Di fronte ai drammi (elezioni incluse) restiamo a guardare?

Contro il nichilismo della disperazione, un appello (*) all’unità delle forze ecologiste, pacifiste e progressiste. In coda un link per chi volesse aderire.

Da tempo viviamo in un doppio registro di realtà, dove tutto viene nominato senza per questo assumere le conseguenze di ciò che implica. L’intreccio di crisi – climatica, pandemica, bellica, economica, politica – non viene negato; ciascuna di queste crisi viene anzi enfatizzata, e tuttavia privata di decisioni conseguenti. Anche noi, ridotti a consumatori e spettatori del disfacimento, sembriamo incapaci di reazione davanti a segnali non più equivocabili.

 

Eppure nell’ultimo mese sono sfilate davanti ai nostri occhi, per poi subito dileguarsi come residui di incubi, immagini di un’apocalisse testardamente ignorata: i rondoni caduti dal cielo a migliaia, uccisi dal caldo, in Spagna; la distesa di bovini stramazzati al suolo a perdita d’occhio in un orrendo olocausto animale, in Kansas; i tronchi spezzati, le radici secolari divelte degli alberi del parco La Mandria di Venaria, pezzo di Piemonte sfigurato da un tifone; il crollo di un seracco di ghiaccio sulla Marmolada dopo che in vetta si continuano a registrare temperature inaudite; gli incendi che, nell’intera Europa, si cerca di spegnere con l’acqua che scarseggia. Guardiamo il Po morire mentre il suo greto in secca viene ulteriormente violato, ridotto a pista da motocross.

 

Ma è come se vedessimo senza vedere, se sapessimo senza sapere, in un continuo addestramento a separare l’enormità di ciò che accade dalla necessità di azioni conseguenti.

Il governo di “unità nazionale” uscente, a causa della linea prevalente al suo interno e nonostante l’impegno di singoli ministri, ha riaperto le centrali a carbone come risposta a una guerra che esso stesso ha contribuito ad alimentare, inviando armi anziché cercare prioritariamente mediazioni di pace. Ha parlato di giustizia ambientale mentre teneva bloccato il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici («rimasto nel cassetto», come denunciato dal presidente Mattarella) e rovesciava fiumi di cemento, disboscava, progettava ‘grandi opere’ e olimpiadi invernali con neve finta, quando non c’è più neve, e nemmeno acqua. Ha ignorato la volontà più volte espressa dai cittadini, includendo nella transizione ecologica un programma di ritorno al nucleare spacciato per ‘green’.

Infine, senza fare passi coerenti per distanziarsi dalla cultura antropocentrica all’origine del disastro ecologico che ora si sta rovesciando sulle nostre esistenze, ha raccontato che la tecnologia è in grado di aggiustare ciò che distrugge: ma le specie estinte non si rigenerano; le coste erose, le foreste millenarie abbattute, i ghiacciai liquefatti non si ripristinano.

A quanto pare, il feticcio della crescita costi quel che costi non può essere toccato, è la nostra orchestra del Titanic. Allo stesso modo, in tutta l’Unione, abbiamo visto trasformarsi in uno svuotato rituale il feticcio dei «valori europei» di democrazia e accoglienza – gli stessi che oggi staremmo difendendo con l’invio di armi in Ucraina – mentre si addestrava la guardia costiera libica, si facevano accordi di respingimento con la Turchia di Erdogan, si azzerava il soccorso in mare, si permetteva che l’agenzia delle frontiere Frontex guardasse i naufraghi annegare dalle telecamere di un drone con terminale a Varsavia senza intervenire; si ammassavano profughi «in condizioni che ricordano quelle cui sono costretti i migranti nei lager in Libia», come ha recentemente affermato la ex sindaca di Lampedusa Giusi Nicolini parlando delle più di duemila persone, tra cui bambini e donne incinte, costrette a dormire e mangiare per terra, tra i rifiuti, rinchiuse nel ‘centro di accoglienza’ dell’isola.

 

La gestione delle crisi consiste nel metterle sotto un tappeto con parole ampollose, commissioni e piani, come si è fatto con il Covid-19, con la povertà, con il clima. Ma arriva il momento in cui i tappeti non bastano, nemmeno quelli fatti di eufemismi, greenwashing e business as usual (finte svolte verdi e ‘si è fatto sempre così’).

 

Nel pieno di un’estate di siccità, incendi e razionamento d’acqua, con un’inflazione superiore all’8%, la crisi finale della politica italiana si è manifestata con una fuga dalla responsabilità dinanzi a un Paese che vanta il livello salariale tra i più bassi d’Europa e la triplicazione delle persone in povertà assoluta negli ultimi 15 anni. Un Paese dove il tracollo dei pronto soccorso e la dismissione delle Unità di continuità assistenziale contro il Covid, proprio mentre risalgono contagi e morti, dice di una determinazione – nel migliore dei casi di una rassegnazione – ad abbandonare gli anziani e i più fragili, e subito dopo chi non ha accesso alla sanità privata.

 

Se a questo aggiungiamo la prospettiva di un inverno di riscaldamento contingentato, davanti ai nostri occhi si apre uno scenario di guerra. Una guerra contro le persone e contro l’ambiente. Il contrario dell’affermazione per cui «giustizia sociale e giustizia ambientale sono facce della stessa medaglia» – ridotta da più parti a slogan ripetuto e ignorato, fino allo svuotamento di senso.

Le prossime elezioni, precipitate in un momento disperante, potrebbero essere l’ultima possibilità per l’affermazione di una democrazia sostanziale che fermi la corsa irresponsabile a trasformarci nel Paese dei ciechi così lucidamente prefigurato da Saramago.

 

Quando l’analfabetismo funzionale dilaga al punto da situarci tra gli ultimi Paesi in Europa; quando il lavoro perde ogni giorno valore, con un neoschiavismo diffuso e un numero crescente di precari e persone che, pur avendo un impiego, non riescono a superare la soglia di povertà; quando la sanità pubblica viene progressivamente smantellata e la scuola impoverita, e tutto questo non trova voce concreta, allora la stessa educazione, lo stesso lavoro, la stessa salute cominciano a non valere nulla, nemmeno nella nostra percezione, nemmeno quando riguardano direttamente le nostre esistenze; e lo stesso accade per il collasso climatico cui stiamo andando incontro. Similmente, il voto, la rappresentanza, le istituzioni perdono significato. Non è indifferenza, ma una sorta di nichilismo dato dalla disperazione.

 

Lo stesso nichilismo che sembra aver precipitato in una nebbia impenetrabile quelle forze politiche che affermano di voler rappresentare la parte più debole della nostra società, di voler riequilibrare le intollerabili diseguaglianze, di voler fermare o almeno rallentare il processo di erosione che sta devastando il nostro Paese; ma che anziché unirsi nello sforzo, appaiono già rassegnate a un’inevitabile sconfitta che giustifichi, anche per il futuro, la loro sostanziale inazione.

 

È contro questa inerzia esiziale, che chiediamo a tutte le forze ecologiste, pacifiste e progressiste di uscire dal microcosmo rissoso e autoreferenziale in cui si sono trincerate, e di unirsi per costruire nuovi spazi dove la realtà abbia casa; tornare a incontrare le persone, ricreare comunità, mostrare consapevolezza che siamo parte della natura e che senza di essa non esistiamo.

 

Chiediamo parole vere, nate attorno alla transizione ecologica – o, meglio, alla conversione ecologica – e un impegno ad agire concretamente per la pace, consapevoli che «le energie rinnovabili rappresentano il piano di pace del XXI secolo», come ribadito dal segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres.

 

La politica può sopravvivere solo se riacquista un significato di speranza, di cambiamento positivo nella vita delle persone, ritrovando linfa per un processo trasformativo dell’esistente. Se ricomincia ad alimentare quello che Ermanno Olmi, il grande maestro del cinema neorealista, chiamava «il sentimento della realtà». Se torna a pretendere la realtà, e la serietà che ne consegue.

(*) Ecco le prime adesioni:

Daniela Padoan

Mario Agostinelli (Associazione Laudato si’)

Alessandra Ballerini (avvocato)

Piero Basso

Luciana Castellina

Luca Cecchi (Monastero del Bene Comune)

Paolo Cento (ecologista)

Francesca Costantini

Raffael Crocco (giornalista, direttore Atlante delle Guerre e dei Conflitti del Mondo)

Pietro Del Zanna

Giuseppe De Marzo (coordinatore nazionale Rete Numeri Pari)

Roberta De Monticelli (filosofa)

Loredana De Petris

Luigi Ferrajoli

Raniero La Valle

Paolo Alessandro Mattiello

Emilio Molinari

Tomaso Montanari (storico dell’arte)

Riccardo Petrella (Agorà degli Abitanti della Terra)

Marco Politi

Bruno Ravasio (già segretario nazionale Tessili e segreteria CGIL Lombardia)

Roberto Savio (Other News)

Andrea Serra (Diem25)

Gianni Tognoni (segretario generale Tribunale Permanente dei Popoli)

Guido Viale

Alex Zanotelli (missionario comboniano)

L’IMMAGINE – scelta dalla “bottega” – è di Renè Magritte.

Mi chiedono di aggiungere il link per aderire all’appello:  https://chng.it/5vyVL9WqMz.

E’ un’impresa disperata, ma tecnicamente un’assunzione di responsabilità sarebbe possibile fino alla presentazione delle liste, il 21.

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

5 commenti

  • Umberto Franchi

    Sicuramente una buona analisi della realtà : Disastro ecologico, situazione sciale, prospettiva, nichilismo… ma l’appello ad unire le forze in vista delle prossime elezioni alfine d na risposta adeguata e congiunta… quando alla sinistra del PD ci sono tre liste “coalizzate”… quando il PD ha escluso i 5S dal “campo largo”… m sembra anche essa una posizione ritardataria, inutile..- “nichilista”
    Umberto Franchi

  • Qui per aderire all’appello:  https://chng.it/5vyVL9WqMz.
    E’ un’impresa disperata, ma tecnicamente un’assunzione di responsabilità sarebbe possibile fino alla presentazione delle liste, il 21.

  • Domenico Stimolo

    Firmato. Diffondo ampiamente

  • Un’amica segnala alla “bottega” questo bell’intervento di Enrico Panini, ex segretario della FLC Nazionale, poi assessore al comune di Napoli e per un periodo vice sindaco con De Magistris.

    PENSIERO 380 – UN VOTO UTILE A CHE COSA?
    Davvero triste questo lungo avvio di campagna elettorale.
    I soliti volti in campo, ognuno a misurarsi su schieramenti presunti che si compongono e ricompongono sulla base del nulla, se non di diversi ego smisurati che le urne si incaricheranno di ridimensionare pesantemente e di lontananza dal sentire dei cittadini.
    Nel frattempo crolla ogni ipotesi di schieramenti (fra quelli noti) impegnati sui temi del sociale (forse che l’Italia non ha sei milioni di persone in povertà assoluta?), girano quando va bene le solite solfe sul lavoro altrimenti è un tema inesistente (ma sul rinnovo dei contratti pubblici che mancano e sulla vandea dei contratti privati firmati da sindacati di comodo neanche una parola?), sull’ambiente non si va oltre ai titoli arcinoti (peccato che il disastro climatico segua un altro orologio meno disposto a perdere tempo), della secessione dei ricchi (alias, autonomia differenziata) non se ne parla (scusate ma il centro destra l’ha messa nel programma).
    Insomma, anche ad un inguaribile ed ostinato ottimista di sinistra come il sottoscritto la mediocrità programmatica dell’attuale rappresentanza politica democratica pare incommentabile.
    Allora, non esiste il richiamo ad un qualche “voto utile” che, non parlando ai bisogni reali ed essendo stato abusato da tempo, non farà che legittimare il crescente divario liberista del nostro Paese.
    Nè serve una spruzzata di sinistra in un agire che giustifica armi, diseguaglianze, privatizzazione e del tutto subalterno al liberismo più spinto.
    Oggi il voto utile è innanzitutto andare a votare perché in troppi sperano in un voto di pochi ed è rivendicare da subito di conoscere le proposte sulle quali ci si impegna (per cortesia, perché nessuno crede agli elefanti che volano, se esse si discostassero dalla famosa “L’Agenda” si abbia il coraggio di dire che, forse, prima si è errato sennò siamo su un terreno dove la destra vince facile).
    Io sono fra coloro che pensano che occorra dimostrare di saper governare avendolo fatto, che occorra un programma di pochi punti ma radicale nel suo parlare agli sfruttati (che sono la stragrande maggioranza degli italiani), saldamente ancorato alla Costituzione, che consideri il contrasto al ricorso alla guerra come una discriminante, sempre e comunque.
    Questo per me è il voto utile.
    Enrico Panini

  • Qualcuno ha il coraggio di nominare queste forze? Io non sono ancora riuscito ad identificarle!

Rispondi a redaz Annulla risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *