Il dominio dei SUV

di Giancarlo Cinini (ripreso da https://www.iltascabile.com/)

 

Il dominio dei SUV è una questione culturale e di mercato, oltre che tecnica, ed è un problema ecologico e di sicurezza per le nostre città.

El g’ha el Süv, lü l’è el baüscia milanes” recitava – più di dieci anni fa – il ritornello della canzone di una pubblicità. Sfotteva i SUV che intasavano già le città, e i baüscia alla guida che li compravano per status, sbruffoni di taglia imprenditoriale diretti a Courmayeur. “Inquina? Fatti tuoi!”. Quella pubblicità vendeva però a sua volta un SUV, certo più compatto ed economico degli altri, e costruito dalla Skoda, ma era pur sempre una sorta di SUV. Il campo delle alternative si era già ristretto.

Che nelle strade delle città europee circolassero automobili sempre più massicce ce n’eravamo accorti da tempo. La canzone sollevava, a modo suo, la questione ecologica o di un rapporto più complicato con lo spazio dei centri urbani. Stereotipizzava anche l’aggressività dei suoi conducenti, un’arma di cui però si riappropriarono presto le pubblicità dei SUV “canonici”: la BMW, nel 2019, lanciò il suo lussuoso X6, descrivendolo come un capobranco con “attributi da maschio dominante”.

Negli anni la categoria del SUV (Sport Utility Vehicle, in italiano Veicolo di Utilità Sportiva) ha spopolato e si è allargata in gamme diverse, finché ogni casa automobilistica non ha avuto una sua berlina suvizzata. In questa corsa nessuno si è sottratto: persino la Ferrari, marchio a cui non è mai importato di fare né un’utilitaria né una berlina di lusso. Queste auto più alte, più massicce e spesso dal design dinamico o aggressivo, si sono imposte in un mercato automobilistico in crisi profonda.

Oggi la forma SUV costituisce quasi la metà delle nuove auto vendute in Europa. Com’è stato possibile?

La necessità di ridurre le emissioni avrebbe lasciato infatti immaginare auto più leggere oppure più aerodinamiche. “D’altra parte, è anche vero che i dispositivi di sicurezza chiedevano spazio a bordo e altrettanto faceva l’elettronica”, spiega Sophian Fanen, giornalista francese autore dell’inchiesta SUV qui peut. “Poi la transizione verso l’auto elettrica, con le sue grosse batterie montate al di sotto, ha imposto auto più alte. Ma tutto ciò non basta per spiegare questo ingigantimento”. Tra il crescente bisogno di sicurezza degli automobilisti e la necessità di incassare dei produttori, la suvizzazione dell’auto è diventata un complesso fatto culturale ed economico, estetico, che negli ultimi vent’anni ha plasmato le forme dell’auto.

Il ventennio suvista
I fuoristrada che potevano muoversi anche su strade normali esistevano già, ed erano già popolari: la Land Rover della regina Elisabetta, per esempio, la Ford Bronco di O.J. Simpson o la Lada Niva prodotta nella città di Togliatti, URSS. Nel 1994 però compare in Europa la Toyota RAV4: è una novità perché è un 4×4 più compatto, costruito sulla piattaforma rinforzata di una berlina, ma pur sempre dalle forme di una jeep. Negli anni seguono la Mercedes e poi BMW. Ancora tuttavia i SUV sono un acquisto di nicchia. Diventano però un lemma da dizionario, tanto che l’Enciclopedia dell’Auto di Quattroruote del 2003 alla voce SUV spiega che “si tratta di veicoli per il tempo libero che si stanno diffondendo anche in Europa” e che negli Usa già superano le vendite “delle automobili”.

Da lì a poco il mercato europeo si orienterà verso queste nuove forme. Ne racconta un esempio il designer Patrick Le Quément, designer già a capo del design Renault dal 1987 al 2009: “nel 2006 il nuovo presidente della Renault, Carlos Ghosn fece un discorso davanti al personale design, con la sua perentorietà abituale. Disse: smetteremo di fare queste auto, faremo il più gran numero di SUV”. Ghosn era stato a capo di Nissan con cui Renault aveva già un’alleanza industriale. “Questa piccola storia è interessante perché Nissan faceva il grosso delle sue vendite negli Stati Uniti. Tutto lì era cominciato con i pick-up e altri veicoli abbastanza mostruosi, estremamente pesanti ma non per forza spaziosi”, commenta Le Quément. In effetti circolavano da tempo jeep da strada e i costruttori che cercavano di conquistarsi un posto nel mercato statunitense facevano vetture più massicce, con grossi motori. “E consumi terribili”, aggiunge Le Quément. “Erano all’opposto dei criteri del design europeo, in particolare di Francia e Italia dove c’è sempre stato l’elogio della leggerezza. Ma poco per volta i produttori hanno cominciato a lanciare queste auto sul mercato europeo”. Alla fine di quel 2006 proprio Nissan lancia Qashqai: è il primo SUV di mezza taglia del tutto votato alle strade delle città europee, non somiglia più a una jeep e lo chiamiamo crossover (anche se non ci sono definizioni chiare del termine).

“All’epoca”, aggiunge Fanen, “il mercato europeo dell’auto era diviso tra piccole auto, berline, diciamo classiche o di lusso, e soprattutto monovolume: era l’epoca dell’auto di famiglia. Dopo la scintilla di RAV4 e Qashqai, le persone sembravano sempre più interessate a questi 4×4 da città. La maggior parte delle persone in effetti vive in città o nei dintorni e non prende un’auto per andare nella foresta. Eppure ha funzionato”.

All’inizio i SUV erano all’opposto dei criteri del design europeo: in particolare di Francia e Italia c’è sempre stato l’elogio della leggerezza. Poi hanno preso piede ovunque.

Negli anni la categoria SUV si è diversificata e la sua forma si è imposta anche nelle taglie medie o piccole, così anche da un’utilitaria o una berlina nascevano versioni più muscolose. Non da meno i marchi di lusso: ecco i grandi SUV di Rolls Royce, Bentley e delle sportive Lamborghini e Ferrari. La forma SUV si adatta bene anche come auto di potere, e difatti Macron nel 2017 ha scelto un SUV come nuova auto presidenziale. A ridosso della rielezione di Mattarella si vagheggiava lo stesso per il Quirinale.

Nel tempo, dunque, un’esplosione: secondo Jato Dynamics, agenzia che raccoglie dati del settore, nel 2007 i SUV costituivano l’8% del mercato auto europeo, dieci anni dopo il 29%, il 33% nel 2018, il 40,3% nel 2020. L’anno scorso il 45,5%. Vicino al 52,3% degli Stati Uniti.

L’ultima sigaretta
E però al tempo stesso il mercato dell’auto è in profonda crisi, anche a causa della pandemia e della “crisi del potere di acquisto della popolazione”, come scrive Andrea Coccia, giornalista e autore di Contro l’automobile, in un articolo su Slow News. In Francia nel 2020 “sono state immatricolate 1.650.188 automobili private (…) il peggior dato dal 1975”, aggiunge Coccia. Il crollo è generale: tra i dati raccolti da Coccia leggiamo che in Germania le auto immatricolate nel 2020 sono diminuite del 19,1% rispetto all’anno precedente e in Italia del 27,9%. Di mezzo, c’è stata la crisi dei chip per le componenti elettroniche, la pandemia e la saturazione di un mercato già affollato: la crisi sembra epocale.

Serve un “piano storico” come quello annunciato in una solenne conferenza da Macron nel maggio del 2020, dentro gli stabilimenti dell’industria di componenti auto Valeo a Étaples. Otto miliardi di aiuti per la filiera produttiva francese e per il sostegno all’acquisto. Uno degli obiettivi è che i francesi acquistino più automobili e in particolare più automobili pulite; dice Macron: “non tra due, cinque o dieci anni: ora”. In questo piano, 600 milioni sono stanziati per costituire un fondo d’investimento condiviso tra stato e produttori. Si tratta insomma di “tenere in vita”, scrive ancora Coccia, “l’industria automobilistica, rilanciando il modello classico, quello delle sovvenzioni statali, continuando a incentivare l’utilizzo dell’automobile e la sua produzione”.

Nel frattempo, 2021, secondo l’ACEA (Associazione dei costruttori europei di automobili) le vendite di nuove auto sono scese ulteriormente, meno 2,4%. Così, anche se il mercato italiano nell’ultimo anno è cresciuto, il governo ha stanziato con decreto quasi 8 miliardi di aiuti.

I SUV che ruolo hanno in questo processo di Restaurazione? Nel mercato europeo e globale costituiscono quasi la metà delle nuove vendite, secondo l’International Energy Agency. Certo, nel 2021 i SUV sono meno di quelli venduti pre-crisi nel 2019, ma comunque sono già più venduti rispetto al 2020. Ma non è solo il successo a trainare il mercato.

Produrre SUV costruiti a partire da berline è per l’industria un modo di massimizzare i ricavi, in attesa della transizione verso i veicoli elettrici che sarà lenta e costosa.

I SUV sono infatti costruiti a partire da piattaforme di berline. Perciò i costi di produzione sono ridotti e però, sottolinea Fanen, “sono considerati di più alta gamma rispetto alle berline. Dunque, i gruppi automobilistici fanno una berlina, ne fanno una versione più muscolosa e la vendono a migliaia di euro in più”. Secondo le stime, nel 2020 in Europa il prezzo di un SUV era superiore mediamente del 59% rispetto a quello di una berlina. “Per l’industria è un modo di incassare il massimo dei soldi perché si sa bene che la transizione verso i veicoli elettrici sarà lenta e costosa. Insomma, il SUV è l’ultima sigaretta prima della morte del mercato dell’auto per come lo conosciamo e della morte di un secolo a benzina”.

Dal lato dei produttori si tratta insomma di cavalcare l’onda del successo dei SUV per fare upselling, come mi conferma lo stesso Andrea Coccia, cioè vendere agli automobilisti auto di fascia superiore e incassare. Ma, ancora, questo successo è l’esito anche di altre ragioni e di fenomeni non solo economici. “Nel mondo delle auto ci si batte per tentare di salvare qualche punto di vendita e quello dei SUV è un approccio calcolato, una strategia di marketing”, secondo Le Quément, che aggiunge: “come spesso accade, i fattori che intervengono nella questione sono anche altri e numerosi”.

L’ideologia sociale del SUV
Negli Stati Uniti nel 2021 sul podio delle tre auto più vendute ci sono tre pick-up, quasi due milioni di vendite. Tutti e tre superano i cinque metri e due dei tre sfiorano i sei; se pesati assieme superano le sei tonnellate. “L’origine del fenomeno SUV”, scherza Le Quèment, “è proprio questa relazione tra certi mezzi mastodontici e i cowboys americani, che se ne vanno in giro con le pistole in tasca”. Certo, le auto europee nel tempo si erano già ingrandite per ragioni importanti come la sicurezza stradale, evoluzione che si osserva di generazione in generazione. “Ma qui siamo in un contesto di aggressività e queste macchine sono divenute sempre più aggressive, non solo nella loro taglia, ma soprattutto attraverso la loro espressione stilistica. L’evoluzione è dunque fisica ma anche culturale”.

L’automobile è sempre stata simbolo dell’individualità. Così scriveva André Gorz, filosofo, sulla rivista Le Sauvage nel 1973:

L’automobilismo di massa materializza il trionfo dell’ideologia borghese al livello della pratica quotidiana: instilla e fa crescere in ognuno di noi la convinzione illusoria che ogni individuo può prevalere e avvantaggiarsi alle spese di tutti. È l’egoismo aggressivo e crudele del guidatore che ogni minuto assassina simbolicamente “gli altri”, che non li percepisce più se non come fastidi materiali e ostacoli alla propria velocità.
Gorz la chiama l’ideologia sociale della macchina. Sono passati cinquant’anni eppure oggi ci stupiamo lo stesso fronte all’inasprimento visibile della potenza individuale, muscolare, di queste nuove auto. Forse perché negli anni Novanta la diffusione di grandi macchine significava monovolume vendute come veicoli per famiglie e non corazze individuali. Però nella prospettiva di Gorz i SUV, cinquant’anni dopo, non sarebbero altro che l’ennesima materializzazione di quella rivalsa e di quell’egoismo, portato alle sue estreme conseguenze estetiche. “La maggior parte di questi veicoli cercano potenza, ma anche, direi, violenza”, commenta Le Quément. “Quando guardiamo alla nuova concept car di lusso della BMW siamo di fronte a una degenerazione di questa espressione dell’aggressività verso gli altri utilizzatori della strada”.

Si tratta anche di un arrocco: le dimensioni del SUV danno a chi lo guida un’evidente percezione di sicurezza e di maggior controllo, di “sentirsi protetti dentro. Anche se non è esattamente vero perché in Europa un SUV non è tecnologicamente più protetto, ma ha le stesse norme di una piccola vettura” precisa Sophian Fanen. “Solo è più grande e ha dunque più probabilità di fare danni agli altri”. La ricerca di protezione nasconde dei risvolti più profondi. Il ventennio dei SUV in Occidente è coinciso con una stagione di inquietudine, segnata simbolicamente dagli attentati a New York, e dunque un periodo di ossessione per la sicurezza. Il sociologo Yoann Demoli in Sociologie de l’automobile nota come dopo la guerra del Golfo negli Stati Uniti si fosse diffusa la moda dell’hummer, veicolo di origine marziale. “Pensiamo anche ai militari nelle stazioni”, aggiunge Sophian Fanen. “Questo mondo è percepito come una minaccia e il SUV mi pare che in un certo senso materializzi questa paura. Non è ovviamente qualcosa a cui pensa chi compra, anche se c’è un immediato senso di protezione stradale”. Tuttavia esistono elementi estetici che possono essere chiavi simboliche per leggere questa ricerca di sicurezza. Uno di questi è la linea di cintura: puntate il dito alla parte bassa dei finestrini e scorretelo in orizzontale, è la linea che delimita la carrozzeria. “Nel design dell’auto è un elemento chiave. Più questa linea si alza”, prosegue Fanen, “più i finestrini si riducono e abbiamo un senso di chiusura, come una gabbia contro gli squali, ma al tempo stesso diventiamo minacciosi per l’esterno”.

Il SUV è l’ultima sigaretta prima della morte del mercato dell’auto per come lo conosciamo, e della morte di un secolo a benzina.

“In questo contesto ansiogeno anche i finestrini diventano neri”, aggiunge Le Quément. “Alcune di queste auto somigliano così a dei blindati, dei tank in grado di resistere. Dunque, la nozione di protezione è un elemento chiave per comprendere questa storia. Ma penso esista un ulteriore legame con un altro fenomeno. Siamo in un’epoca di dismisura e lo constatiamo dalla concentrazione delle ricchezze”. La necessità di manifestare ricchezza e potere attraverso i mezzi di trasporto è storia secolare, e la storia stessa dell’auto lo dimostra. “Quando l’automobile è stata inventata, essa doveva concedere a pochi ricchi borghesi un privilegio completamente nuovo: quello di spostarsi più velocemente rispetto a tutti gli altri”, scrive André Gorz, nell’Ideologia sociale della macchina. Nonostante la successiva massificazione con la Ford T in America e il boom economico in Europa, l’auto, secondo Gorz, resta nella sua essenza qualcosa di simile a un castello o una villa costiera, un lusso inventato “per il piacere esclusivo di una minoranza di ricchissimi”. Dunque nella vendita delle auto è da sempre implicata una volontà di ostentazione della ricchezza e del potere, veri o pretesi.

Patrick Le Quément, che dopo aver segnato il design automobilistico si dedica oggi al design navale, sposta per un momento questo discorso su un’altra manifestazione di ricchezza. “Pensiamo agli yacht. Stanno costruendo lo yacht di Jeff Bezos in Olanda, il più grande a vela. Forse ne conoscete la storia: il comune di Rotterdam inizialmente sembrava aver ipotizzato di smontare parte di un ponte perché questo yacht è così smisurato che non ci passa. Al suo confronto lo storico yacht dei reali inglesi, il Britannia, è piccolo”. Per fare un paragone lo yacht di Bezos è grande il doppio del vascello  Victory con cui Lord Nelson e l’equipaggio di 850 soldati combatterono Napoleone nella battaglia di Trafalgar. “Negli anni anche le imbarcazioni dei grandi ricchi sono raddoppiate nelle dimensioni. Credo che l’automobile segua dal punto di vista culturale questa evoluzione della società: la postura è mostrare quanto sono potente, anche attraverso queste forme di dismisura”.

Come fare un design aggressivo
Roland Barthes nel 1957 dedicava una parte di Miti d’oggi alla déesse, la dea: così si pronunciava il nome della Citroën DS 19. L’indiscutibile design carismatico per Barthes faceva della DS “un oggetto perfettamente magico”, caduto dal cielo, aggiungerà in un’intervista in TV. Per il critico possedeva un “gusto della leggerezza, dal senso magico”, che prendeva forma nel suo aerodinamismo, nell’esaltazione del vetro e dell’aria, nella superficie liscia come attributo di perfezione, trasmutando da un “mondo di elementi saldati a un mondo di elementi giustapposti”. Barthes scrive anche che in questo nuovo e già mitico Nautilus “la velocità si esprime in segni meno aggressivi, meno sportivi, come se passasse da una forma eroica a una forma classica” per poi notare che fin lì invece “le automobili superlative erano appartenute piuttosto al bestiario della potenza”.

Sembra l’opposto di quanto vediamo oggi. Patrick Le Quément si chiede in un recente articolo se esistano ancora automobili capaci di attrarre lo sguardo di qualcuno come Barthes. Val la pena però di capire l’aggressività e la ricerca di protezione siano espresse nelle forme. “Nel design dell’auto c’è sempre stata una parte di aggressività, basta guardare una Lamborghini”, spiega Le Quément. “È il cosiddetto wedged design, per cui la linea di cintura cade in avanti. Quando le guardiamo, auto di questa forma danno l’impressione di essere in pieno movimento, come un ghepardo”. Con l’avvento dei SUV coupé questo design ha conquistato anche quella categoria. “Tagliare il retro fa sì che la silhouette diventi propulsiva. Un altro dettaglio sono le calandre sono sovradimensionate. Ora, se sparisce il motore sulle auto elettriche, le calandre diventano inutili, ma per preservare questo aspetto minaccioso certi costruttori mettono elementi, come prese d’aria finte, le cui linee hanno l’espressione arrabbiata di certi cartoni animati giapponesi”.

La suvizzazione dell’auto non riguarda soltanto i SUV: anche le altre auto tendono a ingrandire le proprie forme.

Ma accentuare queste forme è diventato anche una necessità. Le auto infatti si somigliano sempre di più per dimensioni. Se un primissimo e banale limite è la larghezza della strada, un’auto grande può solo allungarsi, ma un auto piccola può invece anche allargarsi. “Ciò che è interessante”, spiega il designer, “è che le auto piccole, medie e grandi si stanno avvicinando in termini di larghezza, rispetto a 30 anni fa. E i costruttori si stanno tirando una palla sul piede perché la massa delle auto di categoria diversa è molto vicina, quasi identica, e le auto si somigliano nella loro silhouette. Dunque per distinguere l’auto più costosa ne si accentua l’espressione, sempre più forte man mano che si sale di gamma”.

La suvizzazione dell’auto non riguarda soltanto i SUV: anche le altre auto tendono a queste forme. Esattamente come c’era stata un’affermazione del monovolume non solo tra le ampie auto familiari, ragione per cui è esistita anche la piccola Twingo, oggi osserviamo un generale tendenza verso questo design. Conclude Le Quément: “Credo sia una volontà di iscriversi in una moda. Conta il marketing e le persone del marketing sono degli inseguitori. Credo non esista più l’eleganza dell’automobile, non è più il soggetto della ricerca: si tratta di impressionare sulla strada. Con l’idea dell’auto che arriva e si impone e noi lasciamo il passo”.

Il paesaggio pubblicitario
Nella costruzione di questo immaginario, la pubblicità è un punto chiave e lo è anche nel stimolare le vendite. Perciò, in quanto cardinale, è dispendioso: Andrea Coccia nel suo Contro l’automobile ha esaminato la quantità di soldi che i produttori investono nella pubblicità dell’automobile. Nel 2017, per esempio, al mondo quaranta miliardi sono stati usati per la pubblicità delle auto, dieci solo in Europa.

All’inizio dell’articolo si citava una pubblicità di un SUV BMW (2019) che parlava di attributi da maschio dominante. Non è l’unico riferimento a questa virilità. Un’altra pubblicità dello stesso marchio dichiara con le stesse parole quanto ha descritto poco sopra Le Quément. Si dice infatti che la nuova colorazione speciale del SUV, ispirata alla velenosissima rana freccia: “segnala subito a chi la guarda: attenzione! Pretendo rispetto!”. E ancora: “non vi avvicinate troppo!” Il racconto ondeggia tra la descrizione naturalistica e i dettagli automobilistici, mostrando come si fa a “dominare: sulla strada e nel mondo animale”.

Di certo, non tutte le pubblicità sono così esplicite. Altrove si proclama: “tu sei il capitano”, l’auto allora prende velocità, eccitata, in un sentiero selvaggio, un canyon, viene sfidata in corsa da un elicottero o da un cavallo, attraversa una foresta, la Foresta Nera, un cervo, si inerpica su un crinale di montagna, mentre volteggiano dei paracadutisti, i gabbiani, siamo arrivati al mare, un fiordo e lì possiamo parcheggiare sugli scogli. L’invito è a vivere in un altro modo. “È sorprendente: vendiamo le auto su un’idea di grandi spazi e traversate. Uscire di strada: in molte pubblicità vediamo le auto che lasciano la strada e si avventurano”, aggiunge Sophian Fanen che ne ha fatto un intero catalogo in uno degli episodi della sua inchiesta sui SUV.

Dunque, rispetto allo spot della Fiat Punto del 1999, dove l’auto si destreggiava in una giungla urbana affollata di animali, la maggior parte di queste pubblicità oggi raccontano di fughe dalla vita cittadina. Lo spot della Ford Ecosport (2019) comincia con una domanda fatidica in una pausa caffé, al lavoro: “Bel weekend?” “Pieno”, risponde l’altro, “super pieno” e si susseguono immagini divertenti e vitali, accompagnate dall’auto fedele, perché “la vita è là fuori”.

I SUV di oggi inquinano di più delle auto, perché sono più pesanti e spesso meno aerodinamici, e resteranno in circolazione nel mercato dell’usato per vent’anni.

L’auto rappresentata è un’auto che torna alla sua virtualità assoluta, al polo opposto di quella imposta dall’autostrada per come la descrive Alessandro Mantovani in un suo articolo sul Tascabile. Se infatti “l’autostrada è di per sé un’anti-strada, è l’unica a non condurre mai realmente a nessun edificio, nessuna sede”, i sentieri intrapresi in queste pubblicità sono potenzialmente tutti e conducono esattamente a ciò che desideri, perché è l’automobile stessa che ti permette di assecondare la tua propria strada.

Patrick Le Quément ci riporta quindi a uno sguardo più ampio sull’intera storia dell’auto: “si è sempre giocato sul fatto che l’automobile fosse un mezzo per fare quello che chiamiamo porta-a-porta. Dunque la pubblicità ha sempre rappresentato forme di fuga e di grande libertà, anche nelle pubblicità degli anni Cinquanta e Sessanta degli Stati Uniti, dove vediamo le auto col bagagliaio aperto e il sacco da golf pronto. Idealmente quando saliamo in auto entriamo in un mondo fatto a sé, siamo i soli padroni a bordo e ce ne andiamo dai problemi della vita e gioiamo di questa libertà”.

Tuttavia, come si è detto, il mondo che produce quest’immaginario è un mondo in crisi. “L’auto è minacciata”, chiosa Fanen, “eppure c’è un punto da tenere a mente, almeno in Francia: chi compra un’auto nuova ha più di 60 anni. I pubblicitari vendono quindi auto a persone che non vogliono che il mondo sia meno fatto per le auto. Ci trovo anche un’ansia climatica. Siamo dentro una sorta di negazione, queste sono pubblicità ultraconservatrici che vendono il rifiuto di un mondo che cambia”.

Ecosistemi e città
Intanto, i SUV inquinano di più delle auto a loro contemporanee, perché sono più pesanti e spesso meno aerodinamici. In uno studio della Agenzia europea per il clima nel 2018 la maggioranza dei nuovi SUV circolavano a benzina ed emettevano “in media 13 g di CO2 per km in più delle emissioni medie delle altre auto nuove a benzina”. Inoltre secondo i dati di Jato Dynamics, quando l’espansione dei SUV in Europa ha raggiunto una massa critica ha invertito la rotta delle emissioni medie di CO2, che calavano di anno in anno. Tra il 2018 e il 2019 le emissioni medie sono cresciute, per attestarsi attorno ai 131,5 g per chilometro percorso. E il tetto fissato dall’Ue è 95 g/km, oltre cui scattano le sanzioni. Dunque il successo dei SUV è contraddittorio anche per gli stessi produttori: “nel sistema europeo di crediti di CO2 la FIAT, per esempio” spiega Fanen “è costretta a comprare i crediti a Tesla. Tesla non emette CO2 dunque acquista crediti che rivende ai costruttori più inquinanti. Questo di fatto diventa un lasciapassare abbastanza goffo e se fossimo rimasti alle berline avremmo risparmiato tonnellate di CO2 nell’aria.”

Tuttavia nel 2021 le immatricolazioni di auto elettriche e ibride in Europa hanno raggiunto il 10%. Nell’elettrificazione i SUV di grossa taglia hanno due vantaggi: tecnicamente sono già pronti per alloggiare le grosse batterie, e sono più costosi dunque è più facile spalmare il costo extra dell’elettrificazione. Ma resiste un altro problema, come fa notare Fanen, e cioè che la diffusione dei SUV è “una bomba a orologeria”. Perché queste auto possono restare in circolazione nel mercato dell’usato per vent’anni: “vedremo SUV acquistati da un single o da una giovane coppia che non ne hanno del tutto bisogno, semplicemente perché è la sola auto che trovano di seconda mano”. Per arginare il fenomeno alcuni tentativi legislativi in Francia sono stati fatti, ancora senza successo.

Ci troviamo all’incrocio di fenomeni di mercato e culturali che riguardano anche l’ecologia e lo spazio del nostro vivere.

Insomma ci troviamo all’incrocio di fenomeni di mercato e culturali che riguardano anche l’ecologia e lo spazio del nostro vivere. Se per 50 anni abbiamo costruito mondi per l’auto di massa e plasmato quartieri e banlieue, come racconta Coccia, oggi vogliamo meno auto in città. Ma, contraddittoriamente, ci circolano auto più grosse. “È un modo di dire agli altri o a sé stessi: non voglio sottomettermi alla città, non voglio che il mondo cambi”, secondo Fanen. Forse in questo mondo, conclude il designer Le Quément “il picco dell’auto è passato da tempo e l’automobile ha in verità abbandonato anche il mondo dei sogni”.

La contraddittoria presenza di un SUV, immobile in città con la sua massa sproporzionata, ci interroga. Parcheggiato, le sue fattezze di notte sembrano incoerenti. Prima che la transizione elettrica sia reale e prima che detti davvero nuove forme di design – o prima che finalmente si scelgano nuove forme di mobilità collettiva–, se il SUV è davvero l’ultima sigaretta, sembra però piuttosto la famosa ultima sigaretta di Zeno, il personaggio di Italo Svevo: ogni volta l’ultima, così che le giornate “finirono con l’essere piene di sigarette e di propositi di non fumare più”.

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