La piovra di Erdogan: spionaggio e neo-ottomanismo

Articoli di Dimitri Bettoni e Rocco Orsini

Occhio digitale © GeoArt/Shutterstock

Turchia, tutti i cittadini sotto sorveglianza

di Dimitri Bettoni (*)

Da quasi due anni l’Autorità per le telecomunicazioni e le tecnologie informatiche, ente ministeriale turco, richiede ai fornitori di servizi Internet i metadati di tutto il traffico dei loro clienti. A rivelare questa operazione di sorveglianza di massa un’inchiesta del giornalista Doğu Eroğlu

Un’investigazione del giornalista Doğu Eroğlu per il portale turco Medyascope rivela i documenti attraverso cui, a partire dal dicembre 2020, l’Autorità per le telecomunicazioni e le tecnologie informatiche (BTK), che dipende dal ministero dei Trasporti e Infrastrutture, richiede a 313 fornitori di servizi Internet (ISP) i log di tutto il traffico dei loro clienti. Ogni ora.

I metadati raccolti non riguardano il contenuto delle comunicazioni, a patto che siano protette da crittografia, quanto piuttosto il come, quando e dove avviene una certa comunicazione. Coinvolgono tutto il traffico effettuato attraverso computer e dispositivi mobili da circa 88 milioni di utenze, da un anno e mezzo ad oggi: i siti web consultati, le applicazioni di messaggistica usate, gli indirizzi IP coinvolti e ai quali può corrispondere una geolocalizzazione e un indirizzo fisico, la data e l’ora di inizio e fine di ogni comunicazione, la quantità di dati scambiati, ma anche l’eventuale uso di VPN, soluzioni software molto utilizzate in Turchia per aggirare la censura e proteggere in parte il proprio anonimato online. Ogni log è accompagnato da nome e cognome, permettendo così di tracciare, quasi in tempo reale, le abitudini digitali e i contatti sociali di ciascun cittadino. 11 terabyte di dati raccolti quotidianamente da BTK, secondo i documenti analizzati. Una mole enorme.

I metadati rappresentano spesso una fonte anche più preziosa del contenuto stesso. Aiutano la profilazione di ciascun cittadino, specialmente se aggregati con altri dati. Già nel 2018 BTK aveva chiesto ai fornitori di inoltrare all’autorità i dati personali relativi ad ogni utenza: non solo nome e cognome, data di nascita, codice fiscale, ma anche professione, iscrizione alle camere di commercio per le persone giuridiche, numero di passaporto, nome dei genitori, utenze telefoniche collegate, attuali e precedenti.
A questa richiesta gli ISP, oltre 200 riuniti sotto una comune associazione, si sono opposti in tribunale, con un giudizio che però non è stato ancora pronunciato. Temono che acconsentire alle richieste di BTK si traduca per loro in una violazione del dovere di confidenzialità, stabilito dalla legge di protezione dei dati personali.

Ma nel caso dei log sul traffico dati, gli ISP temono ancor di più che disobbedire significhi ritorsioni economiche da parte dell’autorità da cui dipendono per l’accesso al mercato.” spiega Eroğlu.

Una sorveglianza di massa, preventiva e indiscriminata, che produce un’enorme massa di dati che viene accantonata perché in futuro potrebbe servire. Ma per cosa? “Non conosciamo nulla degli scopi specifici di questa raccolta dati” continua Eroğlu. Tanto meno ci sono informazioni su come questi dati vengano conservati, con chi vengano condivisi, chi vi abbia accesso, chi sia responsabile della loro supervisione. “È il prossimo passo di questa investigazione”.

Secondo il parlamentare repubblicano Onursal Adıgüzel, che già a giugno scorso aveva cominciato a fare luce sullo scandalo BTK in una serie di Tweet, una delle lettere confidenziali che l’autorità ha inviato ai fornitori parla di “ottenere informazioni più dettagliate in merito alle attività che si svolgono su Internet nell’ambito delle finalità forensi e preventive”.

La costruzione di uno o più dataset collegati a questa raccolta dati può rispondere a diverse esigenze, che vanno dall’analisi statistica alla raccolta di intelligence. Ma c’è anche chi sostiene che “la rivelazione che un’agenzia governativa sta raccogliendo i dati di tutti gli utenti Internet turchi richiama alla mente lo scandalo Cambridge Analytica” ha affermato Yasir Gökçe, esperto legale di sicurezza informatica e consulente per la sicurezza delle informazioni consultato dal quotidiano Ahval, secondo cui questi dati possono essere usati per profilazione e campagne di marketing politico in vista delle prossime elezioni del 2023.

I sospetti circa l’attività di sorveglianza di massa c’erano da anni” continua Eroğlu. Oggi sappiamo almeno in parte come questo avviene, per quello che è stato già battezzato il BTK-gate.

Un’attività del tutto illegale” sostiene Eroğlu, con cui verrebbero violati contemporaneamente la legge sulla protezione dei dati N. 6698, gli articoli del codice penale come il 135, che dispongono i casi di acquisizione di dati personali da parte dell’autorità pubblica, l’articolo 20 della costituzione che tutela il diritto alla privacy.

Sullo sfondo resta la legge 5651, la cosiddetta “Legge Internet”, che agli articoli 6 e 10 definisce i doveri degli ISP in materia di conservazione dei dati degli utenti (tra un minimo di sei mesi e un massimo di due anni), la loro trasmissione alle autorità, i rapporti di collaborazione tra ISP e autorità nell’ambito della cybersicurezza nazionale e le sanzioni per inadempienza. Menzionato anche un obbligo per gli ISP di tutela della confidenzialità delle informazioni, ed è qui che può risiedere uno dei profili di illegalità rispetto alle informazioni non anonimizzate che BTK ha richiesto.

Anche perché tali richieste dati devono essere sostenute da una richiesta di un giudice” conclude Eroğlu, sottolineando così uno degli aspetti più critici dello scandalo BTK-gate: la totale assenza di supervisione giudiziaria. Di fatto “tutti i cittadini sono trattati come potenziali colpevoli” continua Adıgüzel, con buona pace della presunzione di innocenza.

Uno scandalo figlio di una cultura politica dilagante, che non appartiene purtroppo soltanto alla Turchia, e che dall’11 settembre 2001 promuove un approccio al tema della sicurezza come indissolubilmente legato ad un controllo pervasivo, in tempo reale, preventivo, e talvolta addirittura predittivo, di tutti i cittadini.

Il progetto DJAS è co-finanziato da Open Society Institute in cooperazione con OSIFE/Open Society Foundations. La responsabilità dei contenuti di questa pubblicazione è esclusivamente di Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa.

(*) ripreso da www.balcanicaucaso.org

Erdogan e il neo-ottomanismo

di Rocco Orsini (**)

Sotto il sole di Madrid si è consumata pochi giorni fa l’ennesima pagina del dramma del popolo curdo quando, durante l’ultimo vertice Nato tenutosi nella capitale spagnola il 28-29 giugno, la Turchia ha dato l’assenso all’entrata di Svezia e Finlandia nell’Alleanza Atlantica. La natura del baratto è ormai chiara a tutti: al fine di permettere a quei paesi, tradizionalmente neutrali, di far parte della Nato, si sono dovute fare larghe concessioni: dalle estradizioni richieste alla definizione come “terroristi” delle milizie curde fino alla fine dell’embargo militare nei confronti del Sultano, molto è stato concesso riguardo le pretese di Erdogan sul completo isolamento ed abbandono dei curdi, finora invece sostenuti da Svezia e Finlandia.

Purtroppo pare che la protezione occidentale sia una coperta corta, pronta a lasciare scoperto sempre qualcuno, anche se in questo caso forse la scelta prioritaria sarebbe dovuta essere nei confronti di un popolo già impegnato da anni in un conflitto asimmetrico in cui la Turchia, secondo esercito della Nato, occupa militarmente porzioni di territorio siriano ed iracheno, nel caso in cui non si voglia usare la parola “curdo”, senza che nessuno batta ciglio o mai lo abbia fatto.

Eppure, se è chiaro a tutti che il governo turco costituisce un pericolo per il popolo curdo, dovremmo chiederci perché questo assioma è indiscutibilmente valido e, nel caso la domanda fosse, com’è, molto impegnativa almeno porci una domanda più ristretta riguardo chi sia l’uomo che rappresenta la Sublime Porta da venti anni e quale sia il suo rapporto con la “questione curda”.

La dialettica politica nella Turchia contemporanea non va guardata con le lenti del nostro percorso “democratico” bensì contestualizzando la Storia di un Paese che in un arco molto breve di tempo ha avuto profonde trasformazioni imposte dall’alto senza perdere la sua identità e natura profonda, in una tensione continua tra una laica e “socialista” modernità nazionalista, sempre in uniforme militare ed eredità di Kemal Ataturk che la impose a suon di rapide e spiazzanti riforme, e invece una mai sopita identità religiosa figlia dell’Impero Ottomano il cui sguardo volge sempre a Levante e al passato.

I militari si sono sempre sentiti i garanti ufficiali della laicità dello Stato intervenendo ogni volta che la vedevano minacciata dal sentimento religioso, sciogliendo il partito che ne era espressione in quel momento e imponendo “l’ordine laico” per qualche anno. Protagonista degli ultimi due colpi di stato di questo tipo, prima della comparsa di Erdogan, era stato Necmettin Erbakan: espressione del risveglio religioso che dagli anni settanta ha caratterizzato il Medio Oriente e padre del sogno di unità tra i popoli di lingua turca (panturanismo), i due governi di cui è stato protagonista si sono conclusi entrambi con un intervento militare e lo scioglimento del suo partito.

by World Economic Forum

 

Recep Tayyp Erdogan, discepolo di Erbakan e sindaco di Istanbul, nel 2002 si distacca dal maestro candidandosi alle elezioni col suo nuovo partito, l’AKP, andando al governo con un programma ben diverso da lui. Al vecchio panturanismo che nel 96 guardava ad est, Erdogan oppone nel 2002 una forza politica di centrodestra, europeista e di ispirazione islamica. Questa era una boccata d’ossigeno per i curdi che, per quanto strano possa sembrare, hanno sempre avuto un rapporto migliore con l’anima religiosa della politica turca che, in nome della comune confessione islamica, si sente più accomunata ai curdi della sinistra kemalista.

Infatti il Chp, partito laico e laicista di ispirazione socialista ed espressione degli apparati statale e militare, fu fondato da Kemal Ataturk quando, ad un Impero Ottomano in via di disgregazione, sostituì con immenso sforzo una Turchia laica e moderna, centrata sulla penisola anatolica e compatta nella etnia turca: il nazionalismo di cui necessitava una nazione appena nata non era disposto ad accettare altre etnie nella sua Anatolia, neanche altri musulmani come i curdi, tanto che la Turchia continua a chiamarli semplicemente “Turchi delle montagne”.

E così Erdogan per alcuni anni mantenne fede alle promesse fatte e, mentre il suo partito scalzava i kemalisti dalle istituzioni e rimetteva in riga i militari, mentre nel periodo 2003-16 la Turchia viveva il suo boom economico e la base elettorale del futuro Sultano si allargava in quegli strati popolari che ne avevano goduto, sembrava che l’integrazione europea e lo stato di diritto per i curdi si avvicinassero.

Tuttavia nello stesso periodo le trattative con Bruxelles si arenavano a causa anche delle forse troppe incertezze europee, Erdogan virava sempre più su posizioni presidenzialiste che gli sarebbero state confermate dal noto referendum del 2017 e inoltre il boom economico, con una nuova sicurezza ad accompagnarlo, solleticava quei venti di Levante che riportavano lo spirito del vecchio maestro Erbakan a materializzarsi nella cosiddetta “profondità strategica”.

Di cosa si tratta quando parliamo di “profondità strategica”? Esattamente di quello che in Occidente abbiamo cominciato a chiamare da alcuni anni “neo-ottomanismo”, ovvero, secondo Amhet Davutoglu, storico ministro di Erdogan e uno dei principali ideologi del Partito con il libro del 2002 che portava proprio il nome di “profondità strategica”, la politica che vede una Turchia forte costruire una propria egemonia regionale su quei territori un tempo soggetti all’Impero Ottomano.

Senza avere coscienza di questo pilastro della politica di quello che, a buon diritto ormai, possiamo chiamare il Sultano risulta difficile comprendere il grande attivismo internazionale della Sublime Porta che, com’è sua tradizione, barcamenandosi tra Oriente e Occidente si sta ritagliando il suo importante spazio geopolitico.

Da qui la partecipazione turca in Libia al fianco di Serraj e il tentativo di creare una Zona Economica Esclusiva che ha portato a nuovi attriti con la Grecia, la partecipazione turca in Nagorno Karabakh a sostegno del turcofono Azerbaijan e il triste intervento in Siria che ha visto l’esercito di Istanbul invadere quel Rojava che si era battuto valorosamente contro il Califfato finché Trump non li abbandonò al Sultano.

Ora è quella stessa Sublime Porta, che pur fornendo armi a Kiev mentre non interrompe le relazioni con Mosca, ad avere aperto le trattative tra Russia e Ucraina che hanno portato al possibile sblocco del grano, mostrando un Erdogan padrone di casa e conoscitore del suo campo di azione e mentre le democrazie europee languono inermi, incapaci di comprendere le sue periferie dal Medio Oriente al Mediterraneo, il Sultano danza sul Bosforo con un piede a Occidente e l’altro ad Oriente.

(**) ripreso da diogeneonline.info

 

by The White House

 

danieleB
Un piede nel mondo cosiddetto reale (dove ha fatto il giornalista, vive a Imola con Tiziana, ha un figlio di nome Jan) e un altro piede in quella che di solito si chiama fantascienza (ne ha scritto con Riccardo Mancini e Raffaele Mantegazza). Con il terzo e il quarto piede salta dal reale al fantastico: laboratori, giochi, letture sceniche. Potete trovarlo su pkdick@fastmail.it oppure a casa, allo 0542 29945; non usa il cellulare perché il suo guru, il suo psicologo, il suo estetista (e l’ornitorinco che sonnecchia in lui) hanno deciso che poteva nuocergli. Ha un simpatico omonimo che vive a Bologna. Spesso i due vengono confusi, è divertente per entrambi. Per entrambi funziona l’anagramma “ride bene a librai” (ma anche “erba, nidi e alberi” non è malaccio).

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