Guatemala: l’impunità senza fine di Benedicto Lucas García

Si è arenato di nuovo il processo contro Benedicto Lucas García, l’ex capo di stato di stato maggiore dell’esercito accusato di genocidio contro gli indigeni maya nel periodo 1978-1982.

di David Lifodi

      Foto: Prensa Comunitaria

A fine giugno la Corte costituzionale guatemalteca ha approvato, con una maggioranza di 4 a 1, lo spostamento del tribunale che avrebbe dovuto giudicare Benedicto Lucas García, l’ex capo di stato di stato maggiore dell’esercito accusato di genocidio contro gli indigeni maya nel periodo 1978-1982, uno dei più sanguinosi nella storia del Guatemala a causa dell’operazione Tierra arrasada (terra bruciata) lanciata da suo fratello Romeo Lucas García per sterminare le comunità ixil.

Non è la prima volta che il processo nei confronti di Benedicto Lucas García rischia di arenarsi dopo l’avvio risalente al 5 aprile 2024. In precedenza, problemi di salute della giudice, Lilian Patricia Ajcam, hanno di fatto interrotto il processo quando, dopo centinaia di udienze, mancavano soltanto le conclusioni per determinare la sentenza. Sui problemi di salute della giudice pesarono le forti pressioni esercitate nei suoi confronti dalla lobby dei militari che vuol salvare l’ex generale dalle sue responsabilità.

Adesso si è verificata una situazione più o meno simile. Lo spostamento del tribunale ritarda ulteriormente il giudizio contro il militare responsabile, tra le altre cose, di crimini contro l’umanità e sparizioni forzate. “Él dio la orden, él cometió los asesinatos”, continuano a ripetere i sopravvissuti ai massacri e i familiari delle vittime, ma se la memoria storica resiste manca ancora la giustizia legale. Il cambiamento del tribunale, al quale si è opposto esclusivamente il magistrato supplente Rony López, avviene in un clima di profonda regressione del sistema giudiziario guatemalteco.

Ormai novantaduenne, Benedicto Lucas García difficilmente farà ingresso in carcere, nonostante su di lui pesi una richiesta di pena che ammonta a 2.860 anni di prigione. Eppure, le accuse contro di lui sono pesantissime: creò le sanguinarie Fuerzas de Tarea, coordinò la strategia militare contrainsurgente, ma soprattutto, sarebbe bastato un suo ordine per metter fine al massacro dei maya ixil. Il nuovo stratagemma che, una volta di più, ha garantito l’impunità a Benedicto Lucas García, denunciano l’ Asociación para la Justicia y la Reconciliación, l’Oficina de Derechos Humanos del Arzobispado de Guatemala e il Foro de Organizaciones No Gubernamentales Internacionales en Guatemala, rappresenta un danno irreparabile per un processo di riconciliazione che, aldilà degli accordi di pace firmati il 29 dicembre 1996, continua tuttora a rimanere solo sulla carta.

Gli indigeni maya, ampia maggioranza del paese, rimangono i paria di una società profondamente escludente, dove un’oligarchia corrotta composta da poche famiglie continua a fare il bello e il cattivo tempo, nonostante gli sforzi della timida presidenza socialdemocratica di Bernardo Arevalo, primo presidente progressista dai tempi di Jacobo Arbenz, eletto il 20 agosto dello scorso anno a seguito di una vera e propria guerra giudiziaria scatenata contro di lui dal cosiddetto Patto dei Corrotti, un’alleanza di forze conservatrici che impedisce, di fatto, il pieno sviluppo della democrazia nel paese.

Benedicto Lucas García ha dedicato la sua carriera militare alla repressione. Nel maggio 1967 rappresentò il Guatemala, in qualità di delegato, alla Conferencia de Jefes de Inteligencia de Ejércitos Americanos e, nel 1970, sfruttò una borsa di studio per rimanere all’interno della famigerata Escuela de las Américas, dalla quale sono usciti i peggiori repressori di attivisti, sindacalisti, studenti, nonché di presidenti e governi di sinistra dell’intera America latina.

Nonostante sia sempre stato braccato dalla giustizia, Benedicto Lucas García non ha mai smesso di imputare il dramma del lunghissimo conflitto armato guatemalteco esclusivamente alla guerriglia, cavalcando la teoria dell’urgenza della repressione per evitare che in Guatemala arrivasse alla presidenza un nuovo Jacobo Arbenz, che peraltro, da giovane, lo stesso repressore ammirava.

A smentire, una volta di più, Benedicto Lucas García, il cui vero scopo era quello di sterminare il popolo maya ixiles, Robert Nickelsberg il fotografo della rivista Times che si trovava insieme a lui sull’elicottero che sorvolava le terre maya nel Quiché. Quest’ultimo, su ordine del fratello Romeo, dette il via libera per sparare sui civili. La sua logica, ha ricordato il fotografo, era quella di puntare i fucili su tutti coloro che fuggivano all’arrivo dell’elicottero perché, secondo i fratelli García, erano automaticamente guerriglieri o loro simpatizzanti.

Del resto, lo Stato guatemalteco non ha mai riconosciuto le proprie responsabilità in merito ai casi di tortura, sparizioni forzate, massacri e altre violazioni di diritti umani compiute tra il 1960 e il 1996, né ha mai risarcito le vittime e i loro familiari: è per questo che Benedicto Lucas García continua a godere della più totale impunità.

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

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