La protesta solitaria della Lazio contro il regime franchista e…

… la successiva morte del boia Francisco Franco.

Quando il presidente della Lazio Calcio, Umberto Lenzini, si adoperò affinché la violenza del fascismo spagnolo non passasse sotto silenzio nei campi sportivi. 

di Valerio Moggia (*)

Cinque colpi di fucile risuonano in tre diversi angoli della Spagna, in una mattina di fine settembre. A Hoyo de Manzanares, piccola località rurale a nord di Madrid, la Guardia Civil fucila tre ragazzi – José Luis Sánchez-Bravo, José Humberto Baena Alonso e Ramón García Sanz – membri dell’organizzazione comunista Frente Revolucionario Antifascista y Patriota. Contemporaneamente, presso il cimitero di Cerdanyola, altra cittadina ma a nord di Barcellona, i proiettili abbattono Juan Paredes Manot, detto Txiki, militante di ETA. Un suo compagno, Ángel Otaegui Echeverría, veniva fucilato nello stesso momento in un carcere di Villalón, piccola località a nord di Valladolid. Nell’Europa del 1975, la Spagna fascista è l’unico paese in cui ancora si eseguono condanne a morte contro gli oppositori politici. La notizia suscita sdegno in tutto il mondo, nelle organizzazioni di sinistra e non solo, fino ad arrivare a Roma, nella sede di un club di calcio.

Il mondo del pallone, specialmente in Italia, tende a essere impermeabile alle polemiche e alle cause della politica, ma siamo pur sempre nel pieno degli anni Settanta, con la politicizzazione al suo culmine, e l’indifferenza dello sport è messa a dura prova. Il 5 ottobre inizia il campionato, otto giorni dopo l’esecuzione dei dissidenti spagnoli, e il presidente della Lazio Umberto Lenzini contatta l’armatore Glauco Lolli Ghetti, suo omologo della Sampdoria, la squadra contro cui dovranno esordire i biancocelesti: bisogna fare qualcosa perché la violenza del regime franchista non passi sotto silenzio nei campi sportivi. I due decidono di far osservare alle proprie squadre, sul campo genovese di Marassi, un minuto di silenzio a inizio partita per i martiri di Spagna. La FIGC approva, ma non istituzionalizza la proposta: il minuto di silenzio si terrà solo a Genova.

Franco è al potere in Spagna dal 1939. Tre anni prima, lui e altri generali avevano organizzato un colpo di stato contro il governo repubblicano di sinistra, che aveva scatenato una sanguinosa guerra civile, in cui le due parti avevano ricevuto aiuti e volontari da vari paesi del mondo. I golpisti erano stati appoggiati dalla Germania nazista e dall’Italia fascista, e alla fine avevano prevalso, istituendo una dittatura feroce. Rimasto fuori dalla Seconda Guerra Mondiale, Franco si era riciclato in seguito come amico dell’Occidente in funzione anticomunista, e il suo regime era stato “graziato” in cambio di un leggero ammorbidimento della censura e della violenza politica. Ma ora Franco era vecchio e malato, e l’opposizione era divenuta più forte che mai: nel dicembre del 1973, ETA aveva fatto saltare in aria l’ammiraglio Luis Carrero Blanco, l’erede designato del dittatore ormai ottantenne. Per tutta risposta, il regime aveva inasprito ulteriormente la sua ferocia verso i dissidenti: nel marzo del 1974, veniva giustiziato il venticinquenne militante anarchico catalano Salvador Puig i Antich, attraverso uno dei metodi più brutali e disumani al mondo, la garrota.

Le reazioni contro i nuovi efferati crimini della dittatura franchista sono molto forti. È addirittura Papa Paolo VI a condannare le esecuzioni dei cinque ragazzi spagnoli, testimoniando la rottura sempre più forte tra la Chiesa e il regime tradizionalista e ultracattolico spagnolo. A Genova, nei giorni precedenti al debutto della Sampdoria contro la Lazio, i portuali decidono di boicottare le navi spagnole. Diciassette paesi – tra cui Germania Ovest, Italia, Francia, Svezia, Regno Unito, Norvegia, Olanda, Belgio, Portogallo e Canada – ritirano i propri ambasciatori dalla Spagna, mentre il Presidente messicano Luis Echevarría presenta all’ONU una richiesta di espulsione per il paese di Franco. Il giorno dopo le esecuzioni, 100.000 persone scendono in piazza a Parigi, e altre migliaia in varie città della Francia e della Germania Ovest. 15.000 a Utrecht e 8.000 a Stoccolma, e in entrambi i casi in piazza ci sono anche i Primi Ministri Joop den Uyl e Olof Palme. 30.000 persone a Lisbona, dove solo un anno e mezzo prima la Rivoluzione dei garofani aveva abbattuto un altro regime fascista. Nella capitale portoghese viene assediata l’ambasciata spagnola, e la stessa cosa avviene ad Atene e con il consolato a Firenze. A Milano sono in 20.000; a Roma, invece, a manifestare contro il regime iberico ci sono 50.000 persone.

Il presidente Lenzini solleva il trofeo della Serie A della stagione 1973/1974, assieme al capitano Giuseppe Wilson.

In tutto questo, la Lazio si ritrova presto coinvolta in qualcosa che va ben al di là di un semplice minuto di silenzio prima di una partita di pallone. La squadra biancoceleste si sta avviando verso la conclusione di uno grandioso ciclo: dopo una lunga crisi, nel 1969 è tornata in Serie A, e a sorpresa cinque anni dopo ha vinto uno storico scudetto, restando però esclusa dalla Coppa dei Campioni a causa di una squalifica internazionale, dovuta a scontri tra tifosi avvenuti l’anno prima in Coppa UEFA. La scorsa stagione è arrivata quarta in classifica, ottenendo un’altra qualificazione europea, ma nel frattempo Tommaso Maestrelli, l’allenatore dello scudetto, ha dovuto farsi da parte a causa di seri problemi di salute, e al suo posto è stato chiamato l’ex-tecnico di Atalanta e Sampdoria Giulio Corsini. La Lazio è una squadra da cui non si sa bene cosa aspettarsi, chiamata a confrontarsi su due competizioni: ha iniziato la sua stagione con una clamorosa sconfitta in Coppa UEFA contro i sovietici del Chornomorets, e al ritorno, il 1° ottobre, ha trovato il gol del vantaggio solo nei minuti finali, dilagando poi 3-0 ai supplementari. Il debutto in Serie A l’ha vista espugnare Marassi, ma al turno successivo si è fermata sull’1-1 in casa contro l’Inter, e poi il 19 ottobre è caduta inaspettatamente a Perugia per 2-0.

Ma oltre alla preoccupazioni più prettamente sportive, il presidente Lenzini è occupato anche da altro: il prossimo turno di Coppa UEFA vedrà i suoi giocare contro una squadra spagnola, il Barcellona. Può il club che ha voluto osservare un minuto di silenzio per le vittime del franchismo giocare tranquillamente contro un avversario che arriva proprio dalla Spagna? La strada che sceglie di percorrere Lenzini è di incontrare Artemio Franchi, presidente della FIGC e della UEFA, e chiedergli di estromettere le squadre spagnole dalle competizione europee. “Rappresenta una scelta di ordine civile e democratico” dice alla stampa Lenzini, che premette che la Lazio è anche pronta a protestare da sola e ricevere una multa, se non avrà l’appoggio della UEFA. Anche perché un’esclusione delle spagnole è molto complicata: le società iberiche sono infatti tra le migliori del continente. Si tratterebbe di estromettere cinque club, tra cui il Real Madrid di Breitner e Santillana, e il Barcellona di Cruijff e Neeskens. Per questo, il presidente della Lazio ha pronto un piano B: chiedere lo spostamento della partita ad altra data o ad altra sede. I 50.000 manifestanti antifranchisti visti nella capitale sono un indizio abbastanza forte dei potenziali rischi per l’ordine pubblico che la trasferta dei blaugrana all’Olimpico comporta, e il Viminale ha già inviato un nota che conferma questi timori.

Lenzini ottiene il sostegno del governo di Aldo Moro nelle sue richieste presso la UEFA, e anche quella del vicepresidente della FIGC Franco Carraro. Gli stessi giocatori biancocelesti si dicono convinti che la cosa migliore sia non giocare. Ma alla fine, chi decide è la UEFA, e Franchi non intende prendere una posizione chiara. Da un lato, dice alla stampa di essere a favore dell’isolamento della Spagna e sottolinea che sta confrontandosi con le varie federazioni nazionali, ma dall’altro scarica le responsabilità della decisione finale sulla Commissione organizzatrice, e fa presente che le federazioni di Inghilterra e Germania Ovest non sono propense all’esclusione degli spagnoli. I boicottaggi politici rischiano di diventare un problema, per il calcio: nel 1973, l’Unione Sovietica si è rifiutata di giocare a Santiago per le qualificazioni ai Mondiali, dopo il golpe di Pinochet, lasciando la FIFA in una situazione di grande imbarazzo per il passaggio del turno d’ufficio dei cileni, scesi in campo letteralmente a giocare da soli. La UEFA vuole evitare di creare precedenti. A questo punto, quella dell’Olimpico del 22 ottobre 1975 non è più una partita di calcio, ma un caso diplomatico: il governo italiano appoggia il boicottaggio, i rischi per l’ordine pubblico sono innegabili, e dopo gli scontri tra tifosi del 1974 la Lazio vuole evitare un’altra squalifica internazionale.

Le rassicurazioni di Carraro e Franchi a Lenzini restano solamente come dichiarazioni a titolo personale. La FIGC, il CONI e la UEFA scelgono di non schierarsi, e la Lazio conferma che non scenderà in campo: la sfida col Barcellona salta, e il club biancoceleste subisce una sconfitta a tavolino per 0-3, ma almeno evita una squalifica. La questione è però ben lontana dal dirsi conclusa, perché il 5 novembre c’è il ritorno a Barcellona, e stavolta la Lazio non può dire di no: in ballo non c’è più solo la qualificazione al turno successivo, ma anche una possibile causa legale, perché i blaugrana sono pronti a portare il club di Lenzini in tribunale a causa del mancato incasso della partita. E così una Lazio in piena crisi – in campionato ha pareggiato in casa col Bologna: non vince dall’esordio con la Sampdoria – si reca al Camp Nou in un clima abbastanza ostile. Da qualche anno, il tifo catalano è animato da molti gruppi antifranchisti, e pur senza mai uscire dai ranghi del regime il presidente Agustí Montal è riuscito a trasformare il club in un simbolo identitario catalano, supportando implicitamente la nuova concezione ribelle del Barça. Per i sostenitori blaugrana, vedersi accostati al regime fascista è una mancanza di rispetto, e accolgono i biancocelesti con fischi inequivocabili. In campo, Cruijff – che proprio a inizio incontro riceve il suo terzo Pallone d’Oro – fa il resto, e i blaugrana s’impongono per 4-0.

Il titolo di El Mundo dopo la vittoria del Barcellona al Camp Nou.

Quella della Lazio rimane l’unica protesta del calcio contro la Spagna. Mentre i biancocelesti disertano la gara d’andata, il Derby County ospita in Inghilterra il Real Madrid, il Liverpool va in trasferta in casa della Real Sociedad, e l’Eintracht Francoforte fa lo stesso con l’Atlético Madrid. Ma già il 1° ottobre, quando le esecuzioni del regime erano ancora fresche, la Dinamo Bucarest aveva ospitato il Real Madrid in Coppa dei Campioni, il Basilea aveva affrontato l’Atlético Madrid, mentre Grasshoppers, PAOK Salonicco e Inter Bratislava avevano giocato contro Real Sociedad, Barcellona e Real Zaragoza. La decisione di Lenzini resta un sorprendente caso isolato, al punto che anche squadre dei paesi comunisti o della Grecia, recentemente liberatasi da un’atroce dittatura fascista, non si sono fatti problemi ad affrontare gli spagnoli. È una storia che pare insegnare molto su come lo sport possa migliorare l’immagine di un governo autoritario: il prestigio dei club di calcio iberici rende più accettabile soprassedere su un legittimo boicottaggio politico.

Per i turni a venire delle coppe, il problema fortunatamente non si ripresenterà. La mattina del 20 novembre Francisco Franco viene dichiarato morto, e due giorni dopo il regime passa nelle mani di Juan Carlos I di Borbone, che viene proclamato Re di Spagna. Il nuovo sovrano annuncia subito la fine della dittatura e il ripristino dei diritti civili, avviando la transizione democratica verso le prime elezioni libere, fissate per il 15 giugno 1977. Quando il Barcellona ospita gli unghersi del Vasas al Camp Nou, il 26 novembre, la Spagna ha appena iniziato il suo cammino verso la democrazia. I blaugrana chiuderanno la stagione fermandosi in semifinale di Coppa UEFA e al secondo posto in campionato, convincendo la dirigenza a richiamare in panchina, per l’anno seguente, Rinus Michels. Peggio andrà alla Lazio, che non riuscirà a risollevarsi da una stagione sportivamente sottotono: dopo la sconfitta di Ascoli del 30 novembre, Corsini verrà esonerato e sostituito dal rientrante Maestrelli, che però potrà solo garantire ai biancocelesti un’agevole salvezza. Sarà il suo ultimo traguardo alla guida del club capitolino: il 5 dicembre 1976 morirà a causa di un tumore al fegato.

FONTI

AA VV, Septiembre de 1975: la solidaridad internacional aísla al Régimen Franquista, Público

CASOTTI Federico, Lazio-Barcellona, storia di una partita che non si giocò mai, Goal.com

Mercoledì 22 ottobre 1975 – Roma – Lazio-Barcellona 0-3 a tavolino per rinuncia, LazioWiki

(*) Testo e foto originali ripresi da: https://pallonateinfaccia.com/2023/10/22/lazio-barcellona-1975-1976/#more-8365

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