Frammenti di quotidianità palestinese – 16

Bambino palestinese arrestato a Gerusalemme

da Infopal

Gerusalemme, 22/09/23.
Giovedì sera, le forze di polizia israeliane hanno arrestato un bambino palestinese nella Città Vecchia della Gerusalemme occupata.
L’Autorità per gli Affari dei prigionieri ha affermato che il tredicenne Muhammad Qaws è stato arrestato giovedì sera. Le autorità israeliane hanno condannato un giovane gerosolimitano a 15 mesi di carcere e hanno prolungato per la terza volta consecutiva per un mese la detenzione amministrativa di un altro prigioniero gerosolimitano. La detenzione di altri sei gerosolimitani, compreso un minorenne, è stata prolungata per periodi di tempo diversi.
Sulla stessa linea, le autorità israeliane hanno imposto gli arresti domiciliari al bambino gerosolimitano, Amir Najib, più una multa di 1.000 shekel e il divieto di utilizzare i social media.
Fonti: Quds Press e PIC.

Un ragazzo ucciso da un proiettile allo stomaco sparato dalle IOF a ovest di Jenin

da Infopal

Jenin, 22/09/23.
Venerdì all’alba, nel villaggio di Kafr Dan le forze di occupazione israeliane (IOF) hanno ucciso un palestinese, Imad Abu Al-Hassan, 18 anni, della cittadina di al-Yamun, a ovest di Jenin, secondo quanto reso noto dal ministero della Sanità palestinese.
Secondo fonti mediche, Abu Hassan è morto a causa di un proiettile allo stomaco sparato dalle forze israeliane durante un assalto alla cittadina. Abu Hassan è stato trasferito all’ospedale Rafida, dove è stato dichiarato morto.
Sono scoppiati scontri a Kafr Dan dopo che le forze di occupazione hanno invaso l’area, sparando proiettili, granate assordanti e bombe a gas contro i giovani: diversi sono stati feriti da schegge di proiettili, o sono rimasti asfissiati dall’inalazione di gas lacrimogeno.
Testimoni hanno riferito che “i combattenti della resistenza hanno preso di mira i veicoli dell’occupazione con ordigni esplosivi durante il loro graduale ritiro dalla città di Kafr Dan”.
Fonti: Quds Press e PIC.

Nablus, 7 feriti e 130 asfissiati durante l’invasione delle IOF

da Infopal

Nablus, 22/09/23. Sette palestinesi sono rimasti feriti e altri 130 hanno sofferto per l’inalazione di gas lacrimogeni durante l’invasione delle forze di occupazione israeliane (IOF) a Nablus, giovedì sera.
Fonti locali hanno riferito che forze speciali israeliane hanno preso d’assalto il quartiere di Rafidia, a ovest della città, e hanno circondato un edificio residenziale con pesanti colpi di arma da fuoco prima di prendere di mira la casa con quattro missili Energa.
Le IOF hanno dichiarato di aver arrestato un palestinese “ricercato” e altri due giovani, che sono stati successivamente rilasciati.  Nella zona sono scoppiati scontri armati, dove decine di residenti sono rimasti feriti.
Il direttore del Centro ambulanze e emergenza della Mezzaluna Rossa a Nablus, Ahmed Jibril, ha dichiarato: “Gli equipaggi delle ambulanze hanno fornito cure sul campo a 15 persone con sintomi di asfissia a causa dell’inalazione di gas lacrimogeni tossici”.
Quest’anno, in Cisgiordania, 247 palestinesi sono stati uccisi dalle forze di occupazione israeliane, tra cui 47 minorenni, 11 donne e otto anziani.
Fonti: PIC e Quds Press.

Sei palestinesi uccisi a Jenin, Gerico e Gaza. Israele ha usato anche droni kamikaze

da Pagine Esteri

20 settembre 2023. Nelle ultime 24 ore quattro palestinesi sono stati uccisi e circa 30 feriti (alcuni sono gravi) dal fuoco dei soldati israeliani e da droni kamikaze nel campo profughi di Jenin. Il quinto è stato colpito ieri pomeriggio durante una manifestazione a ridosso delle linee tra Gaza e Israele ed è morto poco dopo all’ospedale.
Mahmoud as-Saadi, 23 anni, Mahmoud Ararawi, 24 anni, Raafat Khamaiseh, 22 anni, e Atta Musa, 29 anni, tutti combattenti, sono stati uccisi nel raid militare più sanguinoso da quello del 3 e 4 luglio scorsi, sempre nel campo profughi di Jenin, in cui morirono 12 palestinesi e un soldato israeliano (colpito, si è poi appreso, da fuoco amico).
Le brigate combattenti palestinesi hanno risposto all’incursione con un intenso fuoco di sbarramento con armi automatiche. Non ci sono stati feriti tra i soldati israeliani.
L’esercito ha detto di aver utilizzato anche il Rafael SPIKE FireFly, un drone suicida, contro i palestinesi.
Mentre le truppe si ritiravano dal campo profughi, un veicolo militare è stato messo fuori uso da una bomba sul ciglio della strada. Successivamente è stato trasportato via.
Sempre ieri, è stato ucciso dal fuoco dei soldati un palestinese di 25 anni, Yusef Radwan, durante una manifestazione di protesta lungo le linee tra Gaza e Israele. Altri 11 sono rimasti feriti, uno è in gravi condizioni.
Almeno 185 palestinesi, tra i quali civili innocenti, della Cisgiordania e di Gerusalemme Est sono stati uccisi dall’inizio dell’anno, la maggior parte durante raid dell’esercito o dai coloni israeliani. Gli attacchi palestinesi in Israele e in Cisgiordania dall’inizio dell’anno hanno causato la morte di 27 coloni e civili e di tre soldati.

Casi di soffocamento tra gli studenti durante incursione israeliana vicino a Gerusalemme

da Infopal

Gerusalemme/al-Quds, 19/09/23. Decine di studenti palestinesi sono rimasti soffocati, martedì dopo che le forze di occupazione israeliane hanno preso d’assalto la città di Anata, a nord-est della Gerusalemme occupata.
Fonti locali hanno riferito che le forze di occupazione (IOF) hanno invaso la cittadina, si sono posizionate attorno al complesso scolastico e hanno lanciato granate assordanti e gas lacrimogeni tossici, provocando il soffocamento di decine di studenti Le fonti hanno spiegato che gli studenti sono stati costretti a lasciare le aule a causa del gas che è stato sparato verso le scuole.
Fonti: Wafa e AlQuds.

“I Territori palestinesi sono diventati una prigione a cielo aperto”

Intervista di Anna Maria Selini (*)

Ha coniato un neologismo Francesca Albanese, Relatrice Speciale delle Nazioni Unite per i diritti umani nei Territori palestinesi occupati dal 1967, nel suo secondo report, per spiegare il sistema al quale sono sottoposti i palestinesi: carcerialità (dall’inglese carcerality di memoria foucaultiana). “Un carcere a cielo aperto -spiega- in cui tutti i palestinesi, detenuti o meno, sono sottoposti a un controllo costante, parte di un’occupazione votata a permettere la colonizzazione”.
Il documento, presentato ufficialmente lo scorso luglio al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, è il secondo report ufficiale presentato da Albanese da quando ha assunto l’incarico di Relatrice speciale nel maggio 2022.

Anna Maria Selini Relatrice, perché ha scelto di dedicare il suo secondo Rapporto a questo tema?

Francesca Albanese: Innanzitutto perché i numeri destano grave preoccupazione. Tra il 1967 e il 2006 Israele ha incarcerato più di 800mila palestinesi nei Territori occupati. Circa settemila (di cui 882 bambini) sono stati arrestati nel 2022 e attualmente ci sono cinquemila palestinesi (di cui 155 minori) detenuti: 1.014 senza processo o accusa, in regime di detenzione amministrativa. E tutto questo in un’occupazione anormale dal punto di vista della durata, dell’intensità e di ciò di cui si è fatta veicolo, ovvero la protezione delle colonie, che per le Nazioni Unite ammontano a circa 300, abitate da oltre 700mila persone.
La documentazione degli abusi contro i palestinesi detenuti dalle autorità israeliane è massiccia già dai primi anni dell’occupazione, ma in modo sistematico dalla prima Intifada (1987-1993): parliamo di maltrattamenti e di uso regolare della tortura, che è stata in qualche modo regolamentata dalla Corte suprema israeliana, mai messa al bando, come il diritto internazionale vorrebbe. Negli ultimi anni le detenzioni amministrative sono aumentate, così come gli arresti di minori in condizioni estremamente violente. Penso alle incursioni notturne di soldati in assetto da guerra che invadono, con una caratteristica persecutoria, interi villaggi, svegliando famiglie, violando l’intimità della casa, picchiando e umiliando adulti e bambini, per poi portare via questi ultimi. Insomma, ho deciso di capire un po’ meglio di che cosa si trattasse.

Anna Maria Selini: Lei scrive che i Territori occupati palestinesi si sono trasformati in un panopticon, cioè un carcere sorvegliato completamente e permanentemente. Che cosa significa?

Francesca Albanese: Il concetto di panopticon non mi era venuto in mente prima della ricerca per questo report. Con questo studio mi è parso di unire i puntini e la cosa più esorbitante per me è stata capire quali sono i motivi, le ragioni “legali” che portano all’arresto e alla detenzione dei palestinesi su larga scala. E, sottolineo, solo dei palestinesi. Perché ai civili israeliani e ai coloni che vivono in Cisgiordania e a Gerusalemme Est non si applica la legge militare, come ai palestinesi, ma tutt’altro regime. Ed è chiaro che anche questo “dualismo legale” è una manifestazione di apartheid. Quando parlo di carcere a cielo aperto intendo il contesto generale di ingabbiamento dei palestinesi, di cui l’incarcerazione è uno degli strumenti. Ci sono barriere fisiche ovunque, che non sono quelle di una prigione, ma che ne hanno l’estetica.

Basti pensare ai checkpoint, al muro, alle barriere che circondano le colonie che a loro volta circondano villaggi e città palestinesi, impedendo loro di crescere. La realtà fisica del territorio occupato è frammentata, davvero un arcipelago di “palestinità”. Siamo abituati a definire Gaza come la più grande prigione a cielo aperto, ma è solo la parte sottoposta a un regime carcerario di massima sicurezza, rispetto al resto. Alla fisicità dell’ingabbiamento, inoltre, si somma un’altra forma di controllo, meno visibile, ma altrettanto pervasiva: quella della burocrazia. I palestinesi devono fare domanda per qualsiasi istanza di vita civile: dalla costruzione di una casa, alla scelta di dove risiedere. Si pensi che è impossibile per loro trasferirsi in Cisgiordania o per uno di Gaza andare a vivere a Gerusalemme. Quella in cui sorgono i villaggi di Masafer Yatta è considerata zona militare: anche andare a scuola o coltivare la propria terra sono atti considerati illegali.

Per finire, c’è un controllo digitale estremamente pervasivo, attraverso migliaia di telecamere a circuito chiuso che riprendono qualsiasi spazio pubblico palestinese. C’è il monitoraggio dei social media e delle connessioni telefoniche, non tanto per spiare le conversazioni, ma per mappare tutti i dati esistenziali. Questo ha portato a un aumento degli arresti e delle detenzioni amministrative, in base al mero sospetto che il palestinese sia implicato in un’attività “ostile”. Ma quasi tutto è considerato tale nell’ottica delle forze di occupazione: 411 organizzazioni, inclusi i maggiori partiti palestinesi, le principali organizzazioni di volontariato e le Ong che si occupano di diritti umani sono registrate come “ostili” dall’apparato militare. Alcune addirittura sono state definite terroriste. Lo chiamo un panopticon, perché è una prigione controllata proprio dall’interno.

Anna Maria Selini: Quali sono gli strumenti che permettono al sistema di funzionare?

Francesca Albanese: Gli ordini militari, che vengono applicati in base all’occupazione, che di per sé nel diritto internazionale non è illegale. La potenza occupante può “legiferare”, ma non stravolgendo l’ordine normativo locale e soprattutto non violando gli interessi della popolazione occupata, che invece è quello che Israele fa in quanto potenza occupante, abusando dello strumento normativo. E poi c’è la forza fisica, il dispiegamento di un intero esercito contro una popolazione civile che poi si difende opponendosi all’occupazione, generalmente in modo pacifico, a volte come resistenza armata (ma questa è decisamente una parte minoritaria).
È nella natura stessa di un’occupazione brutale e che dura da 56 anni che il popolo che vi è sottoposto si ribelli: in questo contesto i palestinesi hanno fatto ricorso e potrebbero ancora ricorrere all’uso della forza, nei confronti dell’occupazione che li opprime. È per questo che è necessario rivedere la situazione, alla luce delle norme internazionali. Eliminare tutto ciò che non vi si conforma. E riportare la situazione a un ordine che sia in linea con lo stato di diritto e la giustizia per tutti: palestinesi e israeliani.

Anna Maria Selini: Quali codici o convenzioni vengono violati attraverso questo sistema?

Francesca Albanese: Il rapporto considera tre branche del diritto: umanitario, penale internazionale e diritti umani. Sulla base di questa analisi, ho individuato sei crimini: dalla privazione di un processo regolare e giusto, fino all’apartheid.

Anna Maria Selini: Lei scrive che i palestinesi vengono puniti quando cercano di esercitare i loro diritti fondamentali. Può fare degli esempi?

Francesca Albanese: Succede a partire dal diritto più banale, la libertà di movimento: cioè poter entrare e muoversi come e quando si vuole nel territorio. L’architettura burocratica prevede un sistema di “etichettamento” di ogni palestinese in base a un possibile rischio sicurezza. A decidere dei diritti civili, in ultima battuta, sono i servizi segreti israeliani (lo Shin Bet) che hanno un potere assoluto e soprattutto inappellabile di determinare chi rappresenti un pericolo. Inoltre gli ordini militari sono vaghi e generici e proprio la vaghezza li rende soggettivi. C’è una norma che impedisce qualsiasi forma di assembramento, inclusa una veglia funebre, una protesta o qualsiasi cosa che non sia autorizzata dall’esercito. La condanna è di dieci anni di reclusione.

Anna Maria Selini: Come si smantella un sistema del genere?

Francesca Albanese: Con il rispetto della legge internazionale e la volontà politica di applicarla: nel diritto internazionale c’è tutto quello che serve. Ciò significa ricorrere alle misure che la Carta delle Nazioni Unite offre: economiche, diplomatiche e politiche. Finché non attiviamo quelle, credo sia difficile immaginare un cambio di condotta da Israele.

Anna Maria Selini: Questo Rapporto a che cosa può servire?

Francesca Albanese:  Innanzitutto a una presa di coscienza di chi non sa o di chi fa finta di non vedere. Se veramente si vogliono la pace, la serenità e la sicurezza di tutti, in Israele e Palestina, il regime di apartheid con un’occupazione di tipo acquisitivo-coloniale deve essere superato: per questo il primo obiettivo del rapporto è la sensibilizzazione. Poi dipende molto dalla società civile, dall’uso che ne farà. Può servire alle Nazioni Unite e magari alla Corte penale internazionale, per cambiare rotta, perché fino a ora c’è stata passività e poca efficacia nell’approcciare la questione ai sensi del diritto internazionale. Infine, potrebbe contribuire a fornire un vocabolario nuovo. Mi auguro che sia di stimolo a una comprensione diversa del fenomeno, fuori dalla logica del sempiterno “conflitto”.

(*) Tratto da Altreconomia, 1 settembre 2023.
I report di Francesca Albanese sono disponibili sul sito dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani (ohchr.org)

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alexik

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