Enrico Pili: consigli e uno s/consiglio in libreria

Ho letto quattro libri durante il riposo forzato all’hotel “Unità coronarica”. Mi inserisco, dunque, nella rubrica “consigli per gli acquisti estivi”del blog barbieriano.

Ai miei tempi parrocchiali, nelle sacrestie e negli oratori circolava un libretto con un “indice” di tutti i film (una sorta di “Mereghetti” biblico) prodotti sino a quel momento e in programmazione. Dopo il titolo (senza menzionare registi o interpreti), fra parentesi c’era una letterina in grassetto: anzi, le lettere erano quattro, due delle quali non le ricordo; due sì: erano una “C” e una “S”. La “C” stava per “consigliato”, la “S” stava per “sconsigliabile” che voleva dire “assolutamente vietato” o anche “peccato mortale”.

Ora io – per definizione mia  “democratico”, “di sinistra”, “libero pensatore”, e più ne ho più ne metto – non censuro nulla e, se faccio una recensione, non “stronco” mai anche perché so quale fatica sia scrivere un libro (o girare un film). Tuttavia in questa sede, inter amicos et pro amicis, dirò francamente quello che penso magari soltanto con una “C” o con una “S”.

Inizio con una lettura pre-infarto, terminata qualche giorno prima del quasi fatale evento. Questa lettura mi è stata consigliata dalla scrittrice brasiliana – e, avant tout, amica cara – Christiana De Caldas Brito, anzi il romanzo «Muro di fuoco» dello svedese Henning Mankell (Marsilio, pagg. 517, euro 18) mi è stato regalato proprio da lei. Splendido giallo (col commissario Kurt Wallander) che si legge tutto d’un fiato e spiega, con scrittura semplice e colta nello stesso tempo, quello che accade nella attualità della globalizzazione.

Mankell, che si trovava sulla nave umanitaria intercettata prima di approdare a Gaza dai “nazi-ebrei”, è un Simenon che strizza entrambi gli occhi alla politica e alla situazione economico sociale di dove vive e del mondo intero. Le quattro “C” vanno innanzitutto a Christiana – di cui mi permetto di consigliare la lettura di tutti i suoi libri e, in particolare, di «500 temporali» e di «Qui e là» (Cosmo Iannone Editore, acquistabili scrivendo a iannonec@tin.it) – che mi ha regalato un romanzo straordinario, da quattro “C”, imperdibile, da acquistare (magari ripartendo le spese fra amici), da leggere e da tenere nello scaffale nello spazio dedicato ai grandi autori.

Continuo ora col primo libro successivo al toc toc del destino beethoveniano: «Una cena molto originale», Fernando Pessoa, edito da Mondadori (Oscar: euri 6,40, pagine 72). Racconto quasi horror del grande portoghese, fra gli ultimi scritti e si vede per la sublimazione della ironia e della pulizia della scrittura. È, di fatto, una continuazione (o addirittura la chiusura) dei racconti polizieschi scritti attorno alla figura del “detective” Abilio Quaresma (che Mourinho fece acquistare da Moratti per poi pentirsi e cederlo ai turchi: poveraccio, almeno darlo agli Emirati Arabi). Ora, è impossibile che io non consigli una lettura di un livello così alto (tre “C”, dunque), ma sconsiglio vivamente l’acquisto di 70 pagine – sia pure di Pessoa –  a 6,40 euro: la speculazione mondadoriana fa proprio schifo, potevano almeno inserire un altro paio di racconti con Abilio Quaresma, per esempio. Da leggere. Da non comprare.

Secondo libro. «Il ranch della giumenta perduta» di Georges Simenon: Adelphi, pagg. 192, euro 18. Quando si tratta di un grande libro e di un grande autore, chapeau! e passino ben 18 euro. Meritati, per un western alla McCormack ma senza il profondo irreversibile nero del texano (e l’ironia sovrabbondante dei fratelli Coen): romanzo “americano” di Simenon che dice di più – in meno di duecento pagine – sulla storia degli States di qualsiasi trattato o manuale filo o anti-Usa che sia. Quattro “C”. Da leggere e – il 27 o altro giorno di paga – da comprare (oppure, perché no?, “scambiare” in qualche privè apposito: ma un libro è come un’amante, o no?).

Terzo libro. «Piccoli suicidi tra amici» di Arto Paasilinna, edito da Iperborea: pagg. 250, euro 16. Terzo grande autore consecutivo (quarto con Mankell): niente male, anzi fa bene al cuore… specialmente quando il tema, che più noir non si può, del suicidio è trattato non dal pennello di Munch (pittore norvegese che l’angoscia la sapeva ritrarre) né dalla macchina da presa di Ingmar Bergman (espertissimo in crisi depressive e istigazioni al suicidio) ma dai tasti finlandesi (con le doppie “a”) della macchina da scrivere di Paasilinna che nel (grande) romanzo di cui parlo riesce a far ridere anche il personaggio dell’Urlo di Munch e a insegnare – senza mai far sbadigliare – come è fatta la società finlandese, certo non diversa, a parte qualche particolare, dalle altre che circolano nelle lande occidentali del pianeta. Ma i confini sono inappropriati, la ferocissima critica dell’ambiente politico e sociale riguarda tutto il mondo conosciuto, fatta eccezione forse per qualche bel panorama africano dove la gente ancora non ha nemmeno le lacrime per piangere e nemmeno il tempo per pensare al suicidio. Cari amici e care amiche, almeno un Paasilinna dovete leggerlo: «L’anno della lepre», «Il miglior amico dell’orso», «Il mugnaio urlante», tutti Iperborea, tutti cari, ma potete farveli prestare o usufruire dei servigi della biblioteca comunale… Ma se non avete ancora letto nulla, iniziate da (quattro “C” con lode) «Piccoli suicidi tra amici» e poi voglio vedere se vi viene voglia di deprimervi o fare un tuffo nel lago di Varese, dove muoiono asfissiate anche le rane dotate di branchie antigas.

Quarto libro. «Tortuga» di Valerio Evangelisti: Mondadori, pagg. 330, euro 16,50. Ahimè, la nota qui è dolente. Sul mio sito (in “critica letteraria”) sono pubblicate due recensioni del romanzo piratesco dello scrittore bolognese: quella di Barbieri (ai limiti dell’entusiasmo) e quella di Giangi, il mio figlio “grande” (non proprio entusiasmo, ma quasi). A me non è piaciuto, quindi ne sconsiglio l’acquisto non per Evangelisti, scrittore intelligente e a volte geniale, ma per non incrementare le casse di Mondadori-Berlusconi. Il quale sfoga la sua libidine di far successo e soldi imponendo a “suoi” scrittori di scrivere tutto quel che passa loro per la testa tanto, con un adeguato e neanche costoso marketing, sarà un bestseller.

Il romanzo – anche un po’ storia della seicentesca pirateria nei caldi mari tra Cuba e il Venezuela – è, nonostante il linguaggio “per adulti” e orgogliosamente hard, un mix di libro per ragazzi (salgariano all’incontrario), di libello rivoluzionario, di manuale di marineria e anche di filosofia, molto spiccia ma accessibile a tutti: l’uomo, di qualsiasi razza sia, di qualsiasi nazione sia, di qualsiasi credo o non-credo sia, è innanzitutto e sempre una bestia. Questo giustifica tutto, anche le efferatezze più ignobili, sordide e gratuite dei pirati che anzi sono più “sinceri”, più belluini, più “animali” (e quindi più coerenti) di quelli che in Europa utilizzano l’Inquisizione per darsi un contegno di civiltà.

Nelle efferatezze dei pirati l’autore sembra compiacersi quasi come un prete pedofilo che confessa davanti a un suo pari (non alla giustizia degli uomini) le violenze nei confronti dei chierichetti: ben quattro volte e ogni volta con indulgenza realistica, l’autore si diverte a raccontare come i giovanissimi mozzi vengano sodomizzati da omaccioni dall’alito puzzolente e dai membri smisurati. C’era bisogno di dire tante pruriginose volte che i mozzi nelle navi dei pirati sostituivano le donne nei mari della Tortuga? Oppure di descrivere minuziosamente tutte le barche, le vele, le manovre, i termini marinari? Invece che 330 pagine, ne sarebbero bastate la metà se l’autore non ci avesse voluto regalare un manuale buono per un istituto nautico del Settecento.

La mia critica finisce qui. Rispetto molto Evangelisti e anche se «Tortuga» non mi è piaciuto per nulla, ha scritto molte cose interessanti e geniali, soprattutto, importanti. Non posso tuttavia consigliare l’acquisto di una ciambella che non è uscita col buco.

Redazione
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Un commento

  • Aggiungo DUE cosette
    Per quel che riguarda “Tortuga” sono di parere diverso (capita) rispetto a Enrico Pili. Chi volesse scoprire il perchè digiti (in “cerca”) Tortuga e troverà ben due mie recensioni. Una storia cupissima come è quella del capitalismo, delle sue guerre, dei suoi pirati: dunque Evangelisti non aggiunge o inventa – purtroppo – nessuna crudeltà. Però poteva insisterci meno: così lo critica Pili. Forse sì. Ma questo è Evangelisti da sempre: molte pagine del ciclo di Eymerich, dei due romanzi messicani o dello straordinario “Noi saremo tutto” sono davvero terribili. Per me quasi insopportabili a leggere. E non c’è speranza (politica o personale)in tutte quelle storie così diverse. Forse mai in un romanzo o in un racconto di Evangelisti compare quella strana cosa che si chiama amore. Il sesso è potere e violenza. Così lui ci racconta il mondo, anzi i molti mondi che i suoi libri attraversano. Si può essere più ottimisti (io lo sono) ma se si critica “Tortuga” per queste insistenze… secondo me tutte le opere di Evangelisti andrebbero giudicate con lo stesso metro.
    Seconda considerazione che invece riguarda i libri e chi interviene su questo stra-blog (strano blog) ed è sempre benvenuta/o…. fascisti esclusi. A parte le recensioni di testi nuovi o le ristampe (magari in edizione economica, finalmente) esistono libri dimenticati e recensori che sonnecchiano. Mi spiego meglio. C’è una bella frase di Elias Canetti (finita anche su manifesti della Einaudi)che, più o meno suona così: alcuni libri vengono comprati e non letti, talvolta neppure aperti; però rimangono sempre sott’occhio magari per anni e persino nei traslochi più avventurosi; poi d’improvviso si sente il bisogno di leggerli… ed è una scoperta, un cambio di vita (ho citato a memoria ma questo è il senso, anche se la frase è più suggestiva). Per me è verissimo. Così, tempo fa, rileggendo quella frase per l’ennesima volta, ci ho riflettuto e mi è venuto in mente di chiedere a 50 persone amiche (ma anche a chi non conosco però frequenta questo stra-blog) se anche per loro è andata così; se è capitato di leggere, dopo anni, un libro che era lì in agguato… scritto 2500 anni fa o magari solo nel 1991 ma che è stato poi divorato e amato nel 2009 o nel 2010 e da allora è diventato importante; può essere un classico o no, un romanzo oppure un saggio… ma dev’essere qualcosa di diverso da un BEL LIBRO, dev’essere una sorta di illuminazione, di sconcerto, di luce improvvisa nel buio. Ecco l’idea è questa: se 40-50 persone mi rispondono di sì, che a loro è successa una robbbbbbbbbbba del genere, mi piacerebbe questa fosse come una rubrica del mio blog e che, magari da settembre, si cominciasse. Mi immagino “il lunedì dell’illuminazione” oppure “i lunatici dei libri perduti e ritrovati”. Aggiungo che chi avrà voglia di raccontarlo può scegliere la forma più idonea, la recensione o la citazione secca, il frammento auto bio-bibliografico o il ragionamento articolatissimo. CHE NE DITE? chi vuole giocare con me? (db)

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