Serhildàn Kurdistan!
“Su la testa, Kurdistan!” è la traduzione di “Serhildàn Kurdistan!”, un libro a cui aveva lavorato nel 2003 il compagno Dino Frisullo e incentrato sull’intifada kurda in Turchia. Questo titolo ci sembra appropriato in un momento in cui il popolo curdo è di nuovo attaccato dall’esercito turco mentre l’Europa guarda da un’altra parte. Qui sotto riprendiamo due articoli tratti da Comune-Info, più due appelli, un documento delle donne (Women Defend Rojava Campaign Committee) con le prime adesioni e un comunicato di Amnesty.
Dichiarazione delle donne: stop alla guerra di occupazione della Turchia contro il nord e l’est della Siria – immediatamente!
![]() Il 9 ottobre 2019 lo Stato turco ha iniziato la sua guerra di invasione e occupazione sul territorio della Siria settentrionale. L’esercito turco sta attaccando tutte le principali città e insediamenti lungo il confine, con attacchi aerei e colpi di mortaio. Secondo le cifre pubblicate da Mezzaluna Rossa Curda (The Kurdish Red Crescent), solo durante i primi cinque giorni di attacchi, sono stati uccisi almeno 46 civili e si contano 139 feriti – tra cui molte donne, bambine e bambini. Attualmente, l’esercito turco insieme a un cosiddetto “esercito nazionale siriano”, composto da mercenari di diversi gruppi terroristici, sta tentando di estendere la propria invasione su quel territorio. Allo stesso tempo, le cellule dormiente dell’ISIS hanno iniziato nuovi attacchi in tutta la Siria settentrionale. Le forze SDF e YPJ-YPG, che hanno liberato la Siria del Nord-Est dal regime terroristico dell’IS, ora stanno dedicando le loro vite per proteggere le persone da nuove occupazioni e massacri. Quelle donne che hanno liberato migliaia di donne della schiavitù sotto IS sono ora bombardate da un esercito NATO. Milioni di vite, di persone di tutte le diverse comunità etniche e religiose, in questa regione, sono sotto minaccia. Diecimila famiglie sono state sfollate. Oltre ai villaggi popolati principalmente da popolazioni curde e arabe, ci sono stati attacchi mirati a quartieri cristiani. È ovvio che questi attacchi vengono portati avanti con obiettivi di pulizia etnica e cambiamento demografico. L’occupazione turca e i crimini di guerra ad Afrin, a partire da gennaio 2018, sono stati fino ad oggi condonati dalla comunità internazionale. Così, la Turchia s’impegna per espandere il suo territorio e imporre il suo dominio su ulteriori regioni della Siria settentrionale e orientale, violando il diritto internazionale e la sovranità stessa della Siria. Allo stesso tempo, la Turchia trascura la volontà dei popoli della regione che hanno vissuto insieme pacificamente, sotto l’Amministrazione democratica autonoma. Gli attacchi della Turchia sono diretti contro gli avanzamenti della rivoluzione delle donne nel Rojava, che è stata una fonte di ispirazione per le donne di tutto il mondo. Le donne, che sono state avanguardia nella costruzione di un modello sociale alternativo, per una società democratica ed ecologica basata sulla liberazione delle donne, sono prese di mira dagli attacchi delle squadre assassine jihadiste. Il copresidente del Partito Futuro della Siria, Hevrin Xelef è stata assassinata in un’imboscata il 12 ottobre, mentre era in viaggio per visitare feriti e sfollati nella regione di Til Temir. Nonostante 8 anni di guerra continua in Siria, le regioni dell’amministrazione Autonoma nel Nord-Est della Siria sono riuscite a garantire diritti democratici e rispondere ai bisogni di tutte le persone in questa regione. Centinaia di migliaia di rifugiati di guerra provenienti da diverse regioni della Siria hanno trovato rifugio qui. Senza alcun sostegno degno di nota da parte delle organizzazioni delle Nazioni Unite, questi rifugiati sono stati accolti, protetti e sostenuti dalle strutture dell’Amministrazione Autonoma. Mentre il governo di Erdogan ha annunciato apertamente questa guerra e i suoi piani di occupazione, la comunità internazionale – compresi gli organi dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) – non ha adottato misure adeguate per impedire che ciò accadesse. Inoltre, potenze egemoniche come la Russia e Gli Stati Uniti hanno incoraggiato l’aggressione della Turchia. I genocidi dell’Impero ottomano contro gli armeni e il popolo siriaco nel 1915 e i massacri contro il popolo curdo a Dersim, Halebje, Nussaybin, Cizire, Afrin … sono ancora nelle nostre menti. Oggi di nuovo, i crimini contro l’umanità sono stati preparati ed eseguiti apertamente, poiché il calcolo dei profitti di guerra conta di più del diritto internazionale, dei valori e diritti umani. Le donne del Rojava hanno sempre sottolineato: “Abbiamo difeso la rivoluzione delle donne con i nostri sacrifici. Conduciamo la nostra lotta a nome di tutte le donne nel mondo”. La guerra della Turchia contro le donne e i popoli del Nord-Est della Siria è un’aggressione contro tutte noi. Mira a colpire gli avanzamenti e i valori delle nostre lotte per i diritti, la libertà e la giustizia delle donne – ovunque. Con la campagna internazionale Women Defend Rojava (Donne in difesa del Rojava), ci uniamo contro il fascismo, l’occupazione e il patriarcato. Alziamo la nostra voce per il riconoscimento dell’autonomia dell’Amministrazione autonoma nel Nord-Est della Siria, per la pace e la giustizia in Siria. Per prevenire nuovi genocidi e femminicidi nel 21° secolo, esortiamo il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, tutti gli organismi competenti della comunità internazionale e i governi ad intraprendere azioni urgenti al fine di: • Fermare immediatamente l’invasione e l’occupazione della Turchia nel Nord-Est della Siria; • Istituire una No-Fly-Zone per la protezione delle vite delle persone nel Nord-Est della Siria; • Prevenire ulteriori crimini di guerra e fermare la pulizia etnica da parte delle forze dell’esercito turco, dell’ISIS, di El Nusra e di altri gruppi terroristici jihadisti; • Processare tutti i crimini e i criminali di guerra; • Interrompere il commercio di armi con la Turchia; • Attuare sanzioni politiche ed economiche contro la Turchia; • Riconoscere l’Amministrazione autonoma democratica dei popoli del Nord-Est della Siria; • Adottare misure immediate per una soluzione politica della crisi in Siria con la rappresentanza e la partecipazione delle donne e rappresentanti di persone di tutte le diverse comunità nazionali, culturali e religiose in Siria. Women Defend Rojava Campaign Committee
Per adesioni:
Prime adesioni: Organizzazioni: Women‘s Council of North and East Syria; Kongra Star; Council of Women in Syria MJS, Union of Free Women East Kurdistan KJAR, Organisation of Freedom Seeking Women Kurdistan RJAK, East Kurdistan Women’s Association Ronak, Kurdish Women’s Public Relation Office REPAK, Kurdish Women’s Movement in Europe TJK-E; International Representation of Kurdish Women’s Movement IRKWM, Kurdish Women’s Peace Office CENÎ; Kurdish Women’s Student Union JXK; Young Women’s Movement Jinên Ciwan; Êzidî Women’s Freedom Movement TAJÊ; Alevit Democratic Women‘s Movement; Free Women‘s Foundation Rojava (WJAR); Initiative of Democratic Muslim Women; Jineolojî Academy; Palestine Women’s Association Lebanon; Women’s Branch of Syriac Union Party Lebanon; Social and Cultural Association NEWROZ Lebanon; Mujeres Terretorios y Resistancias (Santa Cruz / Bolivia); Southall Black Sisters (UK); Revolutionary Association of the Women of Afghanistan (RAWA); Women’s Strike Poland; Mujeres Libres (CNT / Spain); Union Syndicale Solidaires France; International Labour Network of Solidarity and Struggles; Feminist Assembly of Madrid (Spain); Feministas de Abya Yala (Uruguay); Centro de Intercambios y Servicios Cono Sur CISCSA (Argentina); Individui: Mahila Kisan Adhikaar Manch (Forum for Women Farmers‘ Rights, India); Sylvia Marcos (Author, Mexico); Meredith Tax (writer & Emergency Committee for Rojava, USA); Nadje Al-Ali (academician, USA); Collette McAllister (Sinn Féin, Irland); Maria Luiza Duarte Azedo Barbosa (World Women‘s March, Brazil); Dr Radha D’Souza (University of Westminster, UK); Dr Mahvish Ahmad (University of Western Cape, South Africa), Francesca Gargallo Celentani (author and feminist, Mexico); Laura Quagliuolo (editor, Italy); Teresa Cunha (academician, Portugal); Tor Bridges (aunt of Anna Campbell, Producer, UK); Lilian Galan (MPP, Uruguay); Nancy Fraser (professor of philosophy and politics, USA); Dr Mithu Sanyal (author and broadcaster, Germany); Margaret Owen (Widows for Peace through Democracy WPD & Patron of Campaign Peace in Kurdistan, UK); Alba Sotorra Clua (filmmaker, Spain); Rahila Gupta (writer and activist, UK); Dr Mónica G Moreno Figueroa (sociologist, UK); Julie Ward (Member of European Parliament, UK); Prof Sarah Franklin (sociologist, UK); Wendy Lyon (human rights lawyer, Ireland); Dr Zahra Ali (sociologist, USA); Fatemeh Sadeghi (McGill University, Canada/Iran); Dr Sarah Glynn (academician, Scotland); Maryam Ashrafi (social documentary photographer & film-maker, Iran); Dr Hettie Malcomson (academician, UK); Debbie Boockchin (journalist & author, UK); Selay Ghaffar (Solidarity Party of Afghanistan); Dr Marina Sitrin (Binghamton University, USA); Amber Huff (researcher, UK); Christelle Terreblanche (University of Kwazulu-Natal, South Africa); Erella Shadmi (academician, Israel); Molly Crabapple (artist and author, USA); Dr. Soraya Fallah (California State University, USA); Dr. Camilla Power (Radical Anthropology Group, UK); Prof. Flavia Almeda Pita (State University of Feira de Santana Bahia & Incubadora de Economia Popular Soldidaria, Brazil); Houzan Mahmood (writer, UK); Dina al-Kassim (University of British Colombia, Canada), Vilma Rocio Almendra Quiguanas (Indigenous Nasa/Misak, Pueblos en Camino, Colombia); Helina Paul (ecologist, UK); Rane Khanna (filmmaker & lecture, UK); Mechthild Exo (researcher & activist in peace and conflict studies, Germany); Rita Lora Segato (National University of San Martin, Brazil); Prof Emeritus Ana Falu (National University of Cordoba, Argentina); Janet Sarbanes (writer and professor, USA); Charlotte Maria Saenz (academician, USA); Monika Gärtner-Engel (founding member of World Women Conference, Germany); Carla Bergman (writer & film-maker, Canada); Targol Mesbah (academician, USA); Lilián Raquel Galán Pérez (deputy of Parla Sur, Latin America); Sally Jackson (academician, USA); Verónica Mounier (academician, Mexico); … |
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Come possiamo?
di Hawzhin Azeez
E così, per i kurdi, la storia si ripete ancora. Le forze statunitensi, che avevano svolto una funzione di “ammortizzatore” contro l’invasione turca e il massacro dell’Unità di protezione popolare–Unità di difesa delle donne (YPG-YPJ) e del popolo del Rojava, adesso si ritirano dalla regione. Erdogan sta attuando un’invasione totale, per via aerea e terrestre, dal giorno successivo al ritiro degli Usa. Il suo sostegno aperto all’Isis durante tutto il periodo della guerra a quell’organizzazione terroristica, era stato reso pubblico in diverse occasioni.
Non c’è bisogno di ripetere ancora che i Kurdi non hanno mai sparato un solo proiettile verso la frontiera turca, né che mai sono stati una minaccia. Non ne vale la pena. Come non vale la pena di ripetere che la Turchia ha una lunga storia di massacri e genocidi contro i Kurdi e altre minoranze. Oppure che attualmente occupa Afrin, in totale violazione al diritto internazionale, dove le persone vengono sequestrate, massacrate, deportate e torturate ogni giorno e gli Yazidi e i Cristiani vengono obbligati a convertirsi all’Islam.

I tank turchi avanzano. Foto tratta da akhbarak.net
Come possiamo esprimere, in quanto Kurdi, i nostri sentimenti verso questo tradimento della comunità internazionale dopo aver dato tanto per la sua libertà e la pace?
Come potremo sopportare, come Kurdi, il dolore di quel sappiamo, e abbiamo sempre saputo, che porterà con sé questa invasione? Da quante guerre possiamo essere investiti nel corso di una vita? Quante generazioni dovranno ancora essere deportate, ridotte senza patria, senza casa? Quanti di noi dovranno crescere in accampamenti provvisori per poi essere di nuovo puniti ed etichettati come terroristi per aver scelto l’abbraccio delle montagne?

E ancora, in quanto donne kurde, come possiamo parlare del terrore che affronteranno le nostre sorelle alla frontiera del Rojava, quando l’immagine mutilata di Barin nella nostra mente collettiva è ancora tanto fresca e ci mancano tante sorelle Yazide?
E come possiamo sopportare, in quanto Kurdi, e come esseri umani, che una tale ingiustizia e una simile parodia esistano in modo consapevole, apertamente, mentre voi offrite un rituale di parole sulla democrazia e il diritto internazionale e i diritti umani?
Non mi parlate di umanità. Non parlatemi di democrazia. Non mi parlate di solidarietà. Oggi non credo a nulla, sapendo che il sangue dei nostri YPG-YPJ è ancora fresco nei cimiteri del Rojava e che tutto questo è stato anche per voi; ed è tutto invano.
7 ottobre 2019
Fonte: Comunizar
Traduzione dallo spagnolo per Comune-info: marco calabria
Riflessioni di una femminista kurda. Il sito di Hawzhin Azeez, accademica, poeta, attivista e femminista intersezionale.
UNA PROPOSTA: E se usassimo il boicottaggio? Rete Kurdistan
Cari amici e amiche di Jinwar, come donne di Jinwar vi mandiamo un saluto e vi facciamo una chiamata. Come avrete notato, le minacce turche di avviare un’offensiva in The Autonomous Administration of North and East Syria (NES) si sono intensificate (la lettera è stata scritta poche ore prima dell’inizio dei bombardamenti, ndr). Questo tentativo di occupazione è un attacco diretto ed esistenziale alla nostra vita, ai nostri mezzi di esistenza, alla nostra società, alle nostre conquiste e alle nostre lotte come donne.
Jinwar è solo uno degli spazi in pericolo di estinzione in caso di occupazione turca. Il villaggio si trova vicino al confine turco ed è l’Amministrazione autonoma della Siria settentrionale e orientale, che è stata ufficialmente fondata nel 2014 come progetto politico multietnico, radicato nella lotta storica del popolo curdo per il riconoscimento politico, l’uguaglianza e la democrazia.
Senza la rivoluzione del Rojava e le esperienze delle lotte delle donne in tutte le aree geografiche e nella storia, Jinwar non esisterebbe. Sono passati quasi tre anni da quando i primi preparativi sul terreno per la costruzione di Jinwar sono iniziati. Da allora si sono sviluppate molte cose, migliaia di persone sono venute a sostenere il progetto, il villaggio è cresciuto ed è diventato un luogo noto e vivace, importante per molti nella regione. Donne e bambini vivono qui, sviluppando la vita comune, imparando, condividendo, lavorando nei campi e nei giardini, nell’accademia, nella scuola, nel forno, nel negozio del villaggio, nel centro sanitario.
Jinwar rappresenta la realizzazione del sogno di una vita libera, la capacità delle donne di raccogliere la nostra forza e conoscenza e di sviluppare alternative comuni in ogni aspetto della vita, nonostante tutti gli attacchi e le difficoltà che sono parte del percorso.
Non possiamo accettare di perdere ciò che molte hanno costruito. Chiediamo a tutte le donne e tutte le persone di sostenere la nostra resistenza. Alziamo la voce e agiamo per la liberazione delle donne, lottiamo per alternative. Difendiamoci dagli attacchi dello stato turco e tutte le altre forme di violenza patriarcale e oppressione.
Jin, jiyan, azadî!
Traduzione a cura della Rete Jin (Jin è una parola curda che significa donna) – Entrambi gli articoli sono tratti da Comune-Info
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Stop alle vendita di armi italiane alla Turchia
Appello di Amnesty International
Dopo l’ingresso delle forze armate della Turchia nel nordest della Siria, siamo seriamente preoccupati per le devastanti conseguenze che l’offensiva militare potrebbe avere sul piano umanitario.
Come riportato da Rete Disarmo, la Turchia è da molti anni uno dei maggiori clienti dell’industria bellica italiana.
Chiediamo all’Italia di sospendere tutte le forniture di armamenti verso la Turchia e di non limitare lo stop solo alle commesse future.
Armi italiane alla Turchia: i numeri
Negli ultimi quattro anni l’Italia ha autorizzato forniture militari per 890 milioni di euro e consegnato materiale di armamento per 463 milioni di euro. Nel 2018 sono state concesse 70 licenze di esportazione definitiva per un controvalore di oltre 360 milioni di euro.
L’Italia deve sospendere immediatamente tutte le commesse di armamenti alla Turchia.
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La redazione della Bottega segnala anche: I terroristi lasciano Ghouta, i loro cugini islamisti invadono Afrin. Ma il mondo la vede altrimenti (è un articolo di Marinella Correggia del 2018, ma sempre attuale)
https://ilmanifesto.it/la-censura-di-facebook-sostiene-la-guerra-di-erdogan/?utm_term=Autofeed&utm_medium=Social&utm_source=Facebook#Echobox=1571263663
Il quotidiano «il manifesto» insiste – e fa bene- sulla censura dell’impero Facebook contro i curdi e a favore del boia Erdogan. Prima (il 15 ottobre) con un articolo di Daniele Gambetta – intitolato «La “pulizia” dei contenuti pro curdi delle piattaforme» – spiegando, a partire da una foto del reporter Michele Lapini su Instagram, quanto i social censurino: per esempio la pagina di «Blinxet – Sotto il confine, documentario di Luigi D’Alife (con la voce narrante di Elio Germano)», o la chiusura di Rete Kurdistan Cosenza o della pagina Palermo solidale con il popolo curdo. E così via, indietro nel tempo e non solo in Italia. Il 17 ottobre sul tema «il manifesto» torna con due articoli. In prima pagina Simone Pieranni – in «L’inchino dello Stato-Facebook al Sultano» – spiega che è un reato dire «Pkk»; poi Giansandro Merli con l’articolo intitolato «La censura sostiene la guerra contro il Rojava» racconta l’oscuramento delle pagine di Global Project, Milano In Movimento e Contropiano ma «la stessa sorte rischia di toccare a Dinamo Press, Infoaut e Radio Onda D’Urto». Oggi (18 ottobre) di nuovo Giansandro Merli racconta di una conferenza stampa che le testate “tagliate” tengono nella sede del sindacato dei giornalisti con lo slogan «Continueremo a documentare e sostenere le lotte per la giustizia e per i diritti». E questa piccola “bottega” con loro. Contro ogni fascismo, apero o in maschera. [db]