Condoni-casa: catastrofe ecologica e sociale

di Mario Sommella (*)

Quando la povertà è un reato e il cemento un merito: il nuovo voto di scambio al tempo dei condoni

 

In questi giorni, mentre a Belém, in Brasile, alla COP30 si discute di come evitare il collasso climatico, in Italia si torna a parlare di condono edilizio. Da una parte il mondo prova – almeno a parole – a limitare i danni del modello fossile e del consumo di suolo. Dall’altra, un governo che si definisce patriota mette sul piatto l’ennesimo premio all’abusivismo, travestito da “sanatoria”, e lo fa alla vigilia delle elezioni regionali in Campania.

Lo stesso governo che per anni ha insultato il Reddito di cittadinanza definendolo “voto di scambio” e “paghetta per i fannulloni”, oggi usa davvero l’urbanistica come moneta elettorale, ammiccando a chi ha costruito fuori dalle regole. La povertà è stata trattata come un sospetto penale; il cemento fuorilegge, come un bacino elettorale da coccolare.

Dal Reddito “di scambio” al condono di scambio

Sul Reddito di cittadinanza la propaganda è stata implacabile: si è parlato ossessivamente di truffe, di gente sul divano, di “voto di scambio grillino”, come se il vero scandalo fosse aiutare chi non ce la fa. Eppure, le relazioni ufficiali hanno mostrato che il Reddito ha sottratto circa un milione di persone l’anno dalla povertà assoluta, in un paese in cui salari bassi e precarietà non sono un incidente ma un modello sociale.

Nel mirino non è mai stato l’abuso del Reddito – statisticamente minoritario rispetto alla massa dei beneficiari – ma l’idea stessa che chi è povero abbia diritto a una protezione economica, senza doversi vergognare, senza doversi vendere al miglior offerente. Il messaggio politico è stato chiaro: l’aiuto pubblico ai poveri sarebbe “parassitismo”, “clientelismo”, “voto di scambio”.

Oggi lo stesso blocco politico che ha costruito la propria ascesa su questo racconto si presenta con un’altra “offerta”: la riapertura dei termini del condono edilizio del 2003, con un emendamento alla legge di bilancio che, formalmente, vale per tutta Italia ma nasce su misura della Campania, regione che va al voto il 23-24 novembre.

Qui il “voto di scambio” non è una metafora: è un meccanismo politico quasi esplicito. Alla vigilia delle urne, si promette a decine di migliaia di proprietari di immobili abusivi la chance di “mettersi in regola”, dopo vent’anni di inadempienze, pasticci burocratici e convenienza pura. Non si tratta di sostegno a chi non ha nulla, ma di un maxi-sconto a chi ha realizzato un bene patrimoniale violando le regole urbanistiche, paesaggistiche, idrogeologiche.

La povertà, quando viene aiutata, sarebbe “voto di scambio”. Il privilegio, quando viene sanato a posteriori, sarebbe “giustizia sociale”. Una torsione morale perfetta.

Superbonus 110: quando la spesa pubblica è virtuosa (e allora va demonizzata)

Dentro questo quadro stona, come una nota fuori posto, il trattamento riservato al Superbonus 110. Non a un condono, ma a un gigantesco programma di riqualificazione energetica degli edifici: soldi pubblici usati per ridurre consumi, emissioni, bollette, dipendenza dal gas, rilanciare l’edilizia in chiave ecologica.

Per centinaia di migliaia di famiglie il Superbonus ha significato migliaia di euro di risparmio ogni anno in bolletta, case più sicure e meglio isolate, meno dispersioni, meno gas bruciato, meno CO₂ immessa in atmosfera. Non una regalia sulla pietra, ma un’operazione di interesse generale: migliorare il patrimonio edilizio esistente e ridurre la vulnerabilità energetica del paese.

Eppure, il Superbonus è stato agitato quasi esclusivamente come una minaccia ai conti pubblici, una bomba sui bilanci futuri, ridotto alla sola dimensione contabile del “costo” senza considerare le ricadute in termini di occupazione, gettito fiscale, salute e riduzione delle emissioni.

Qui la contraddizione esplode: le misure che redistribuiscono ricchezza verso il basso e abbassano i consumi energetici vengono demonizzate come sprechi; quelle che condonano l’illegalità edilizia vengono rivestite di una retorica pseudo-sociale. Chi ha rifatto cappotto e impianti per consumare meno viene trattato da “approfittatore”; chi ha costruito dove non si poteva viene premiato come “dimenticato dalla burocrazia”.

Campania laboratorio del ricatto elettorale

L’emendamento che riapre il condono del 2003 viene venduto come “riparazione”: migliaia di persone “ingiustamente escluse” dal terzo condono, soprattutto in Campania, per colpa della mancata piena attuazione da parte della Regione di allora. L’idea ufficiale è ridare una chance a chi, pur avendo pagato, è rimasto impigliato nel contenzioso.

Ma la geografia dell’abusivismo racconta un’altra storia. In Italia si contano in media oltre 15 abitazioni abusive ogni 100 regolarmente autorizzate; nel Mezzogiorno la proporzione esplode. In Campania quasi una casa su due è fuori norma, in Calabria, Basilicata e Sicilia le percentuali di edilizia illegale raggiungono livelli da emergenza democratica e ambientale.

Non siamo di fronte a un abusivismo “di necessità” confinato nelle periferie popolari, ma a un sistema pluridecennale che ha coinvolto anche ceti medi e borghesia “perbene”, spesso in zone pregiate: Ischia, la Costiera Amalfitana, i Campi Flegrei, dove ville, case vacanza e strutture turistiche sono spuntate a ridosso di pendii instabili e versanti a rischio.

Le frane e le colate di fango a Casamicciola nel 2022, con morti e sfollati, non sono state una fatalità, ma il conto presentato da decenni di condoni, abusi tollerati, controlli elusi. In Campania, per anni, a fronte di decine di migliaia di ordinanze di demolizione, solo una minima parte è stata eseguita. La certezza implicita era sempre la stessa: prima o poi arriverà un nuovo condono.

Oggi, nella stessa regione, un condono “riaperto” alla vigilia del voto appare non come un atto di giustizia, ma come l’ennesimo segnale di resa dello Stato di fronte alla rendita immobiliare, travestito da attenzione sociale.

Condoni contro il territorio: la guerra al suolo che chiama catastrofi

L’abusivismo edilizio e i condoni non sono un dettaglio tecnico: sono un pezzo centrale della crisi ambientale italiana. Negli ultimi anni l’Italia ha continuato a divorare suolo a ritmi elevatissimi, trasformando campi, argini, aree agricole e spazi naturali in colate di cemento e asfalto.

La fotografia è sempre la stessa: la quasi totalità dei comuni è esposta a frane, alluvioni, erosione, esondazioni. Ogni nuova impermeabilizzazione del suolo aggrava il rischio, ogni condono rafforza l’idea che si possa costruire ovunque e comunque, tanto alla fine qualcuno chiuderà un occhio.

L’elenco degli eventi estremi è ormai un rosario noto: l’alluvione nelle Marche del 2022, la colata di fango a Ischia, l’alluvione in Emilia-Romagna del 2023 con danni miliardari. Ogni volta si parla di “bombe d’acqua”, “eventi eccezionali”, “fatalità”. Molto più raramente si parla di pianificazione tradita, di vallate cementificate, di letti dei fiumi ristretti, di colline sbancate.

Ogni condono, ogni sanatoria allargata, non è solo un gesto amministrativo: è un messaggio politico che legittima il cemento illegale e spinge nuovi abusi. È un “via libera” retroattivo che si imprime nella memoria collettiva: se costruisci fuori norma, prima o poi ti verrà perdonato.

La retorica della “casa per tutti” contro il diritto alla casa

I condoni vengono regolarmente giustificati con l’argomento più delicato: “dare una casa a chi non ce l’ha”. È la formula perfetta per mescolare nella stessa categoria la famiglia che ha chiuso un balcone senza permesso e la speculazione che ha costruito villette, bed and breakfast e palazzi interi in aree a vincolo o in zone a rischio idrogeologico.

La verità è che il diritto alla casa non passa per il perdono generalizzato dell’abusivismo. Passerebbe, semmai, da un grande piano nazionale per l’edilizia pubblica e sociale, che manca da decenni: gli ultimi piani organici risalgono alle stagioni INA-Casa e Gescal, nel dopoguerra e fino ai primi anni Novanta.

Da allora, i governi che oggi promettono condoni hanno lasciato marcire l’edilizia sovvenzionata, preferendo ristrutturazioni “di pregio”, studentati per chi se li può permettere, housing “sociale” a prezzi di mercato e regali patrimoniali a chi una casa (o più di una) già ce l’ha.

Mentre il Reddito di cittadinanza è stato presentato come un “disincentivo al lavoro”, nessuno parla del gigantesco disincentivo alla legalità che rappresenta un condono ciclico. Il primo premia la sopravvivenza dei più fragili; il secondo incoraggia la rendita di chi ha scommesso sull’illegalità. E mentre il Superbonus viene dipinto come spreco, si dimentica che ha permesso a moltissime famiglie di ridurre le spese energetiche e di vivere in case più efficienti e sicure.

Due modelli di società: diritti, clima e lavoro contro rendita e cemento

Messa così, la differenza è netta.

Da una parte c’è una misura – il Reddito di cittadinanza – che, con tutti i suoi limiti, ha ridotto la povertà assoluta, ha dato un minimo di respiro a chi non aveva altro reddito, ha reso meno ricattabile una parte del lavoro povero. Accanto a questa, un intervento come il Superbonus 110 ha provato, seppure in modo imperfetto, a usare la spesa pubblica per ridurre consumi e bollette, spingendo la riqualificazione energetica delle abitazioni.

I problemi, in entrambi i casi, stavano nella gestione, nella mancanza di una regia industriale e sociale, nella scelta di spegnere bruscamente gli strumenti invece di correggerli. Non nel fatto che lo Stato abbia garantito un pavimento di dignità materiale e investito sulla qualità energetica del patrimonio edilizio.

Dall’altra parte c’è un condono che parla a chi possiede, non a chi è escluso. Non redistribuisce ricchezza: stabilizza diseguaglianze. Trasforma un abuso in valore patrimoniale riconosciuto, aumenta i prezzi delle case in aree già congestionate, scarica sul territorio e sulla collettività i costi di frane, alluvioni, manutenzione straordinaria.

Nel primo caso lo Stato dice ai cittadini più fragili: “non sei solo, non sei un peso, hai diritto a esistere” e riconosce che il risparmio energetico non è un vezzo ma una necessità collettiva. Nel secondo, dice ai cementificatori: “se hai osato abbastanza, alla fine ti va bene”.

Per questo attaccare, delegittimare, ostracizzare provvedimenti che vanno nella direzione della redistribuzione della ricchezza e del risparmio energetico – dal Reddito di cittadinanza agli ecobonus – non può in alcun modo essere messo sullo stesso piano dei condoni. Da un lato ci sono misure, perfettibili, che cercano di allargare diritti, ridurre consumi, rendere più equo e sostenibile il Paese. Dall’altro ci sono provvedimenti che ripuliscono l’illegalità edilizia, trasformando una violazione di legge in patrimonio privato, cioè in una truffa collettiva a danno di tutti noi, del territorio, delle casse pubbliche e delle generazioni future.

Legalità selettiva e democrazia fragile

La forza simbolica di questo passaggio non va sottovalutata. Un governo che ha costruito la propria legittimazione sulla “tolleranza zero” verso i poveri e i migranti, sulla retorica della legalità punitiva, oggi pratica una legalità selettiva: inflessibile con chi chiede un sussidio, comprensiva e creativa con chi ha costruito in nero.

È una giustizia rovesciata: il debole è trattato come potenziale criminale, il forte come partner da “regolarizzare”. Il voto dei poveri fa paura; il voto dei proprietari abusivi viene corteggiato.

In un Paese in cui quasi tutti i Comuni sono esposti a rischio idrogeologico, in cui frane e alluvioni tornano ciclicamente a distruggere interi territori, il condono non è solo una scelta sbagliata: è un segnale politico di irresponsabilità strutturale. E in un’epoca in cui si accusano di “spreco” gli investimenti per l’efficienza energetica e la redistribuzione, mentre si normalizzano i costi enormi dei disastri prodotti da decenni di abusivismo, la contraddizione diventa insopportabile.

Un’altra agenda: piano casa, giustizia sociale, difesa del territorio

Il punto non è negare che esistano situazioni da sanare, errori amministrativi da correggere, famiglie incastrate da procedure complesse. Il punto è che trasformare questo problema reale in leva elettorale, senza un piano casa pubblico, senza una legge nazionale sul consumo di suolo, senza una strategia di prevenzione del dissesto, significa scegliere la strada più facile e più devastante.

Un’agenda alternativa esiste ed è l’esatto contrario del condono:

blocco del consumo di suolo e legge nazionale che lo limiti davvero

grande piano per l’edilizia pubblica e sociale, non housing di lusso travestito da “sociale”

lotta all’abusivismo con demolizioni mirate, cominciando dalle aree a rischio e dagli immobili di rendita, non dalle baracche dei più poveri

politiche di sostegno al reddito e al lavoro dignitoso, riconoscendo che la povertà non è un reato ma il fallimento di un sistema economico

investimento stabile in efficienza energetica ed ecobonus mirati, per fare del risparmio in bolletta e della riduzione delle emissioni un diritto universale, non un privilegio

tassazione della rendita immobiliare e fondi strutturali per la manutenzione del territorio

In questa prospettiva, il confronto tra Reddito di cittadinanza, Superbonus 110 e condono edilizio non è una disputa tecnica tra addetti ai lavori: è lo specchio di due idee di società.

Da un lato, un Paese che prova – faticosamente, con mille limiti – a non lasciare indietro chi è più fragile e a utilizzare la spesa pubblica per ridurre disuguaglianze e impatto climatico.

Dall’altro, un Paese che continua a premiare chi ha fatto dell’illegalità edilizia una pratica sistematica, trasformando l’abuso in rendita, scaricando su tutti noi i costi in termini di ambiente, sicurezza e finanza pubblica.

Chiamare “voto di scambio” l’aiuto ai poveri e “sanatoria” il premio agli abusivi è il trucco linguistico che tiene insieme questa ipocrisia. Ma dietro le parole restano i fatti: case abusive salvate, territori feriti, miliardi spesi per riparare disastri annunciati, disuguaglianze consolidate. E, ancora una volta, un pezzo di democrazia barattato in campagna elettorale.

(*) ripreso da «Un blog di Rivoluzionari Ottimisti. Quando l’ingiustizia si fa legge, ribellarsi diventa un dovere»: mariosommella.wordpress.com

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