Fabrizio Chiappetti: sapienza e follia in Dick

1. “Un pomeriggio del novembre 1963”, racconta Emmanuel Carrère, “Philip Dick camminava fra i pascoli che le continue piogge avevano trasformato in pantani. Un uccello stridette sopra di lui. Alzò gli occhi. C’era un viso nel cielo, al posto del cielo. Un viso gigante, metallico, orribile che lo guardava, chino su di lui. Era come se tutto il male del mondo si fosse concentrato lì. Capì che per tutta la vita aveva avuto paura di vedere quello che stava vedendo.”

Per diversi giorni Dick ebbe paura di guardare il cielo, preso com’era dal timore che quel volto lo stesse aspettando. Ne parlò col suo psicanalista, ma con scarsi risultati. Il dottore sospettava che il suo paziente si fosse lasciato tentare dalla nuova droga, l’LSD, che alcuni analisti di grido di Los Angeles offrivano ai clienti più “chic” per duecento dollari a seduta. Dick aveva letto The Doors of Perception di Aldous Huxley e ne era rimasto colpito; tuttavia, non era attratto dalle esperienze psichedeliche, preferendo restare fedele alle anfetamine e ai cocktail di ansiolitici e antidepressivi, di cui si vantava di conoscere le migliori combinazioni. Era accaduto qualcosa di più di un fatto insolito: negli occhi e nella mente di Dick restava fissa l’immagine crudele e ghignante nel cielo, al posto del cielo. Era come se il muro più antico e più importante, tra le profondità dell’Io e quelle del reale fosse caduto di colpo, lasciando via libera ai sogni, alle paure e alle visioni più terrificanti. Nel cielo gli uomini hanno letto storie e destini; dal volo degli uccelli come dal moto delle stelle hanno tratto previsioni e regole di comportamento. Ma in quell’istante del novembre ’63 il cielo fu chiuso da una maschera metallica. Quale fosse esattamente il suo significato, Dick lo ignorava. Il problema, semmai, era un altro. Bisognava sopravvivere a quella visione paralizzante.

Fu in tali circostanze che maturò il suo avvicinamento alla Chiesa Episcopale di Inverness, dove almeno il parroco sembrava prenderlo sul serio. Dick, a parere del prete, aveva probabilmente incontrato Satana; oppure Dio stesso, pensava Dick, come al solito propenso al ribaltamento di qualsiasi giudizio. La seconda ipotesi gli metteva i brividi: se quel volto ghignante in cielo era davvero il volto di Dio, non ci sarebbe stata più salvezza, più nulla di nulla. L’umanità, presto o tardi, sarebbe caduta in suo potere senza via d’uscita. Con l’animo agitato da domande così terribili Dick iniziò a comporre un nuovo romanzo, intitolato Le tre stimmate di Palmer Eldritch. Scrisse le prime cento pagine fra il Natale e la fine dell’anno. Di giorno leggeva S. Paolo e sentiva crescere dentro di sé il bisogno di una vita rinnovata. Di notte non poteva smettere di “inventare” con gli strumenti della finzione letteraria le forme e la potenza del Male assoluto.

La storia si svolge per metà sulla terra e per metà sulle colonie terrestri insediate su Marte. Il governo terrestre delle Nazioni Unite è intenzionato a portare avanti il programma di colonizzazione, nonostante la nuova frontiera marziana sia un concentrato di desolazione e disperazione; a tale scopo vengono organizzate periodiche campagne d’arruolamento, durante le quali i cittadini selezionati vengono sottoposti ad un test. Se l’individuo non presenta particolari problemi di natura fisica o psichica ed è senza occupazione, viene spedito per sempre su Marte nel giro di ventiquattro ore. Sul pianeta rosso le attività possibili sono poche; il suolo è avaro di risorse e i predatori indigeni (famelici sciacalli telepatici) non si fanno pregare. Tra i coloni, oppressi dalle avvilenti condizioni di vita e di lavoro, si è così diffusa l’abitudine di consumare una droga di importazione terrestre, il Can-D. L’assunzione della sostanza avviene comunitariamente, con modalità che fanno pensare alla celebrazione di un culto laico, legato alla volontà di sopravvivere nonostante tutto.

Il Can-D permette ai coloni di identificarsi con Perky Pat e Walt, di lasciarsi alle spalle la triste realtà marziana e di entrare in un mondo felice, che qualcuno ha giustamente definito “la versione nostalgica e rassegnata del Sogno Americano”. Perky e Walt sono una coppia affiatata, conducono una vita splendida tra auto sportive, vestitini sexy, spiagge, palme, serate romantiche e feste con gli amici. Tutti i coloni sono ferventi seguaci della “religione” sorta intorno al Can-D. L’assunzione della sostanza avviene infatti comunitariamente, con modalità che fanno pensare alla celebrazione di un culto laico, legato alla volontà di sopravvivere nonostante tutto. I più fanatici sono addirittura convinti che durante l’esperienza “di traslazione” si venga davvero trasportati nel corpo e nella mente di Perky e Walt, esistenti in carne e ossa da qualche parte sulla Terra. Al di fuori dell’esperienza traslativa, Perky e Walt sono invece due pupazzi pluriaccessoriati (la media è di una coppia per un gruppo di sei coloni) che Dick immagina traendo spunto dalla coppia Barbie & Ken che aveva regalato a sua figlia per Natale.

Capo del traffico interplanetario del Can-D è Leo Bulero, proprietario della P.P. Layouts, una ditta di New York che ufficialmente commercializza gli oggetti in miniatura che compongono il magico mondo di Perky Pat. Per prevedere le prossime tendenze del mercato, e di conseguenza offrire i prodotti giusti, la P.P. Layouts si affida al talento pre-cognitivo di alcuni consulenti. Barney Mayerson è il miglior “pre-mod” in attività; ma è soprattutto un uomo fragile e assillato dal rimpianto del suo matrimonio finito male. Le attività della P.P. Layouts, da tempo nel mirino dei funzionari dell’O.N.U. che conducono l’inchiesta sulla provenienza e sullo spaccio del Can-D, sono però minacciate da un nuovo concorrente. Si è sparsa la voce che il noto industriale Palmer Eldritch, di ritorno da un viaggio nel sistema di Proxima, oltre il sistema solare, abbia portato con sé una droga sconosciuta. Leo si reca da Eldritch nel tentativo di trovare un accordo. Eldritch però non è disponibile al negoziato, e per dimostrare di avere la partita in pugno somministra a Leo una dose di Chew-Z.

Il malcapitato precipita in un mondo ignoto, dove scopre che ogni cosa, compreso il suo corpo, è un’emanazione dell’unico spirito creatore, e cioè Palmer Eldritch. “Non ho trovato Dio nel sistema di Proxima, ho trovato qualcosa di meglio”, confida Eldritch a Leo ancora sotto l’effetto del Chew-Z, “Dio promette la vita eterna. Io posso fare di meglio. Posso consegnarla a domicilio”. Eldritch, come ogni buon venditore, mostra con orgoglio le qualità sbalorditive del prodotto, che inizialmente avrà lo stesso prezzo del Can-D, ma al cui confronto le esperienze traslative sembreranno una pallida imitazione. Il Chew-Z consente, a chi ne fa uso, di percepire il corpo che vuole nell’universo che vuole: il “cliente” plasma l’universo, assolvendo la funzione cosmologica del demiurgo.

Eldritch passa ad illustrare a Leo il piano per la diffusione della nuova droga. Con il Chew-Z ciascuno potrà avere il suo regno e condurre la vita che preferisce. Potrà reincarnarsi infinite volte, ed è questa la qualità che, nelle previsioni di Eldritch, finirà col persuadere il segretario dell’O.N.U. , di fede buddista, a votare per la legalizzazione del Chew-Z. Leo, invece, non è per nulla persuaso dai melliflui discorsi di Eldritch. Dopo aver plasmato alcuni oggetti con la forza del logos, Leo costruisce una scala che termina in un cerchio luminoso nella speranza di poter rientrare, in un modo o nell’altro, a New York. Eldritch, alla fine, lo lascia andare; ma, non appena tornato a casa, il poveraccio si accorge che Eldritch è ancora presente. Il nemico assume le sembianze di amici e collaboratori, oppure di animali mostruosi che appaiono e scompaiono improvvisamente. Il mondo che Leo conosceva è irrimediabilmente contaminato. Si è illuso di poter uscire dall’universo prodotto dal Chew-Z; Eldritch stesso lo ha ingannato facendogli credere di poter creare con il logos un mondo a suo piacimento. In realtà è accaduto soltanto ciò che Eldritch ha permesso che accadesse. D’ora in avanti la percezione che Leo avrà della realtà “passerà” per Palmer Eldritch. Il corpo di Leo presenta già le stimmate, che testimoniano l’incontro-scontro con Eldritch.

 

2. Non è certamente la prima volta che si sente sostenere la tesi dell’illusorietà del mondo empirico, di cui si hanno opinioni in continua discordia tra loro. I filosofi hanno stabilito ora verità trascendenti, ora più modeste certezze razionali a metro di misura di ciò che è reale, esente da qualsiasi dubbio e contraddizione. E se, invece, il fondamento non fosse più lo stesso? Se al posto della “ben rotonda Verità ”, dell’Idea del Sommo Bene, del Dio creatore e reggitore delle sorti dell’universo, se al posto di tutto ciò che lo spirito umano può concepire, contemplare, adorare, ci fosse qualcosa di spaventoso da cui si può solo tentare, inutilmente, di scappare? Il dualismo tradizionale, che vuole opposte illusione e verità, è palesemente inadeguato di fronte all’ipotesi che dietro di esse agisca una potenza che non può essere sbrigativamente liquidata come “ingannatrice”. Il fatto è che, dopo l’incontro con Eldritch, non c’è verità che riesca a restare al suo posto, che resista alla violenza allucinatoria perpetrata mediante il Chew-Z. Ma l’eclisse della verità è soltanto una faccia della medaglia: senza la posizione positiva di ciò che è vero è altrettanto impossibile stabilire i confini e i caratteri di ciò che è solo illusione. L’eclissi del reale allora diventa duplice. Verità e illusione diventano loro malgrado protagoniste di un dramma assolutamente nuovo che ha per scenario il mondo di Eldritch. La percezione della realtà è alterata dal Chew-Z, al punto che nulla può considerarsi reale nel senso di coincidente con la realtà di partenza, prima dell’assunzione della droga; allo stesso tempo il mondo di Eldritch è altrettanto reale, sia pure come il risultato di una trasposizione in un’altra tonalità. La realtà del mondo di Eldritch si avvicina inconsapevolmente al fortunato concetto di iper-realtà elaborato da Jean Baudrillard in relazione al tipo di rappresentazione della realtà ottenuta tramite la televisione. Per Baudrillard la rappresentazione televisiva del mondo ha abolito la classica distinzione tra verità e finzione, costruendo così un’immagine complessiva del mondo stesso più reale del reale. Dinanzi a questo processo di perdita di materialità, il mondo (o quel che ne rimane) si “vendica” scomparendo sotto il velo ormai preponderante della sua rappresentazione. Nell’analisi di Baudrillard, tuttavia, è assente alcun tipo di giudizio di valore circa le trasformazioni sopra descritte; nelle pagine di Le tre stimmate di Palmer Eldritch si respira invece un profondo senso di angoscia per la sorte dei personaggi caduti nella iper-realtà del Chew-Z.

Come un astuto predatore, Eldritch guida le vittime prescelte nel labirinto dei mondi possibili, mostrandoli più reali di quanto siano i mondi di appartenenza di ciascuno, ossia l’insieme dei propri vissuti, dei ricordi, dei rimpianti, delle ambizioni ecc. Si riaffaccia così la celebre domanda di Nietzsche: quanta verità può sopportare, quanta verità può osare un uomo? Pensando alla situazione immaginata nel romanzo, può un uomo sopportare di diventare come Eldritch , di portare i segni (le stimmate) della sua presenza, perdendo così la verità su se stesso, vale a dire l’identità personale di corpo e spirito?

La sfida di Eldritch investe direttamente quello che Carrère, in un passaggio già citato della biografia di Dick, chiama il “meccanismo psichico” che ha lo scopo di filtrare la realtà. Forse, più che di meccanismo si dovrebbe far riferimento alla facoltà tutta umana di esprimere giudizi intorno alla natura delle cose, giudizi che poggiano tutti sulla fondamentale distinzione tra la realtà dell’Io in rapporto a quella del mondo esterno. Ora, nella prospettiva di Eldritch, è come se questa distinzione si fosse improvvisamente contratta; al suo posto, l’unica percezione di sé che si mantiene è quella di riconoscere il proprio status di prigionieri a cui è preclusa ogni possibilità di fuga. Non c’è un luogo da cui scappare, né un nemico esterno da poter affrontare, anche a rischio della vita, perché scappando ci si porta dietro la ragione stessa della fuga. E il nemico temuto non ci sorprende alle spalle, ma compare da solo, davanti allo specchio.

Palmer Eldritch non è un semplice trafficante di droga. Leo ritiene che non si tratti di un uomo: forse lo era prima di andare su Proxima, ma adesso è diventato un essere mostruoso, mosso dalla brama di invadere e assorbire in sé l’intero sistema solare. Il nome stesso del personaggio contiene rimandi poco rassicuranti. Nei racconti di Lovecraft, quando ci si imbatte in mostri o situazioni talmente agghiaccianti da non poter essere descritte, si fa uso di aggettivi come “eerie”, “uncanny”, “hideous”, ma soprattutto “eldritch”. Con questo termine Dick sembra voler indicare una tipologia di terrore subdolo, che colpisce all’improvviso e senza spargimenti di sangue: il terrore, cioè, di credere di vivere in un incubo e scoprire che l’incubo è esattamente la vita che hai davanti perché sei già sveglio, e senza scampo.

L’aspetto esteriore di Eldritch è anch’esso fonte di suggestive analogie. Gli occhi non sono umani, ma semplici feritoie su cui è montato un dispositivo meccanico a vista panoramica. La bocca, la mandibola e i denti sono di metallo, così come il braccio sinistro. Occhi, bocca e braccio sembrano simboli di una trinità artificiale rovesciata: l’occhio onnipotente e onnicomprensivo di Dio Padre è ridotto ad una telecamera panoramica, il Verbo di Dio (il Figlio) esce da una bocca d’acciaio; lo Spirito Santo che procede dal Padre e dal Figlio, l’agente di Dio nel mondo, si trasforma in un braccio meccanico senza vita.

La tecnica combinata del rovesciamento e della degradazione, applicata alle qualità che caratterizzano la sfera del sacro, consegue l’effetto di caricare la divinità di Palmer Eldritch di un segno assolutamente negativo. La letteratura medievale, di cui Dick era un buon conoscitore, è ricca di esempi in tal senso. Sulla scia della definizione agostiniana del male come negazione (malum est privatio boni, come si legge nelle Confessioni), essa ha stabilito un codice di rappresentazione del Maligno improntato all’esaltazione dell’orrido, con l’intento di favorire nel lettore cristiano un netto senso di repulsione. È necessario, infatti, fuggire il male “con orrore” ed attaccarsi all’unico vero Bene, come raccomanda S. Paolo, poiché Dio solamente può concedere la salvezza, cioè la vita eterna. Satana, al contrario, è il sovrano della morte eterna, vale a dire dell’eterna dannazione. Perciò il tono della descrizione va tenuto lontano dal registro medio, evitando soprattutto di mettere in risalto particolari grotteschi o ridicoli. Del Male non si deve ridere, pena l’essere esposti ai suoi subdoli attacchi.

Eldritch, purtroppo, non ha l’aria dello sconfitto, della creatura condannata da una sentenza eterna: si sottrae al potere divino, osa contrastarlo sul suo stesso terreno, quando afferma che Dio promette la vita eterna mentre lui te la consegna a domicilio a prezzi concorrenziali. Pare davvero che il mondo “dove si va quando si prende il Chew-Z” sia irraggiungibile anche da Dio. Nonostante sia consapevole dell’enorme divario esistente tra le forze in campo, Leo Bulero non si dà ancora per vinto e con l’aiuto di Barney Mayerson mette a punto un piano per sconfiggere Eldritch. Barney dovrà farsi spedire su Marte, fingere di ingerire il Chew-Z per poi cadere in uno stato di morte apparente per mezzo di una tossina ancora sconosciuta alle autorità sanitarie. In questo modo i funzionari O.N.U. saranno costretti a dichiarare illegale il Chew-Z, per via degli effetti letali riscontrati sull’organismo umano. Ma nella fase di attuazione della strategia accadono due fatti imprevedibili. Barney si innamora di Anne, una giovane missionaria della Chiesa Neo-Cristiana conosciuta durante il viaggio su Marte. Ancora Barney, nel tentativo di portare a termine il piano di Leo, finisce per masticare sul serio il Chew-Z e scoprire che fra i poteri della droga rientra pure quello di “cambiare” il proprio passato; con un po’ di fortuna spera ancora di salvare il matrimonio con Emily…ma tutto accade ancora una volta sotto gli occhi panoramici di Eldritch.

Il viaggio psichico”, scrive Carlo Pagetti nell’introduzione al romanzo, “si compie a ritroso nel tempo per realizzare, o fallire, il sogno più grande di tutti, la modificazione del passato, l’annullamento degli errori, la costruzione di un futuro alternativo, in cui il desiderio di armonia, la riconciliazione degli opposti, continuamente smentiti dal mondo esterno, possano realizzarsi.

In questo modo Dick mette i suoi personaggi di fronte allo “scandalo” permanente dell’esistenza umana. La modificazione del passato, l’annullamento degli errori, la costruzione di un futuro diverso sono desideri che, per realizzarsi, richiederebbero un tempo infinito a disposizione; mentre il tempo che costituisce lo sfondo, sul quale si colloca e prende forma la vita individuale, è finito e irreversibile.

Il potere della droga attrae inizialmente il povero Barney, che tuttavia intuisce tutto l’orrore dell’abisso in cui sta per venire risucchiato. Di ritorno dal Chew-Z Barney trova a malapena la forza di mettere in guardia Anne. Per Barney Eldritch è il signore di un mondo illusorio, in cui è il simulacro sinistro di Eldritch ad occupare le posizioni-chiave. Alla domanda di Anne sulla somiglianza del mondo generato dal Chew-Z con quello dei sogni Barney risponde senza mezzi termini:

 

– È assolutamente diverso dal sogno – Più che altro una specie d’inferno pensò. Sì, è così che deve essere l’inferno: ripetitivo e inesorabile.

 

Nel seguito del romanzo anche gli altri coloni, Anne compresa, cadono vittime del Chew-Z. Le stimmate di Eldritch compaiono sui corpi dei malcapitati. Quando Anne e Barney s’incontrano di nuovo, sono tutti e due contaminati. Anne, influenzata dalla sua educazione neo-cristiana, pensa che si tratti di una maledizione, quasi fosse la ripetizione della maledizione più antica che colpì alle origini i progenitori della razza umana. Le tre stimmate sono simboli che richiamano in maniera inesorabile la presenza di Eldritch; e tutto questo accade senza mediazioni rituali, senza il tradizionale bagaglio liturgico-sacramentale capace di far convivere la potenza della sfera del sacro con la fragilità della condizione umana. Dalle parole di Anne trapela tutta l’amarezza e la rassegnazione ad un destino che non può mai essere diverso dalla punizione, con il Chew-Z al posto della mela del peccato originale.

In quella particolare circostanza il tentatore biblico promette ad Eva e Adamo di rivestirli della dignità divina. Ma l’infrazione della legge di Dio rivela l’inganno soggiacente al patto col serpente: l’idea, cioè, che si possa diventare ciò che ontologicamente non si è. Nell’ambizione di compiere questo salto di condizione, di esercitare un potere incompatibile col proprio statuto ontologico, si perde anche quello che si è. Adamo ed Eva si ritrovano “nudi”, dopo aver mangiato il frutto dell’albero della conoscenza del Bene e del Male; perdono, inoltre, i “privilegi” della vita edenica e cadono nell’esistenza segnata dal tempo, dalla sofferenza e dalla morte.

Ad Anne e Barney, invece, Eldritch “consegna a domicilio” il premio che Dio ha riservato ai suoi fedeli: la vita eterna. In effetti, pare che Eldritch abbia mantenuto la promessa. Si vive per sempre nel mondo del Chew-Z. Ma c’è un prezzo aggiuntivo da pagare: da quel mondo magico non si esce più. Il dominio completo esercitato sulla realtà si rovescia fino a diventare il dominio assoluto di Eldritch. La favola del mondo dominabile dal logos, dal pensiero che “squadra”, “dà forma” alle cose, non è che una tragica illusione. Essere come Eldritch, non essere più Leo, Barney o Anne: questo è l’insostenibile adempimento della promessa di concedere la vita eterna, cioè diventare un simulacro meccanico, un uomo-macchina o Dio sa cos’altro si nasconde dietro questo personaggio che l’autore lascia volutamente aperto a più di un’interpretazione.

 

3. Nel 1964, durante la stesura de Le tre stimmate di Palmer Eldritch, Dick pubblica sulla rivista Lighthouse un breve saggio intitolato Droghe, allucinazioni e ricerca della realtà. Le prime battute sono dedicate ad una sommaria esposizione dell’evoluzione del concetto di psicosi. Dick riprende la distinzione freudiana secondo la quale la psicosi è riconducibile ad una patologia di origine fisica, piuttosto che psichica; mentre la nevrosi è legata al verificarsi di eventi traumatici durante l’infanzia e dunque curabile con una terapia che faccia riemergere il materiale sessuale represso e sepolto nella psiche del paziente. “Questa sembrava un’ottima cosa”, commenta Dick, “finché Jung non mostrò e dimostrò che:

  1. Molti psicotici completi ricoverati, una volta decifrato il loro linguaggio personale e ristabilita, quindi, una comunicazione, reagivano alla psicoterapia con la stessa rapidità dei nevrotici.
  2. Molti nevrotici che erano in grado di camminare da soli, avevano un lavoro, mantenevano la famiglia, erano in realtà psicotici.”

 

Le scoperte di Jung costringono ad un generale ripensamento delle teorie sulla genesi delle malattie mentali. Un punto del paradigma freudiano sembra ancora tenere: psicotici e nevrotici possono essere distinti con certezza in base al fatto che i primi sono soggetti ad allucinazioni mentre i secondi no. A questo punto però, sorge un pericolo inaspettato. Dick osserva come, oltre alle allucinazioni in cui il paziente vede qualcosa che non c’è, esistano allucinazioni negative in cui la vittima di tale fenomeno non vede qualcosa che invece esiste. Un esempio famoso di allucinazione negativa si ritrova nella descrizione di un caso clinico seguito da Jung; l’uomo in questione vedeva le altre persone senza testa. Il particolare che spaventa maggiormente il trentaseienne Dick è la sostanziale normalità del soggetto, classificabile come un semplice caso di isteria e niente affatto assimilabile alla classe degli psicotici. Le allucinazioni possono dunque penetrare nella normale percezione e gestione dei dati dell’esperienza e sconvolgere l’immagine del mondo, come accade in Le tre stimmate di Palmer Eldritch, sotto l’effetto del Chew-Z.

Per comprendere meglio il significato dell’espressione “immagine del mondo”, può risultare utile richiamare brevemente ciò che Ludwig Wittgenstein intendeva con essa: La mia immagine del mondo”, scrive il filosofo, “ non ce l’ho perché ho convinto me stesso della sua correttezza. È lo sfondo che mi è stato tramandato, sul quale distinguo tra vero e falso. Lo sfondo a cui accenna Wittgenstein ha la caratteristica di essere “soddisfacente” in riferimento ai nostri bisogni pratici: esso è il risultato di una lunga opera di tradizione (nel senso proprio di trado = consegnare, trasmettere) da parte di una “comunità che è tenuta insieme dalla scienza e dall’educazione”.

Ma cosa succede quando saltano gli schemi pratici e cognitivi abituali, quando si squarcia lo sfondo e si strappa il velo rassicurante che filtra la realtà? Cosa succede quando nei processi cognitivi irrompe l’esperienza allucinatoria? “Le allucinazioni ”, secondo il Lessico di Psichiatria, “sono sensazioni avvertite come obiettivamente reali in assenza dei contemporanei e dei corrispondenti stimoli sensoriali esterni ”. Il Lessico evita di definire l’allucinazione in termini di percezione, ma si guarda bene dal ridurla ad un fenomeno negativo o illusorio. “Non basta sostituire nella successione normale oggetto reale – processo percettivo – soggetto un semplice nulla al posto della realtà, perché nell’allucinazione non si tratta tanto di percezione quanto di un’esperienza particolare che ha solo una somiglianza con la percezione”. Il Lessico, in definitiva, considera l’allucinazione come “una sorta di abnorme strutturazione della coscienza, o un allargamento della coscienza: nell’allucinazione il confine tra l’Io e il mondo esterno è dissolto”.

Esistono naturalmente diversi tipi di allucinazione, e le cause scatenanti di tali fenomeni sono diverse e complesse. La vera difficoltà, tuttavia, sta nell’interpretazione da dare all’allucinazione, dal momento che non è corretto inserirla nella comoda categoria delle “percezioni andate a vuoto”. Le allucinazioni non sono semplicemente false: pare, invece, che abbiano la stessa stoffa di ciò che comunemente chiamiamo realtà, e che a cambiare sia la quantità o l’ordine dei dati esaminati dal cervello, non la qualità. L’allucinazione viene esclusa dal compito di rappresentare la realtà nella misura in cui essa risulta “non condivisibile” da parte di un individuo o di una comunità: sulla base dei fenomeni allucinatori, infatti, non è possibile rispondere efficacemente alle necessità imposte dall’agire quotidiano. La vita è intessuta di azioni, la cui esecuzione richiede uno specifico addestramento. Si impara, ad esempio, a calcolare somme, prodotti, divisioni tra i numeri; ma con le varianti introdotte dall’allucinazione il calcolo si blocca. Si impara, da piccoli, a chiamare gli oggetti per nome, ad associare segno e significato senza essere dei semiologi: l’allucinazione, in questo caso, assomiglia ad un bagliore potentissimo che impedisce la “lettura” del mondo secondo le consuete procedure. La perdita dei contorni familiari degli oggetti ricade sul linguaggio e ne esaurisce le possibilità di significazione.

 

4. Nella già citata biografia di Dick scritta da Emmanuel Carrère, tra le altre cose si racconta che Philip, da ragazzo, era stato al cinema con la madre e si era sentito male durante il cinegiornale, al punto da dover uscire di corsa dal cinema prima della proiezione. Sul momento il giovane Dick inventò la scusa di essere stato sconvolto dalle immagini cruente del cinegiornale di guerra, e in modo particolare da quella che ritraeva alcuni marines americani nell’atto di bruciare vivi i soldati giapponesi. Ma nelle pagine autobiografiche Dick confessa di aver provato sgomento per qualcos’altro che tutti gli altri spettatori, che pure si trovavano insieme con lui nella stessa sala, non stavano vedendo. Nessuno si rendeva conto di essere prigioniero di un illusione, e che niente allo stesso tempo era più reale di quest’illusione, vale a dire l’essere rinchiusi in una stanza e assistere alla proiezione delle immagini attraverso una macchina; una volta uscito dal cinema nessuno degli spettatori si sarebbe reso conto di trovarsi in una condizione analoga, ossia di scambiare per reali quelle proiezioni meccaniche che fanno breccia nei limiti dell’azione cognitiva umana (le “quattro pareti” per stare alla metafora del cinema). Una volta fuori dal cinema Dick era sicuro soltanto di un fatto: che non avrebbe più dimenticato, e neppure avrebbe smesso di chiedersi il senso di un gioco apparentemente crudele, il gioco della familiarità con le cose che fa nascere il “mondo reale”.

L’esperienza vissuta dal giovane Dick sembra la versione rovesciata di uno dei più celebri racconti platonici, e precisamente del “mito della caverna”, mito che espone sinteticamente la dottrina del filosofo intorno ai modi e ai gradi del conoscere. Il posto più basso è occupato dai prigionieri rivolti verso il fondo della caverna. Dietro di loro c’è un fuoco, e altri uomini che portano in processione alcuni oggetti. Il fuoco li illumina, proiettando le ombre degli oggetti sulla parete, ombre che i prigionieri scambiano per gli oggetti stessi. Uno dei prigionieri riesce a liberarsi, ad uscire dalla caverna e vedere la Vera Forma di tutte le cose che è data dalla luce del Sole, simbolo dell’Idea platonica del Sommo Bene. Al giovane Philip, invece, la realtà fuori dal cinema continuava ad apparire come un’immensa illusione, con la sola unica certezza era che adesso lo sapeva.

Il tema dell’inganno, connesso alla conoscenza che l’uomo ha del mondo che lo circonda, è un tema trasversale a tutta la cultura occidentale, e non solo. Come non ricordare, allora, il contributo fondamentale offerto da Renè Descartes nelle Meditazioni metafisiche (1641), in cui il filosofo si propone di rispondere alle obiezioni mosse alla sua precedente fatica, il Discorso sul metodo (1637). Nel Discorso Descartes esprime il bisogno di passare al setaccio, almeno una volta nella vita, tutte le conoscenze di cui dispone e che gli sono derivate dalla sua esperienza del mondo e dall’educazione scolastica, con l’intento di tenere per sé solamente quelle conoscenze che sono esenti da ogni dubbio. A cominciare dai sensi, Descartes arriva a dubitare di tutto, ma non del fatto di dubitare, che a sua volta implica l’esistenza di un soggetto dubitante.

Nelle Meditazioni viene introdotto un ulteriore livello di dubbio che porta il processo di sospensione della verità alle estreme conseguenze. “Supporrò dunque”, argomenta Descartes, “che invece di un Dio sommamente buono, fonte di verità, vi sia un genio maligno che, sommamente potente e astuto, ce la metta tutta per ingannarmi.” Il genio maligno estende la sua influenza anche sulle verità più evidenti, comprese le idee che fanno parte della matematica e della geometria. Ma il fondatore del razionalismo moderno, dopo essersi spinto così in avanti sulla via dello scetticismo radicale, cerca subito una soluzione da opporre alla minaccia incombente del genio maligno. Il ricorso dello stesso Descartes alla tesi tradizionale, secondo cui Dio è l’essere perfetto per eccellenza (non manchevole di nulla) e dunque anche buono e incapace di ingannare, non convince affatto Dick, che ha ancora paura di quel volto metallico intravisto nel cielo. Una volta formulata, l’ipotesi del genio ingannatore si attacca a tutti i pensieri successivi, minandone la validità logica e significativa; come se nel delicato ecosistema dei fenomeni e dei significati ad essi collegati si fosse introdotto un virus sconosciuto e potente, una forza che annienta tutto ciò che non può omologare. Idee, parole, frasi, giudizi, azioni dei personaggi perdono le caratterizzazioni personali: tutto si confonde nell’oscurità dell’abisso di cui i gelidi occhi panoramici di Eldritch sono la porta.

Il mondo prima e il mondo dopo Eldritch si fondono formando il nuovo orizzonte entro cui Dick fa procedere la narrazione, in un crescendo di scontri, rivelazioni, fughe e speranze seguite da un sempre più sconfortante sentimento di rassegnazione. Nessuna ferita, nessun punto di sutura, nessuna possibile demarcazione separa ormai le due realtà.

 

 

 

4.Verso la fine del romanzo Barney Mayerson, trovandosi di fronte ad Eldritch, pone una domanda che nel frattempo certamente sarà balenata nella mente dei lettori, e cioè perché sommergere le coscienze degli uomini con il diabolico Chew-Z. La risposta di Eldritch è sorprendente per la sua semplicità: la modificazione permanente della realtà ottenuta attraverso il Chew-Z consente a Eldritch di continuare ad esistere all’infinito. Quella adottata da Eldritch non è che una forma di riproduzione, la sua forma riproduttiva, l’unica che gli sia stata concessa. Eldritch appare a questo punto come un’entità emersa dalle oscure profondità dello spazio, una parte anch’essa della creazione divina. Dopotutto, il principio di autoconservazione richiede continuamente anche agli esseri umani di distruggere parti della realtà per trasformarle in funzione dei propri bisogni vitali: distruggere forme esistenti, viventi o no, per trasformarle a propria misura potrebbe davvero essere la legge-guida, la ragione che regola le trasformazioni dell’intero universo. A questo proposito, l’essere dotati o meno di coscienza e intelligenza non scongiura affatto la pratica dell’annientamento. Nello scontro tra due specie coscienti vi è un supplemento di violenza che, proprio in virtù dell’essere presenti a se stessi (la coscienza), rende la violenza dell’annientamento ancor più raffinata e micidiale.

Eldritch non cade nell’ultimo, disperato agguato teso dall’astronave di Leo. Tutto l’equipaggio è contaminato; le stimmate sono ormai riconoscibili in ciascuno. La storia si interrompe, lasciando presagire il dominio prossimo venturo del simulacro venuto dal sistema di Proxima. Ma chi è, allora, Palmer Eldritch? Nel saggio dal titolo Uomo, androide e macchina, pubblicato nel ’76, Dick prende in esame la straordinaria evoluzione delle macchine, osservando che la tecnologia è arrivata a produrre congegni che imitano con sempre maggior precisione il comportamento umano; mentre gli uomini tendono ad abbandonare gli aspetti tipicamente umani del comportamento e a conformarsi ai parametri di efficienza e produttività raggiunti dalle macchine.

Di questi tempi ”, scrive Dick, “ il maggior mutamento in atto nel mondo è probabilmente la tendenza del vivente alla reificazione e, allo stesso tempo, la reciproca compenetrazione di animato e meccanico”. D’altronde, per Dick la fantascienza è un genere letterario basato sulla creazione di trasposizioni fondate dell’esistente, vale a dire di rappresentazioni di ciò che il mondo non è ancora diventato. Nei pensieri di Dick si fa strada una nuova preoccupazione: le macchine del futuro saranno umanizzate, nel senso che imiteranno sempre meglio il comportamento umano, ma ciò non equivale a dire che saranno umane a tutti gli effetti. Tornando a Palmer Eldritch, lo stesso Dick annovera questo ibrido meccanico tra i suoi personaggi meglio riusciti, nel tentativo di rappresentare le possibili conseguenze, comprese le più estreme, del rapporto tra l’uomo e l’apparato tecnico, incluso quello di cui ancora non è dotato. Questa lettura posteriore del personaggio da parte dell’autore aumenta il numero delle interpretazioni possibili. Eldritch potrebbe essere un megalomane che mira ad impadronirsi del sistema solare narcotizzando i suoi abitanti, oppure una creatura aliena che si nutre di altre forme di vita coscienti per continuare ad esistere. Potrebbe essere il vero volto del Sovrano dell’universo, il Signore della polvere da cui tutto viene (Dio compreso) e deve ritornare. Ma dopo quanto affermato in Uomo, androide e macchina, Palmer Eldritch può essere visto anche come il simbolo del rapporto tra l’uomo e le macchine nell’era della tecnica. L’uso frequente di termini come “reificare” o “reificazione” si avvicina, per via del significato che Dick attribuisce loro, a concetti e analisi del mondo moderno già presenti all’epoca nel dibattito intellettuale: basti pensare a certe pagine della Dialettica dell’illuminismo di Horkheimer e Adorno, quando, ad esempio, si sostiene che “nelle grandi svolte della civiltà occidentale, ogni volta che nuovi popoli e ceti espulsero più decisamente il mito, il timore della natura incontrollata e minacciosa fu abbassato a superstizione animistica, e il dominio della natura esterna e interna fatto scopo assoluto della vita”. Ne L’androide e l’umano Dick critica duramente certi assunti della mentalità moderna, in particolare la tendenza a considerare le qualità viventi presenti nella natura alla stregua di banali proiezioni antropomorfiche. “La moderna psicologia del profondo”, osserva Dick, “per anni ci ha chiesto di liberare da queste proiezioni quella che in effetti è la realtà inanimata”. Occorre infatti che l’uomo si renda conto del fatto che la vitalità del mondo che lo circonda altro non è che la sua stessa vitalità, che si riflette sulle cose altrimenti inerti.

Il cammino della civiltà occidentale mostra con chiarezza che l’uscita da ciò che è stato definito, con un’espressione molto pregnante, il “sentimento oceanico” che sta proprio ad indicare lo stato di immersione, di non differenza in cui si trova la coscienza all’interno della natura, procede con la maturazione di un nuovo sentimento di fronte alla realtà circostante: un atteggiamento complessivo della coscienza moderna che Max Weber ha efficacemente sintetizzato nell’idea di razionalizzazione o del disincanto del mondo, inteso sia nel senso del mondo naturale che in quello del mondo come realtà storica e sociale. L’oggettivazione del mondo, attuata per mezzo della tecnica e dell’estensione del concetto di calcolo, si rovescia però nel momento in cui raggiunge il suo scopo. Perciò si parla di dialettica dell’illuminismo, che a sua volta non è da ridurre al periodo storico che i manuali etichettano con questo termine. L’illuminismo esprime piuttosto il continuo tentativo dell’uomo di liberarsi dalla paura primitiva dell’esistere, operando in modo che non ci sia più nulla di “ignoto”. L’illuminismo, secondo Horkheimer e Adorno, “è l’angoscia mitica radicalizzata. La pura immanenza positivistica, che è il suo ultimo prodotto, non è che un tabù per così dire universale. Non ha da esserci più nulla fuori , perché la semplice idea di un fuori è la fonte genuina dell’angoscia.

Nel mondo di Eldritch l’uomo è libero dai vincoli naturali che da sempre ne hanno limitato la capacità di agire: è il mondo “tecnico” per eccellenza, dove tutto può essere realizzato. Neanche il tempo sfugge alle leggi di Eldritch. È come abolito: il suo scorrere non produce la minima conseguenza, sempre uguale a se stesso. Ma l’uomo, liberato dal dominio della natura, cade sotto quello del Signore del mondo tecnico: Palmer Eldritch, appunto. Nella volontà di essere il creatore di un mondo alternativo al mondo naturale, l’uomo è diventato Eldritch; il suo corpo è inesorabilmente segnato dalle stimmate, gelide prove dell’avvenuta fusione tra l’animato e il meccanico. Per dirla con le parole degli autori della Dialettica, non resta più nulla che si possa considerare esterna, al di fuori di Eldritch. Ma l’annullamento del fuori, dell’ignoto, lungi dall’esaurire la fonte dell’umana inquietudine ne produce un’altra, almeno altrettanto radicale: la condanna alla solitudine. L’originario terrore dell’ignoto non va infatti visto come un dato assolutamente negativo, incontrovertibile. Nell’ignoto risiede comunque, oltre al pericolo, la possibilità di incontrare l’inaspettato, di scoprire la ricchezza di ciò che, attraverso l’incontro, non è più motivo di angoscia ma diventa semplicemente l’altro rispetto a se stessi. E comunque l’ignoto, più che essere una condizione paralizzante per lo spirito umano, è piuttosto la fonte genuina di ogni sfida pratica o teorica che sia. Nel mondo di Eldritch si rimane soli, privati della possibilità di un incontro autentico, o di una vera scoperta. Si può creare quello che si vuole, è vero: ma quest’immenso potere è illusorio nella misura in cui Eldritch ne permette l’esercizio. Ecco perché dal mondo di Eldritch si cerca soltanto di scappare.

L’eternità che Eldritch consegna a domicilio è carica di ambiguità, confinata com’è nel tempo esatto della misurazione, degli istanti intercambiabili, della produzione che per funzionare esige che ogni singolo pezzo dell’ingranaggio, uomo o macchina, possa essere sostituito. L’eternità di Eldritch non si apre nella direzione di una prospettiva escatologica, non esprime alcun tipo di rinnovamento, non introduce a nessun regno di salvezza: è l’eternità fredda e meccanica della ripetizione. “Gli uomini ”, si legge ancora nella Dialettica dell’illuminismo, “avevano sempre dovuto scegliere fra la loro sottomissione alla natura e quella della natura al Sé. Con l’espansione dell’economia mercantile borghese l’oscuro orizzonte del mito è rischiarato dal sole della ratio calcolante, ai cui gelidi raggi matura la messe della nuova barbarie.” Il tentativo dell’uomo di emanciparsi dalla tirannia delle forze naturali per “salvare se stesso” è fallito, rovesciandosi nella tirannia della tecnica. Lo sforzo che doveva conservare la soggettività umana, liberarla dalla soggezione della natura e da ogni altra cattiva coscienza, ha finito col provocarne la perdita.

Eppure, anche tra le righe di un romanzo votato alla catastrofe come Le tre stimmate di Palmer Eldritch, affiora una timida via d’uscita. Riflettendo con Anne su quello che gli è accaduto, Barney comprende di essere una vittima sacrificale funzionale alla perpetuazione di Eldritch. Tutti i sacrifici avvengono secondo questa logica, per cui è preferibile offrire il classico “capro espiatorio” al posto di se stessi. Eldritch non fa eccezione, dal momento che, per scongiouare la propria fine, non esita a sacrificare altri esseri coscienti. L’unica eccezione, semmai, che affiora nella mente di Barney è rappresentata dalla divinità venuta duemila anni fa, ossia dal Cristo. Gesù, l’agnello di Dio, è l’esatto contrario dle capro espiatorio, poiché sceglie di sacrificarsi: soltanto il sacrificio consenziente di sé dimostra che Dio non ha altra potenza che quella di amare e di redimere la sorte di ogni creatura attraverso i simboli della totale condivisione.

Prima ancora della conversione Dick era affascinato dal mistero dell’Eucaristia cristiana. In essa vedeva il ribaltamento di ogni precedente immagine del Sacro. Il Dio cristiano, nella forma del pane e del vino consacrato, offre il corpo e il sangue, cioè se stesso, in sacrificio. Il rito eucaristico è pertanto la ripetizione di una sconfitta che diventa vittoria della logica dell’amore sulla logica naturale. Il Dio rivelato in Gesù Cristo è un Dio che può salvare poiché, come osserva Carrère, “tende soltanto a rimpicciolirsi, a dare invece che a prendere, fino alla sua stessa vita: segno del soprannaturale che lo rende, paradossalmente, più reale di Eldritch.

Già in The Man in the High Castle Dick, non ancora cristiano, trova il modo di descrivere i nazisti come “il prodotto di un’insorgenza dell’inconscio collettivo” (concetto direttamente mutuato dalla lettura di Jung) che ha dissolto la distinzione tra l’umano e il divino, invertendo il significato espresso dal sacrificio eucaristico. I nazisti sono convinti di essere in grado di trasformare la storia, operando nella direzione di un “radicale” rigenerazione dell’umanità. Il loro punto d’ossrvazione sulla realtà si è dilatato in maniera psicotica, al punto da includere quei caratteri di totalità e di assolutezza propri della dimensione del divino: i nuovi dei, gli ariani preservati nel solco puro della tradizione germanica, dispongono le sorti dei popoli da sovrani della storia quale essi si credono, e non certo come vittime espiatorie.

Nel ’64 Dick è un convertito di fresca data. Spera che Cristo sia venuto a salvarlo dal Volto che aveva visto nel cielo. Ma l’approccio alle verità della fede non manca di risvolti paradossali, per cui l’ultima parola, per il momento, va lasciata a Eldritch. Da buon scrittore di fantascienza, Dick non resiste alla tentazione di porsi la fatidica domanda “e se…?”; e se l’allucinazione descritta nel romanzo, insieme a quella avuta nell’autunno del ’63, fossero invece l’esperienza conoscitiva estrema, per mezzo della quale il mondo appare in tutta la sua originaria, insuperabile, enigmaticità? E se Palmer Eldritch fosse la versione meccanica della paura più antica di tutte, del vuoto a cui l’uomo ha strappato prometeicamente il proprio io, il proprio essere? E se fosse Eldritch stesso l’ambasciatore dell’abisso venuto a reclamare il tributo di sempre, cioè la fine di ogni cosa che da esso è sorta?

Vedere poco può essere pericoloso, ma accidenti…e se si vede troppo?”, si chiede Dick a conclusione dell’articolo Droghe, allucinazioni e ricerca della realtà: forse ha visto se stesso, cioè la condizione dell’uomo nell’universo che lo sovrasta insondabile e pronto a divorarlo, o forse ha visto lo stesso Dio che ha incontrato il poeta James Stephens, puntualmente citato da Dick, nella poesia intitolata “The Whisperer”:

 

(…)

 

Io vi plasmo;

e poi, nella buona e nella cattiva sorte

non mi importa

come ve la sbrighiate,

nei miei affari,

o come lottate, vincenti o perdenti, e neppure

voglio saperlo.

 

Non c’è bisogno di allucinazioni: ci sono molti altri modi per impazzire.”

NOTA EDITORIALE

Per concessione dell’autore riprendo (come già 7 giorni fa) un capitolo di “Visioni dal futuro“, il libro che Fabrizio Chiappetti ha dedicato a Philip Dick. (db)

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

2 commenti

  • ,,,io vi plasmo,poi nella cattiva o buona sorte,sono cazzi vostri, non voglio neanche saperlo…A parte la licenza poetica,dovrebbero metterlo come sottotitolo alla bibbia….ehehe Fammi sapere quando capiti nella capitona,ma non è detto che io non venga su a B.

  • no, neanche la briga di plasmare, si prese:
    plasmatevi e moltiplicatevi e saranno soltanto cazzi vostri.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *