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La Bottega del Barbieri

European Black Deal

di Ecor.Network.

Nel periodo 2010-2019, le emissioni medie annue globali di gas serra sono arrivate ai livelli più alti della storia umana. In mancanza di forti e immediate riduzioni alle emissioni in tutti i settori, limitare il riscaldamento globale a 1,5°C (2,7°F) sarà fuori portata”.

Si apre così il comunicato stampa sull’ultimo rapporto dell’International Panel on Climate Changes (IPCC), presentato lo scorso 4 aprile. (1)
Nell’indifferenza più totale delle nostre classi dirigenti, continua la guerra climatica scatenata dal questo modello di sviluppo contro l’insieme degli esseri viventi.
Potremmo – dice l’IPCC – tentare di porci rimedio:


“Negli scenari che abbiamo valutato, limitare il riscaldamento a circa 1,5°C (2,7°F) richiede che le emissioni globali di gas serra raggiungano il picco al più tardi entro il 2025 e si riducano del 43% entro il 2030;
allo stesso tempo, anche il metano dovrebbe essere ridotto di circa un terzo. Anche se lo facciamo, è quasi inevitabile che si superi temporaneamente questa soglia di temperatura, ma si possa tornare al di sotto di essa entro la fine del secolo. “Ora o mai più, se vogliamo limitare il riscaldamento globale a 1,5°C (2,7°F). Senza riduzioni immediate e profonde delle emissioni in tutti i settori, sarà impossibile“.

Peccato che le decisioni di politica energetica nella vecchia Europa (ma anche altrove) vadano, come sappiamo, da tutt’altra parte.
La guerra in Ucraina e le sanzioni alla Russia – attuate o previste – sull’export di combustibili fossili hanno reso più espliciti e decisi gli orientamenti già in atto nell’UE verso il gas e il nucleare, e al contempo ridato spazio al vituperato carbone e perfino ai distillati pesanti del petrolio. È quanto emerge dal piano per la sostituzione dei 155 miliardi di metri cubi di gas che l’Ue importa annualmente dalla Russia, piano di cui Thierry Breton, Commissario UE per il mercato interno, ha anticipato i dettagli a Die Welt il 28 marzo.
In particolare il piano, la cui stesura è ancora in progress, prevede:

– l’allungamento dell’operatività delle centrali nucleari e a carbone già destinate alla chiusura
– la riattivazione di centrali a carbone già chiuse
– l’aumento delle forniture di gas naturale liquefatto via nave
– l’aumento dei flussi del gas di provenienza non russa, attraverso i gasdotti dall’Africa e dal Corridoio Sud
– il passaggio delle industrie energivore dall’alimentazione a gas all’olio combustibile
– dulcis in fundo, lo sviluppo del biometano, eolico e solare.

La guerra in Europa ha annullato in pochi giorni fiumi di parole sulla transizione ecologica e sulle magnifiche sorti e progressive del green deal europeo, dissolvendo la cortina di green fuffa che aleggiava da tempo sulle politiche energetiche reali – ancora saldamente basate su gas, nucleare e carbone – che le misure prospettate da Breton vanno sostanzialmente a confermare.
Con il via libera di Bruxelles è già iniziata la corsa degli Stati dell’UE a rimangiarsi la parola data sugli obiettivi ambientali e climatici.
La Polonia, che aveva annunciato l’anno scorso il piano per spegnere entro il 2049 le sue centrali a carbone (da cui dipende per l’80-90 % dell’energia) ha appena deciso che le terrà aperte oltre il 2050, ed anche Repubblica Ceca, Bulgaria e Romania hanno interrotto i programmi di transizione e annunciato di voler aumentare la capacità di estrazione del carbone. (2)
La Germania è tra i paesi che hanno già affermato di poter aumentare l’uso del carbone per sostituire il gas russo, e i think tank europei stanno già studiando le soluzioni per sostituire le importazioni di carbone russo, di cui è previsto l’embargo, con la diversificazione dei fornitori, rivolgendosi agli USA, Colombia, Sud Africa, Australia, Mozambico e Indonesia. Allo stesso tempo – dicono – “in caso di emergenza potrebbe essere possibile aumentare di circa 40 milioni di tonnellate la produzione interna Ue“.

Sul fronte dell’atomo, il governo del Belgio sta valutando l’allungamento dei termini dell’accordo siglato dalle forze politiche di maggioranza, che prevedeva una possibile uscita dal nucleare entro il 2025.
La Germania – che dopo la catastrofe di Fukushima si era impegnata a dismettere tutte le sue centrali nucleari entro la fine del 2022 – ora sta pensando di ritornare sui suoi  passi(3).
Nel frattempo firma un accordo con Oslo per mettere allo studio un idrogenodotto, in alternativa al North Stream, che le permetta di importare idrogeno blu prodotto col gas fossile dei giacimenti norvegesi. (4)
Con tutta probabilità l’investimento verrà coperto con i fondi europei del green deal (fino a 18 miliardi di euro) a sostegno dello sviluppo dell’idrogeno blu, che è sostanzialmente una misura per prolungare l’estrazione di gas fossile sotto una patina di “sostenibilità”. (5)

L’idrogeno blu non sarà l’unica tecnologia perniciosa a beneficiare della disponibilità di capitali.
La notte di San Silvestro del 2021 infatti, ben prima che spirassero i venti di guerra, la Commissione Europea aveva “profeticamente” inserito il nucleare e il gas nella bozza del regolamento sulla tassonomia UE delle “tecnologie sostenibili”, decisione confermata lo scorso d ue febbraio con l’apertura agli investimenti della finanza green di attività quali(6):

– la costruzione ed esercizio sicuro di nuove centrali nucleari per la generazione di energia elettrica o di calore, anche ai fini della produzione di idrogeno, con l’ausilio delle migliori tecnologie disponibili
– la produzione di energia elettrica a partire dall’energia nucleare in impianti esistenti
– la produzione di energia elettrica, calore/freddo da combustibili gassosi fossili

Il ritorno in grande stile dell’atomo, classificato assieme al gas come “fonte energetica utile alla transizione ecologica dell’Ue”, la dice lunga su quale concezione di ecologia abbiano i commissari europei, ed anche sulle capacità di pressione sull’UE da parte della Francia – dove Macron ha promesso 14 nuovi reattori – e dei paesi del gruppo di Visegrad (Polonia, Ungheria, Rep. Ceca, Slovacchia), indisponibili a rivedere al ribasso le loro scelte nucleari, rivendicate come via per l’ indipendenza energetica e per la transizione alla carbon-neutrality.
Ora potranno rifinanziare questa prospettiva pericolosissima, foriera di disastri epocali e contaminazioni che dureranno centinaia di anni (7), che assume anche una dimensione ancora più sinistra e paradossale dopo l’allarme generato dalle operazioni belliche in prossimità delle centrali ucraine di Chernobyl e Zaporizhzhia, che ha risvegliato la coscienza sul rischio rappresentato da questi impianti per il continente intero in un contesto dove la guerra sarà sempre più all’ordine del giorno.

Al tempo stesso appare del tutto paradossale l’inserimento nella tassonomia dell’UE dello sviluppo di centrali termoelettriche a gas, sia per gli effetti altamente climalteranti delle emissioni fuggitive lungo tutta la filiera del metano, sia per l’andamento dei prezzi sul mercato europeo che, dopo un anno di crescita continua, hanno subito da febbraio un’ultima forte impennata con la guerra e le sanzioni alla Russia.
Una condizione destinata a durare, visto che le sanzioni resteranno in piedi oltre la guerra (qualora finisca), e che la natura speculativa del rialzo di prezzi non è stata nemmeno sfiorata dal REPowerEU (8), il piano di riposta europeo alla crisi energetica.
Come spiega Mario D’Acunto in una recente intervista a Radio Onda d’Urto (9):

In questo momento la speculazione evidente sul prezzo dei combustibili fossili nasce dal gioco che stanno facendo sia le grandi banche sia i grandi operatori – le grandi industrie che trattano gas e petrolio – e soprattutto gli hedge fund.Sono loro che stanno gonfiando il prezzo dei carburanti, dei combustibili fossili perché la finanza innesca un meccanismo che difficilmente può essere controllato.
Questo perché in questo momento il costo del gas e del petrolio è estremamente volatile.
Nel momento in cui c’è la volatilità di una commodity come i combustibili fossili i grandi fondi di investimento hanno gioco facile.
Se pensiamo che il costo del gas durante la pandemia, quando stavamo tutti a casa, era 6 o 7 euro per MWh, oggi c’è una oscillazione nell’arco di una sola giornata di 100 euro per MWh.
Questo perché fondamentalmente i soggetti commerciali che trattano gas, petrolio e carbone sono costretti a vendere molto spesso nell’arco della giornata sotto la forza delle oscillazioni di queste commodities.
I grandi fondi di investimento sono quelli che in qualche modo decidono poi il prezzo che possono applicare.
Per esempio una cosa incredibile, su cui Cingolani è intervenuto, è che il prezzo del gas aumenta sia per i soggetti che comprano mesi prima, in previsione dell’utilizzo, sia negli hub di compravendita giornaliera, come l’hub di Amsterdam, che è fatto da circa 200 soggetti, di cui una metà sono commerciali, che sono quelli che vivono comprando e vendendo gas e petrolio, e gli altri sono soggetti speculatori, che in questo modo definiscono il prezzo di queste commodities sul mercato.
Quindi è questa estrema volatilità dovuta alla guerra e dovuta alla post pandemia, che in qualche modo permette una speculazione finanziaria accesa, senza controllo, del prezzo del gas e del petrolio
”.

Tali meccanismi di definizione dei prezzi, che determinano il salasso delle popolazioni, delle economie e dei bilanci pubblici a favore della finanza e delle transnazionali dell’energia, dovrebbero consigliare una seria strategia di abbandono dei combustibili fossili.
Ma anche in questa fase la prospettiva è un’altra, e prevede l’investimento in nuove infrastrutture che ci legheranno per altri decenni all’uso degli idrocarburi.

Sul fronte del gas, l’affossamento del North Stream 2 e la prospettiva di nuove sanzioni sull’export di gas russo (non così semplici né immediate) stanno determinando una spinta verso l’estrazione interna, verso l’aumento dell’importazione di gas naturale liquefatto (Gnl), e verso la costruzione di nuovi rigassificatori e gasdotti.
La Spagna ha riesumato il progetto MidCat, il gasdotto verso la Francia, che era stato abbandonato nel 2019 per i costi proibitivi, che ora potrebbe risultare funzionale alle aspirazioni di Madrid di diventare l’hub di distribuzione del gas algerino verso il nord Europa.
La Norvegia – che è il secondo fornitore dell’UE – prevede di estrarre entro fine settembre 1,4 miliardi di metri cubi (bcm) aggiuntivi dal mare del Nord, da convogliare nei gasdotti sottomarini che arrivano in Francia, Belgio e Germania (oltre che in UK). (10)
Ma la ripresa dell’estrazione interna riguarda direttamente anche noi.
L’undici febbraio scorso, infatti, l’approvazione del PiTESAI (Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee) da parte del cd Ministero per la Transizione Ecologica, aveva già riaperto la corsa per la prospezione, la ricerca e l’estrazione di idrocarburi, che era rimasta bloccata per due anni grazie alla moratoria.
Il PiTESAI, che doveva servire a delimitare e a ridurre le aree di sfruttamento delle fonti fossili, ha graziato ben cinque regioni: Valle d’Aosta, Trentino, Liguria, Toscana, Sardegna … cioè quelle dove non c’è mai stato alcun interesse estrattivo.
In compenso ha dichiarato praticamente tutto il resto d’Italia come idoneo allo sfruttamento, in terra e in mare.
Queste sono le mappe delle prossime “zone di sacrificio”:

Un sacrificio (con annesse devastazioni) che si dimostrerà peraltro inutile, visto che le riserve italiche di idrocarburi sfiorano il ridicolo, come ci spiega Nicola Armaroli, dirigente di ricerca presso il CNR intervistato dalla trasmissione Presa Diretta:

“Questa del gas nazionale è una leggenda che dovremmo prima o poi sfatare, nel senso che l’Italia è uno dei territori più studiati al mondo per la ricerca di metano, fin dall’epoca di Mattei (parliamo degli anni ’50.
Se ci fosse stato questo Eldorado di gas lo avremmo già trovato. L’unica cosa che possiamo trovare è quello che abbiamo sempre trovato, cioè dei piccoli giacimenti, di piccole dimensioni qua e là, che non hanno niente a che vedere con i mega-giacimenti, i giacimenti giganti, per esempio siberiani, che contengono – come quello di Urengoj da cui noi attingiamo – 10.000 miliardi di metri cubi di gas.
I nostri giacimenti al massimo possono avere 10 miliardi di m3 di gas, quindi sicuramente la via del gas nazionale non è percorribile per risolvere i nostri problemi e tanto meno per abbassare le bollette, perché queste piccole sacche di gas che troviamo nel nostro territorio da 70 anni certamente non possono influire sul prezzo internazionale. La ragione per cui non lo abbiamo estratto è che costa troppo. Dobbiamo trivellare molti pozzi. Il gas russo era quello che costava meno”.

Non va meglio con le prospettive di importazione del GNL via nave dagli USA.
Continua Armaroli:

La tecnologia americana è possibilmente peggio perché è estratto dal fracking. È quello più devastante dal punto di vista ambientale, perché richiede enormi quantità di acqua, crea grande inquinamento nei siti di produzione e soprattutto grandi emissioni di metano in atmosfera, sia durante l’estrazione che anche durante il lungo viaggio dai porti della Luisiana ai nostri gassifica tori. Le navi devono viaggiare a temperature di – 162 °C sotto zero. Penso che chiunque possa comprendere che questo ha un costo energetico, e anche economico enorme“.

Nonostante queste valutazioni, nel Belpaese la Snam ha presentato il progetto per un terminale di ricezione, stoccaggio e rigassificazione di gas naturale liquefatto (GNL) a Portovesme, che andrebbe a servire tramite due metanodotti l’area industriale e gli impianti Eurallumina. Come denuncia il Gruppo di Intervento Giuridico,i nuovi impianti andrebbero a insistere in un’area già ampiamente inquinata e ambientalmente e sanitariamente compromessa (Portoscuso), tanto da rientrare in un sito di interesse nazionale (S.I.N.) per le bonifiche ambientali“.
In Sicilia si parte con la costruzione di un nuovo rigassificatore a Porto Empedocle, contestato dagli ambientalisti e dalla popolazione per il rischio di incidente rilevante e le nocività che comporta (11).
In Puglia ricominciano invece i rumors in tema di gasdotti, sul raddoppio del Trans Adriatic Pipeline (12) per l’aumento dell’importazione di gas azero, e sul rilancio dell’Eastmed/Poseidon (13), il progetto che dovrebbe collegare Otranto con i giacimenti al largo di Israele, Palestina e Cipro, ed in prospettiva lo Zohr egiziano.

Gas dall’Azerbaigian, da Israele, dall’Egitto, che si aggiunge a quello proveniente dall’Algeria tramite il Transmed, dalla Libia tramite il Greestream, e poi dal Quatar e dagli Stati Uniti, attraverso i rigassificatori. Ma non dovevamo smarcarci dall’acquisto di combustibili fossili e dal conseguente finanziamento di Stati guerrafondai e di regimi dittatoriali, colpevoli di violazioni dei diritti umani?

Continueremo l’approfondimento nelle puntate successive. Basti dire, per ora, che dovremo affrontare a breve, oltre alla militarizzazione della società e alla stagflazione prodotta dall’economia di guerra, anche l’aumento del rischio nucleare sviluppato dai nostri vicini e una nuova fase di devastazione da combustibili fossili (per ricerca, estrazione o infrastrutture), che procederà in parallelo – come vedremo –  con una gestione delle rinnovabili nel segno della deregulation, costruita contro i territori e non assieme a loro.

(1. Continua)

Tratto da https://ecor.network/


Foto:

Coal Reclaimer, by cypheroz, CC BY-NC-ND 2.0 license.
Nuclear plant, by Talking Hæk, CC BY-NC 2.0 license.
LNG Carrier Alto Acrux Departing Darwin, February 2010, by kenhodge13, CC BY 2.0 license.

Note:

* Il punto di scambio virtuale (PSV) è il principale punto di incontro tra domanda e offerta del mercato del gas in Italia. Qui si definisce il prezzo del gas all’ingrosso e in base a questo valore i fornitori gas valutano il prezzo della materia prima gas da applicare ai clienti finali. La differenza tra i due prezzi infatti si avvicina al ricavo unitario dei fornitori.

1) IPCC, The evidence is clear: the time for action is now. We can halve emissions by 2030, 4 aprile 2022.

2) Maurizio Bongioanni, La Polonia vuole continuare a utilizzare il carbone anche dopo il 2050, Lifegate, 8 aprile 2022.
Carbone, il ruolo della Russia e il suo peso nell’energia Ue, La Repubblica, 5 aprile 2022.

3) Gaia Anselmi , Gli ecologisti europei cambiano idea sul nucleare a causa della Russia, Europa Today, 7 marzo 2022.

4) Luca Pagni, Idrogeno: la Germania vuole importarlo “via tubo” dalla Norvegia per sostituire il gas, La Repubblica, 3 aprile 2022.

5) Per i dettagli rimandiamo al dossier di ReCommon, La montatura dell’idrogeno, 2 febbrai, 2021.

6) Commissione Europea, ALLEGATO al Regolamento Delegato che modifica il regolamento delegato (UE) 2021/2139 per quanto riguarda le attività economiche in taluni settori energetici e il regolamento delegato (UE) 2021/2178 per quanto riguarda la comunicazione al pubblico di informazioni specifiche relative a tali attività economiche, Bruxelles, 9.3.2022.

7) Medicina Democratica n. 176, novembre/dicembre 2007 (numero monografico sul nucleare). Greenpeace, Nuclear scars: the lasting legacies of Chernobil and Fukushima, marzo 2016, 48 p.

8) REPowerEU, la risposta europea alla crisi energetica e alla guerra in Ucraina, Rinnovabili.it, 8 marzo 2022.

9) Di crisi energetica e speculazione economica, l’approfondimento con Mario D’Acunto, Radio Onda d’Urto, 14 marzo 2022. Mario D’Acunto è autore di Capitalismo, finanza, riscaldamento globale. Transizione ecologica o transizione al socialismo?, marzo 2022.

10) La Norvegia aiuta l’import europeo di gas, Rinnovabili.it, 16 marzo 2022.

11) Alan David Scifo , Porto Empedocle, il progetto del rigassificatore spacca ambientalisti e sindacati, La Repubblica, 22 marzo 2022.

12) Energia, nella strategia di Draghi anche il raddoppio del Tap: 878 chilometri per portare in Italia il gas azero, Il Sole 24 Ore, 2 marzo 2022.

13) Gas, il nuovo gasdotto Poseidon in Puglia: cosa sapere, SkyTG24, 30 marzo 2022.

alexik

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