Docherty

Pubblicato per la prima volta nel 1975 e riproposto adesso dalla casa editrice Paginauno, il romanzo di William McIlvanney racconta il conflitto sociale interno ad una famiglia operaia in una città mineraria scozzese tra la fine dell’Ottocento e i primi anni Venti del Novecento, ma è ancora oggi attuale. Lo sfruttamento dei minatori di allora non è troppo diverso da quello a cui sono sottoposti gli operai della logistica nell’Italia del 2021.

di David Lifodi

Docherty è il romanzo della working class scozzese tra la fine dell’Ottocento e gli anni Venti del Novecento. Pubblicata per la prima volta nel 1975 e riproposta adesso dalla casa editrice Paginauno, l’opera di William McIlvanney rappresenta una sorta di omaggio ai minatori scozzesi e a tutti coloro che non si sono mai arresi al sistema.

«Cerco di dare voce a quelli che nessuno ascolta» amava ripetere l’autore e, non a caso, è ciò che sostiene anche il protagonista del romanzo, Tam Docherty, padre di famiglia rimasto ucciso all’interno della miniera per salvare la vita ai compagni della sua squadra.

«Le sue frasi risuonano martellanti come il piccone di un minatore», ha scritto The Times facendo riferimento al romanzo di McIlvanney, il quale era cresciuto a sua volta in una famiglia di minatori nel villaggio di Kilmarnock, aveva potuto studiare grazie alla borse di studio stanziate per i figli delle famiglie proletarie e quindi raccontava una realtà che conosceva nel dettaglio.

Tam Docherty cerca di ribellarsi alla routine che scandisce le sue giornate, caratterizzata dal duro lavoro in miniera intervallato solo dalle serate passate a bere birra con i suoi compagni, l’unico passatempo che i lavoratori si concedevano. Già allora i minatori erano vittime del sistema “produci, consuma, crepa” e, a distanza di un secolo, non ci sono grandi differenze con quanto sta accadendo nell’Italia degli anni Duemila nel settore della logistica, dove i diritti vengono quotidianamente calpestati.

Docherty lavora infatti per conto di un potere padronale avido e senza scrupoli, cerca di sovvertire il sistema insieme ai suoi compagni tramite scioperi molto coraggiosi, ma infruttuosi, come quello di undici settimane senza lavorare, nel 1926, ma le prime crepe al suo modo di pensare si insinuano anche nella sua stessa famiglia. Accudito e seguito per ogni istante dalla moglie Jenny, una figura femminile descritta in maniera straordinaria, piena di forza d’animo, ma anche capace di sopportare in silenzio, come del resto la figlia Kathleen, Tam è costretto a fare i conti con due dei suoi tre figli maschi, Mick e Angus, che prendono strade ben diverse dalla sua.

Il conflitto sociale arriva dunque nella famiglia di Tam, ma esplode in una maniera per lui inattesa. Mick decise di arruolarsi e partire soldato durante la prima guerra mondiale, ma tornerà invalido e mutilato. Angus, con il sostegno morale di Mick, decide di firmare un contratto d’appalto per il carbone che gli permetterà di pagare una squadra che lavora per lui. In pratica, Angus diventa una sorta di padroncino dell’era moderna e il padre prende malissimo questa scelta del figlio. «Abbiamo un capitalista in famiglia», commenta amaramente Tam Docherty, ma, aldifuori dei cunicoli della miniera, sono in molti a pensare che la classe operaia non farà mai alcun progresso. Tam «ha corso a vuoto per tutta la vita», constata con sarcasmo il marito di Kathleen.

Eppure, nonostante l’imperversare del capitalismo e dell’impunità padronale, Tam Docherty, anche da defunto, continuava ad incutere timore: il giorno della sua sepoltura «l’atmosfera non era quella di un funerale, ma piuttosto di un seggio elettorale». A rendere omaggio a Tam ci sono i suoi compagni, quelli che, insieme a lui, avevano tentato di costruire una sorta di contropotere operaio. Certo, la sua battaglia per non morire da schiavo l’aveva persa, ma non erano riusciti a manipolarlo.

Nella sua postfazione Carmine Mezzacappa ha evidenziato che, tramite questo romanzo, William McIlvanney aveva anticipato il durissimo scontro tra i minatori e il governo di Margaret Thatcher negli anni Ottanta, quando la classe operaia inglese venne sconfitta, ma l’autore si augurava che ci fosse comunque abbastanza spazio per tutti, quello spazio politico fatto di tutele, diritti e solidarietà che amava raccontare tramite la sua letteratura militante.

Docherty

di William McIlvanney

Edizioni Paginauno, 2021

Pagg. 421

25

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *