wu Ming che spiega: «E’ impossibile risalire alla sorgente di una storia […] Chi adesso ascolta più tardi narrerà […]. E anche quando si tratta di un libro, quanto della sua storia è già nelle pagine e quanto viene dal lettore? La materia allo stato puro non esiste […] Impossibile stabilire chi sia l’autore di un simile intreccio».
Segnalo: il concetto di Adaeth (pagg 188-189); «Marx non ci ha insegnato cosa si può o non si può fare… i suoi scritti sono come attrezzi, un modo di ragionare per agire»; l’inizio dello stakonivismo (pagg 272-275); Aleksandr Bogdanov che si definisce «un marxista marziano»; e per chi dice no alla vivisezione un’utile citazione-deduzione di Charles Darwin (pag 312); e soprattutto la «pseudologia fantastica» che sembrerebbe al centro del romanzo.
Un epilogo bello, spiazzante: risolutivo di ogni dubbio perchè paradossalmente li alimenta tutti.
Ah, se c’è ancora qualcuno (leninista?) che alza il cipiglio e ;sentenzia “ma questa è letteratura d’evasione” Wu Ming lo mette al tappetto con questa domanda-uppercut: «se la realtà è una prigione, è cos’ sbagliato cercare di evadere?» con relativo contraddittorio (pag 234-235).
Secondo me fare a meno di «Proletkult» – come degli altri libri dii Wu Ming – è insensato.
Sconsigliato solo a chi (con o senza passamontagna) ripete che Lenin aveva sempre ragione.
Questi giovinotti saccentoni non mi suscitano nessuna simpatia.
Allievi di non so chi, forse di Umberto Eco?…, evitano di usare i loro veri nomi e non mi sembra una buona cosa.
Vetero leninisti, fanno gli antagonisti, ma hanno entrature da paura nel mondo dell’editoria mainstream. E questo mi fa storcere il naso, alquanto. Chi, invece, meriterebbe una visibilità, non riesce a pubblicare.
Tutti gli ambienti si equivalgono, perché sono sottoposti alle stesse regole esclusive e mafiose.
pienamente d’accordo con DB: i Wu Ming non sbagliano un colpo! e non solo con i loro romanzi, anche con tutte le loro prese di posizione politiche. La loro capacità di far rivivere periodi storici in risonanza con l’attualità è preziosa.
Sì, forse sul piano letterario potremmo considerarli un po’ allievi di Umberto Eco, ma è forse un limite?
Romanzo molto bello, ed è il primo dei Wu Ming che leggo ^_^ Pieni e intensi l’intreccio, i personaggi, i significati e anche le ispirazioni, forse la voce narrante è un po’ fredda per i miei gusti. Ma sì, grande romanzo politico e umano.
Peccato non poterlo leggere. Qualche pietoso ha la versione elettronica e me la manda?