Hugo Blanco Galdos in Italia

tratto dal Mininotiziario America latina dal basso

di Aldo Zanchetta

Un volto non indio quello del “più indio di tutti” (Galeano dixit). Barba bianca fluente, cappello di paglia, occhi marroni penetranti, luccicanti quando la discussione si fa intensa. E allora, nonostante i suoi 80 anni, si rivela il più giovane di tutti.

L’icona di un vecchio eroico lottatore sociale al quale rendere omaggio? Nossignori, Hugo è ancora sulle barricate, quelle che la sua mente instancabile indica dove combattere le nuove battaglie.

Credo di poter dire a nome di tutti quelli che lo hanno incontrato nel suo tour italiano: “Grazie Hugo per la carica che ci hai trasmesso.

Dal 26 aprile al 5 maggio: una visita breve ma densa di incontri, fino a tre in certi giorni. In sequenza: Firenze, Lucca, Pisa, Livorno, Torino, Milano, Roma. In particolare, importanti per lui, la visita ai cantieri della TAV in Val di Susa con il successivo l’incontro nella sala del Consiglio comunale di Bussoleno, grazie all’iniziativa degli amici di Torino, l’incontro a RiMaflow, la fabbrica occupata di Trezzano, la giornata trascorsa con gli occupanti della fattoria di Mondeggi (FI).

In tutti gli incontri la partecipazione è stata numerosa e attenta e il suo libro Noi, gli Indios, è andato a ruba. Molti i temi trattati nei suoi interventi, troppi per essere qui ricordati tutti.

Centrale, quello del suo passaggio dalle antiche lotte in Perù per dare “la terra a chi la lavora” a quelle odierne in difesa del pianeta Terra, la Pachamama, contro i disastri dell’odierno “capitalismo per espropriazione” che mettono a repentaglio la vita degli esseri umani. Il Perù è considerato il terzo paese più a rischio a causa del riscaldamento globale, data la sua conformazione geofisica, e quindi il tema è a Hugo particolarmente presente.

Come ha ripetuto in tutti gli incontri, l’unica via di salvezza dal disastro totale è la costruzione di un mondo “altro”, del quale coloro che oggi sono dominati possano prendere le redini con un rapporto orizzontale fra e all’interno dei diversi popoli, dove si prenda atto che l’essere umano non è signore ma parte integrante della natura. E nel parlare o nell’ascoltare di germi di esperienze di autogestione dal basso i suoi occhi si illuminano di gioia e di speranza. Un mondo “altro” al quale i popoli originari, i “selvaggi” secondo un’ottica occidento-centrica, che hanno mantenuto al loro interno l’orizzontalità dei rapporti e l’amore per la Madre Terra, potranno dare un contributo essenziale.

Altro tema di fondo emerso spesso è stato quello della costruzione di relazioni nuove fra i movimenti dal basso, di cooperazione e di scambio reciproco fra mondo urbano e mondo rurale, citando molti esempi fra i quali alcuni visti in Grecia, paese dove è stato prima di giungere in Italia.

Nei vari incontri Hugo ha seminato speranza non disgiunta da sano realismo, non nascondendo le difficoltà che questi mondi “altri” in gestazione incontrano e incontreranno, chiamando a unire le forze non attraverso nuove strutture ma moltiplicando le relazioni e lo scambio di esperienze.

Sul viaggio di Hugo, che si è augurato di poter tornare fra noi il prossimo anno per approfondire la sua conoscenza delle esperienze dal basso italiane, torneremo in uno scambio diretto con lo stesso Hugo, che certamente vorrà comunicarci le sue impressioni.

Vogliamo però terminare riportando il brano col quale egli ha concluso il suo libro e che racchiude il senso di una lunga vita di lotta e la sua visione del mondo futuro.

Un altro mondo è possibile

un mondo d’amore

un mondo senza guerre

dove il lavoro non sia un peso ma un piacere

un mondo dove non ci sia fame

e quindi non ci sia ingordigia

dove non ci sia repressione sessuale

e quindi non ci sia voracità sessuale

dove tutti abbiano una casa

e non ci siano potenti in grandi palazzi

dove per salire non sia necessario calpestare la testa di un altro

dove nessuno cerchi di essere il più intelligente,

la più bella, il più forte, il migliore,

dove quello che usiamo è quello che ci serve

non quello che ci ordinano la pubblicità e la moda

dove possiamo essere diversi ed amarci

dove ci comportiamo con la Madre Natura con

l’amore di figli, non come suoi nemici

dove il tempo sia per vivere

non per produrre e consumare

un mondo che non sarà come io voglio che sia

ma come l’umanità che lo costruisce decida che sia

un mondo di luce che appena possiamo sospettare tra le

tenebre in cui viviamo

facciamolo

 

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