«Ho vissuto una vita non mia»

una recensione in ritardo (*) per «La nemesi della rossa» di Carla Macoggi   

Il libro curiosamente si apre con un «intermezzo». E’ la riproduzione di una paginetta scritta con calligrafia infantile – o da persona poco alfabetizzata? – che si rivolge all’«ufficio minori e minorati» di una città il cui nome è stato cancellato o meglio sbiancato. Si parla di Fiorella: «figlia di padre italiano e di madre etiope» che ora è orfana e vive a Bologna, presso le suore dopo un «negativo» affidamento. In contrasto con questa scrittura a un tempo timida e burocratica – come quella di chi rivolge a una autorità lontana e incomprensibile – subito le pagine di «La nemesi della rossa» (Sensibili alle foglie, maggio 2012: 104 pagine per 14 euri) si colorano di mistero, poesia, ironia, voluta confusione, delicatezza. E dopo poche righe Fiorella scandisce quel «No, no. Ho vissuto una vita non mia» che è il motivo dominante del libro.

L’autrice, Carla Macoggi, riprende Fiorella-Kheywa, il personaggio del suo testo precedente. Perché quel «rossa» nel titolo? Spiega nella prefazione Fulvio Pezzarossa che – dentro «la contrapposizione binaria bianco/nero» – quel richiamo resta «misterioso», almeno «per chi ignori l’altra opera dell’autrice». Ed essendo fra coloro che non hanno letto il testo precedente posso dire che – anche partendo da qui e restando in parte nel mistero – Carla Macoggi mi ha stregato con la sua scrittura, con la vita «afona» di Fiorella («e tutti a volermi sorda»).

Difficile per la protagonista fare ordine nella sua vita: «Per fare ordine ci vogliono le forze. Le forze dell’ordine. La polizia fa ordine nella vita della gente. La pulizia fa ordine nella vita della gente».

«Come sei brutta, così grassa» è una sorta di saluto che, a esempio, accoglie Fiorella, accompagnato da «stai zitta» e da «guai a te se ti sento ridere». Solitudine, «una vita vana», bugie, obbedienza. Un continuo «bavaglio alla bocca», «esistere nel mutismo». Non c’è da stupirsi se Fiorella poi dirà: «avevo paura delle persone». E si chiede: «Chi poteva avermi resa infante per sempre?». Ineducazione. Tavor. Ma anche libri adorati che però fanno a botte con tutto il resto («perdono, confessione e peccato») e provocano – o è un’altra bugia? – «lacerazione mentale».

Vado avanti e indietro in «La nemesi della rossa» perché è lo stile di Carla Macoggi ma anche perché mi sembra delittuoso riassumere e sintetizzare.

«Le suore dicevano che a toccare le piante da mestruate si fanno morire». E subito dopo i Subsonica: «Santi burocrati sangue d’ipocriti. La vita spesso è una discarica di sogni. Che sembra un film dove tutto è deciso. Sotto un cielo di un grigio infinito». E le suore spiegano che se «qualcosa» accade «certo la colpa era della donna».

A volte basta spostare una sola lettera – su due – per raccontare una storia. Come quando Gregorio racconta a Fiorella che «lui era di un movimento […] si chiamava LC, due lettere dell’alfabeto per dare un’idea del mondo» dove, le spiega, Dio non c’era. Ma poi Gregorio incontra Lucrezia che gli chiede «di non credere più in quella sigla», di cambiare «l’ordine di quelle due lettere dell’alfabeto», dunque CL. Come molte/i sapranno da Lotta continua a Comunione e liberazione il salto è di quelli davvero mortali. E’ donna assai informata Lucrezia e infatti spiega a Fiorella: «lo sai che un giorno il diavolo ha chiesto al papa di lasciargli il mondo per 100 anni? E se alla scadenza sarà stabilito che la vittoria sia da attribuirsi a lui, lo sai che tutto il creato passerà sotto il suo giogo? I cento anni stanno finendo, questione di qualche mese. E il demonio per vincere vuole distruggere tutte le famiglie». Nel nuovo mondo ciellino a una ragazza si dice: «da oggi tutti gli uomini per te sono cattivi […] Diavoli. Stai lontana da tutti gli uomini». E la si induce a chiedersi: «perché non ci ho mai pensato? Tutti diavoli. Dal giorno delle mie prime mestruazioni». Poi crescendo i diavoli Fiorella li incontrerà davvero ma nel luogo dove non erano previsti.

Finali imprevisti si susseguono: «tragedia in mezzo atto», «epilogo» e l’«appendice» che inducono a rileggere l’inizio, a vedere tutto sotto un’altra luce.

Come scrive Pezzarossa nella prefazione è una scrittura che «consente di ripercorrere da diversi punti di vista lo stesso racconto». Ma non è solo la storia di Fiorella; è anche rileggere «arroganza, razzismo, cinismo, crudeltà» del colonialismo italiano e l’abituale «abisso di smarrimenti, contraddizioni, censure, impedimenti e castrazioni che materializzano la barbara accoglienza dell’Occidente […] colpire, irreggimentare, domare la materialità del corpo», dove persino «la capigliatura negroide» è una ribellione da domare.

Chi legge «La nemesi della rossa» passa, con Fiorella, attraverso un mare di «solitudine, nessun rispetto e nessun affetto». Eppure lei sa che può farcela. Come accade a molte/i trova nei libri una chiave per capirsi e capire. Dopo una vita nel mutismo parlerà. Questo è il suo libro.

(*) Questa sorta di recensione si colloca nella rubrica «Chiedo venia», nel senso che mi è capitato, mi capita di non parlare in blog di alcuni bei libri pur letti. Perché accade? A volte nei giorni successivi alle letture sono stato travolto (da qualcosa, qualcuna/o, da misteriosi e-venti, dal destino cinico e baro, dalla stanchezza, dal super-lavoro … o da chi si ricorda più); altre volte mi è accaduto di concordare con qualche collega una recensione che poi rimane sospesa per molti mesi. Ogni tanto rimedierò in blog a questi buchi, appunto chiedendo venia. (db)

 

Redazione
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Un commento

  • Carissima “sorella”, noi che abbiamo vissuto tanti anni assieme, nel collegio, presso chi ti ha divorata nel tempo, con azioni, parole o in mancanza di esse… Quando ho saputo della tua dipartita una parte di me si è spezzata e non passa giorno che non pronunci il tuo nome o non racconti le nostre storie ad esempio per chi potrebbe averne bisogno nel momento del bisogno. Sono venuta persino al portone dell’ultima tua abitazione… Invano, mi sono recata in comune dove di te si ricordava un messo comunale per il trasporto della tua salma… Lontanissimo… Ho tirato fuori tutte le nostre foto e le ho consumate nel giro di 1 anno, sebbene oltre 35 erano ancora intonse dentro un portafoto, mio figlio che tutti scambiavano per tuo alla notizia della tua dipartita era incredulo. Manchi tanto tantissimo al cuore e all’anima, ciao sorella.

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