«Il Sud d’Italia colonia tedesca: la questione meridionale oggi»

recensione di Maurizio Portaluri al libro di Andrea del Monaco

La questione meridionale si arricchisce di un nuovo corposo contributo, «SUD COLONIA TEDESCA» (Ediesse 2017) di Andrea Del Monaco che nelle circa 300 pagine descrive con puntuale dettaglio il dimezzamento della spesa in conto capitale nel Mezzogiorno e la mancata crescita del PIL meridionale negli ultimi 20 anni, bloccato ai livelli del 1996. «La spesa in conto capitale della Pubblica Amministrazione nel Mezzogiorno, al netto delle partite finanziarie, nel 2001 era pari a 25 miliardi, 1,6% del PIL. Scende progressivamente fino ad arrivare nel 2014 a 13,2 miliardi, lo 0,9 del PIL e risale leggermente nel 2015 a 15,5 miliardi, l’1% del PIL, solo per la chiusura dei programmi operativi 2007-2013».

La tesi di fondo è che il divario Nord-Sud non può essere recuperato persistendo le politiche di austerità e il libro percorre da Maastricht, nel 1992, ad oggi la nascita e le modificazioni dei trattati comunitari, la loro interpretazione, non sempre oggettiva ed equanime nei confronti dei diversi Paesi e i diversi istituti a cui i governi hanno deciso di aderire. Descrive quindi il significato e le implicazioni del Patto di Stabilità, la sua correzione, il sistema sanzionatorio, il Fiscal Compact introdotto nella nostra Costituzione nel 2012, la stretta sui vincoli di Bilancio. Il sistema di regole dell’UE non è equanime. Quando Francia e Germania hanno superato il rapporto deficit/PIL non sono state aperte procedure di infrazione e contro questo trattamento di favore insorse Romano Prodi, allora a capo della Commissione, con un ricorso alla Corte di Giustizia che gli diede parzialmente ragione. Mentre il governo Berlusconi votava contro la procedura di infrazione verso la Germania. Nel 2012 per salvare le banche francesi e tedesche dall’insolvenza della Grecia il nostro paese ha pagato un contributo di 58 miliardi ai vari strumenti Salva-Stati “bruciando” l’avanzo primario con cui aveva chiuso il bilancio annuale. Il libro descrive in dettaglio come i finanziamenti europei che dovevano essere spesi per l’85% al Sud, sono stati dirottati per altri scopi. Si riporta il caso del governo Renzi «che ha utilizzato 3,5 miliardi delle risorse destinate del Piano di Azione e Coesione… a copertura degli oneri connessi agli sgravi contributivi per assunzioni a tempo indeterminato decorrenti dal 1 gennaio 2015». Distrazione di cui ha chiesto conto il presidente della Puglia Emiliano senza ricevere alcuna risposta.

Ma più recentemente il governo ha ottenuto di raggiungere il pareggio di bilancio nel 2019 e ha rinviato la grande maggioranza della spesa dei finanziamenti europei, circa 49 miliardi, a quella data col rischio che possa non essere utilizzata per la coesione.

Quale è l’impatto dell’austerità sul Mezzogiorno e sulle politiche di sviluppo? «Sicuramente la fine delle politiche redistributive dal Nord al Sud Italia… Politiche espansive consentono flussi redistributivi diretti verso il Mezzogiorno le cui regioni beneficiano di una spesa pubblica superiore alla propria capacità fiscale. Al contrario politiche di consolidamento dei conti pubblici che redistribuiscano gli oneri di consolidamento tra le singole regioni riducono la redistribuzione e aumentano i divari regionali. Dal 2012 questa tendenza si è aggravata».

Del Monaco smentisce l’opinione prevalente sulla spending review: «in questi anni essa è stata predicata, non è stata realizzata e tanto meno definita. Nel contempo l’austerità ha drasticamente ridotto l’intervento pubblico. Di conseguenza la cosiddetta “austerità espansiva” ha ridotto la spesa pubblica ma non ha generato né la riduzione delle tasse, né una speranza di riduzione delle tasse che aumentasse i consumi; l’austerità espansiva è miseramente fallita perché ha ignorato il dualismo del sistema produttivo italiano; l’allargarsi del dualismo Nord-Sud ha prodotto un crollo del mercato interno che ha nuociuto anche al Nord».

Si mette in evidenza anche uno sbilanciamento tra le possibilità dei diversi Paesi: la Germania, ad esempio, può prestare molto di più di quanto gli altri paesi più deboli possono restituire. Interessante anche l’istituto del vendor financing: banche tedesche prestano denaro alle nostre banche, il denaro viene usato per il credito a consumo (es. auto tedesche) con un doppio vantaggio per la Germania che così continua a veder crescere l’avanzo nella bilancia dei pagamenti. Si potrà obiettare che non siamo obbligati ad usare il denaro per i consumi piuttosto che per investimenti strutturali Si appalesa chiaramente che senza una inversione di rotta, la UE e l’Euro siano destinati ad esplodere.

L’autore propone un nuovo Keynesismo: finanziare un nuovo intervento pubblico mirato tramite il deficit e ridurre il divario Nord-Sud, considerando che se si fa un deficit mirato agli investimenti aumenta anche il PIL più di quanto aumenti il debito e ciò consentirebbe di rispettare anche i parametri europei. La “nuova macroeconomia classica” si poggia su un assioma indimostrabile; che il mercato è istantaneamente e sempre in equilibrio”, da qui deriva che anche il mercato del lavoro è in equilibrio e quindi la non occupazione, come viene chiamata questa disoccupazione, non dipende dalla crisi dell’economia reale ma dalle regole che “irrigidiscono” il rapporto tra domanda e offerta di lavoro. Di questo passo però «le regole ottimali non differiranno di molto da quelle dell’antica economia schiavistica (il principale fattore distintivo rimanendo la non obbligatorietà di mantenere in vita il lavoratore)».

Andrea Del Monaco non misconosce alcune difficoltà da superare: la lentezza della burocrazia nell’utilizzare i fondi europei, la criminalità, la corruzione, la inutilità di alcuni progetti (aggiungiamo noi) ma soprattutto la carenza di politici con una visione su cosa far produrre all’Italia. Criminalità e corruzione – sostiene Del Monaco – sono mali che richiedono interventi di lungo periodo. Circa la visione viene ripresa una proposta del professor Marco Canesi del Politecnico di Milano nel suo «I porti del Mezzogiorno chiavi di un nuovo sviluppo», in cui studiando la trasformazione dei trasporti mondiali si candida il Sud con i suoi porti a costituire una diversa possibilità di accesso delle merci in Europa. Si tratta di una possibilità legata solo ad una volontà politica nazionale ed europea, che intenda davvero ridurre la diseguaglianza dilagante, all’interno dell’Europa, sospendendo l’austerità, e che rischia di farla deflagrare.

Redazione
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3 commenti

  • Pierluigi Pedretti

    Che i paesi forti colonizzino quelli deboli non è scoperta dell’oggi. Che le aree deboli d’Europa tali debbano permanere non mi stupisce. Chi fornirebbe altrimenti l’esercito industriale di riserva a basso costo per il sistema del turbocapitalismo? La mia regione, la Calabria, non solo è preda della corruzione e della criminalità organizzata, ma anche demograficamente svuotata dei giovani, che partono verso il Nord. Non so, ora, quanto possa essere efficace proporre “un nuovo Keynesismo”. Nei decenni passati questo è stato fatto, miliardi di lire, centinaia di milioni di euro sono affluiti nel Mezzogiorno attraverso la Cassa Depositi e Prestiti, la Cassa per il Mezzogiorno, e anche, tra le tante fonti di finanziamento infrastrutturale (per me calabrese), l’Opera Sila. Per non dire dei finanziamenti dell’Unione Europea. Tutto si è dissolto in mille rivoli, mancanti di una piena progettualità, sia a causa della incapacità della classe dirigente meridionale che, per corruzione o per gestire la clientela, non ha saputo/voluto investire. Negli anni, però, io mi sono convinto, purtroppo, che le responsabilità sono state anche dei cittadini. ” Criminalità e corruzione – sostiene Del Monaco – sono mali che richiedono interventi di lungo periodo. ” Appunto.

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  • Gian Marco Martignoni

    Il modo di produzione capitalistico, per gli esponenti dell’economia-mondo, ha intrinsecamente degli effetti polarizzanti tra centro e periferie del globo, generando diseguaglianze sempre più esponenziali. Il grande e compianto economista Augusto Graziani aveva, per quanto riguarda il continente europeo, avanzato la tesi della sua” mezzogiornificazione” : ovvero le aree periferiche colpite da fenomeni di desertificazione produttiva e migrazioni di masse di lavoratori verso l’estero .Le politiche di austerità e del pareggio di bilancio hanno inevitabilmente incrementato questa tendenza; pertanto, quel che è avvenuto per il nostro mezzogiorno, è identico a quanto è accaduto in Grecia, Portogallo, Spagna, ecc..Una inversione di tendenza , così come viene prospettata ad esempio da Yanis Varoufakis, può avvenire solo a partire dalla dimensione europea ,ma richiede l’attivazione di rapporti di forza e una consapevolezza di massa che non sono purtroppo oggi lontanamente immaginabili . Pertanto,quel che è certo, è che in queste condizioni il keynesismo è lungi dall’essere la soluzione del problema.

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