La sindrome di Pedrarias, forse la…

… malattia eterna del Nicaragua

di Bái Qiú’ēn

L’incomprensione del presente nasce fatalmente dall’ignoranza del passato. Forse però non è meno vano affaticarsi a comprendere il passato, ove nulla si sappia del presente. (Marc Bloch, Apologie pour l’histoire ou Métier d’historien, 1949)

Pedro Arias de Ávila y Cota conte di Puñonrostro, comunemente noto come Pedrarias Dávila, nacque nella città di Segovia verso il 1440 nel seno di una famiglia aristocratica in stretti rapporti con la Corona spagnola e pertanto è un personaggio assai potente e influente. Gli storici dell’epoca concordano sulle caratteristiche della sua complessa personalità violenta e crudele, sottolineando la sua insaziabile avidità e la sua smodata ambizione di potere e di denaro.

Narra la leggenda che verso i sessant’anni, soffrendo di catalessi, un brutto giorno lo diedero per morto e lo collocarono cristianamente in una bara nel monastero femminile di Nuestra Señora de la Cruz nei pressi di Torrejón de Velasco (Madrid). Ormai pronto per il rito della sepoltura, all’ultimo momento qualcuno udì lievi rumori all’interno: lo trovarono vivo e vegeto, per quanto sorpreso e disorientato. È indubbio che questo avvenimento segnò per sempre la sua mentalità e il suo modo di essere: il “defunto”, per scaramanzia, ogni anno nello stesso giorno in cui avvenne il “miracolo della resurrezione” organizzava un macabro funerale in piena regola: entrava nella stessa bara e ascoltava la Messa in suffragio per la salvezza della sua anima che veniva officiata per suo volere. Con una buona dose di egocentrismo era solito dire: «Don Pedro Arias no teme a nada, ya murió y a la misma muerte venció» [Pedro Arias non ha paura di nulla: è già morto e ha sconfitto la morte stessa].

Per quanto non esattamente uguale nelle forme e nei modi, quando Tachito Somoza fu costretto a fuggire a gambe levate da quello che considerava il proprio feudo il 17 luglio 1979 portò con sé le bare del padre e del fratello, tornando a seppellirli nel cimitero di Woodlawrk Park a Miami (Florida).

Nel 1498 Pedrarias si sposò con Isabel de Bobadilla y Peñalosa, nata nel 1465 e intima amica della regina Isabella la Cattolica. Nulla si conosce del suo aspetto fisico, però è ben noto il suo temperamento grazie alle descrizioni che ci sono pervenute: donna potente e prepotente, con un carattere assai duro e intransigente, tanto da essere definita da vari suoi contemporanei «matrona varonil» [virile matrona]. All’epoca si diceva «Después de la reina de Castilla, la Bobadilla» [Dopo la regina di Castiglia, la Bobadilla].

Mentre Pedrarias era spesso irrazionale e precipitoso nelle sue decisioni, la moglie Isabel mai perdeva di vista l’obiettivo da raggiungere. Poiché Dio li fa e poi li accoppia, partecipò attivamente alle varie imprese del marito, non essendo da meno di lui. Verso il 1530 aprì e gestì il primo bordello del continente americano a El Realejo (il principale porto spagnolo nel continente, oggi denominato Corinto), nei pressi di Chinandega.* La prostituzione “industrializzata” delle indigene era all’epoca una delle attività più lucrative in tutta l’attuale America latina.

Facendo un rapido salto indietro nel tempo, nel 1513 Fernando il Cattolico nominò l’ultrasettantenne Pedrarias nella carica di governatore e capitano generale di quella porzione di terra dell’istmo centroamericano denominata Castilla de Oro (oggi grosso modo corrispondente a Panamá). Con la moglie, il primogenito Diego e circa duemila uomini, a settantatré anni d’età si imbarcò per il Nuovo Mondo, portandosi dietro la bara. Nello stesso anno, durante un’esplorazione nella chimerica zona del Dabaibe o Dabeiba che si pensava ricolma di favolose ricchezze (con un tempio ricoperto d’oro e pietre preziose), il quasi quarantenne Vasco Núñez de Balboa “scoprì” il mare del Sud, ovvero l’Oceano Pacifico (i conquistadores spagnoli avevano denominato mare del Nord l’Atlantico). Pedrarias organizzò una spedizione “esplorativa” con l’obiettivo di impiantare una colonia nel Darién e arricchirsi velocemente grazie all’oro che riteneva esistesse in quantità enormi in quelle terre (credeva che si potesse estrarre facilmente con semplici reti da pesca nei fiumi esistenti). Del resto, con un carattere ambizioso e crudele in un ambiente di intrighi, vendette, tradimenti e uccisioni, un ultrasettantenne superstizioso e privo di pietas che cosa avrebbe potuto volere?

Nell’estate del 1514 gli “esploratori” giunsero all’attuale Santa María de la Antigua del Darién (fondata da Balboa, dopo aver combattuto contro gli autoctoni) e negli anni seguenti Pedrarias ordinò e organizzò numerose altre spedizioni, i cui componenti si macchiarono di infiniti soprusi e abusi nei confronti delle popolazioni indigene che, in talune occasioni, si ribellarono e si scontrarono contro gli occupanti.

Pochi anni dopo, nel 1518, ebbero inizio le lotte intestine tra i numerosi conquistadores e Pedrarias vi partecipò attivamente, timoroso di perdere il potere che aveva acquisito: nonostante la sua età avanzata, riuscì a sorprendere alleati, subordinati e nemici con la sua energia sostenuta da una forte ambizione e da una notevole mancanza di scrupoli.

Nel 1519 accusò infatti Balboa di tradimento e di usurpazione dei territori della Corona. Arrestato da Francisco Pizarro (il futuro conquistatore del Perù), dopo un processo sommario fu decapitato il 15 gennaio ad Acla (negli anni successivi lentamente abbandonata, tanto da risultare deserta già nel 1532). Per vari giorni la sua testa rimase esposta in bella vista come monito per chiunque volesse emularlo. Come nota di cronaca, Balboa era il marito di María de Peñalosa, figlia di Pedrarias.

Nel 1523 Pedrarias tentò pure di catturare Gil Gonzáles Dávila, “scopritore” del Nicaragua nello stesso anno ma, avvertito in tempo, lui riuscì a fuggire a La Hispaniola (oggi Repubblica Dominicana).

Per quanto non esistano prove, circolavano voci assai insistenti che in questo stesso periodo Pedrarias avesse tentato inutilmente di far assassinare Gonzalo Fernández de Oviedo (un paio di volte). Di certo fu l’istigatore dell’avvelenamento del vescovo Vicente Pedraza Sarmiento nel 1926 e di altri spagnoli che non l’appoggiavano.

Come se non bastasse, Pedrarias era un guatusero impenitente, ovvero un bugiardo e un ipocrita che agiva sempre in modo fraudolento e scorretto, dicendo una cosa e facendone un’altra.

A causa di numerose e gravi accuse che gli furono rivolte, nello stesso 1526 fu destituito dalla carica di governatore di Castilla de Oro, ma chiese e ottenne dalla Corona la possibilità di permanere nell’area centroamericana. Ricevette infatti la nomina a Governatore della provincia del Nicaragua (dove si recò prontamente, sempre con la bara al seguito), territorio della Capitanía General de Guatemala, mantenendo tale carica fino al 6 marzo 1531, giorno della sua morte a circa novanta anni d’età. Questo territorio non possedeva le ricchezze sperate e agognate, per cui l’unica possibilità di arricchimento era il commercio di schiavi praticato da numerosi funzionari spagnoli, non ultimo lo stesso Pedrarias (nonostante le vigenti leggi dell’epoca lo proibissero espressamente).

Sempre nel 1526, il conquistatore del Nicaragua Francisco Hernández de Córdoba fu a sua volta sospettato di tradimento e giustiziato in data imprecisata tra giugno e luglio per volere di Pedrarias (fu la sua prima decisione appena insediato come governatore), e pure la sua testa subì la stessa sorte di quella di Balboa. Nel corso degli anni, in un modo o nell’altro, eliminò fisicamente o “politicamente” numerosi rivali e avversari tra i conquistadores.

Naturalmente, il suo atteggiamento nei confronti degli indigeni era quanto di meno umano si possa immaginare, come afferma Bartolomé de las Casas: «Habrá hoy en toda la dicha provincia de Nicaragua obra de cuatro o cinco mil personas, las cuales matan cada día con los servicios y opresiones cotidianas y personales, siendo, como se dijo, una de las pobladas del mundo» [Oggi ci saranno in tutta detta provincia del Nicaragua quattro o cinquemila persone, che sono uccise ogni giorno con servizi e oppressioni quotidiane e personali, essendo, come si è detto, una delle più popolate del mondo] (Brevísima relación de la destruición de las Indias).

Secondo la testimonianza del cronista Gonzalo Fernández de Oviedo y Valdés, nel 1528 l’inossidabile Pedrarias ordinò la cattura di diciotto indigeni ribelli di Olocotón e li fece sbranare dai suoi cani sulla piazza centrale di León de Imabite. Dopo il macabro spettacolo, lasciò per vari giorni i corpi di quei disgraziati nel luogo del supplizio, come monito (Historia general y natural de las Indias, islas y tierra-firme del mar océano).

Non esiste un solo cronista che parli bene di questo personaggio: tutti, concordemente, condannano il suo modo di agire e, per questo, qualcuno iniziò a denominarlo Furor Domini.

A suo favore si può comunque ricordare che fu il primo a considerare il valore politico-commerciale di quello che all’epoca si chiamava Desaguadero, ossia il Río San Juan, grazie al quale si potevano collegare i due Oceani. Ovviamente vedeva in questa via acquatica la possibilità di aumentare le proprie ricchezze e il proprio potere.

Ad accrescere la leyenda negra di Pedrarias, nonostante la proibizione reale del gioco d’azzardo, pare che fosse un accanito scommettitore e, in terra centroamericana, poneva come posta persino nelle partite a scacchi una certa quantità di schiavi indigeni di sua proprietà, fino a un centinaio per volta (all’epoca erano una merce di valore immenso: tra i 6 e gli 8 pesos d’oro ciascuno).

Dopo la sua morte, nel novembre del 1535 fu sostituito da Rodrigo de Contreras y de la Hoz, suo genero che aveva sposato nel 1524 la vedova di Balboa, María de Peñalosa. Sia l’uno sia l’altra erano i degni eredi di Pedrarias, con svariati abusi di potere che nel 1542 portarono alla destituzione di Rodrigo dalla carica di governatore. Non furono da meno i loro figli, Hernando e Pedro de Contreras che il 26 febbraio 1550, Mercoledì delle Ceneri, assieme a Pedro de los Ríos (genero di Rodrigo) assassinarono a pugnalate il vescovo Antonio de Valdivieso, seguace di Bartolomé de las Casas difensore dei diritti umani degli indigeni e accusatore delle nefandezze di Rodrigo. I due fratelli fuggirono e giunsero in aprile a Panamá, tentando inutilmente di conquistarla assieme a duecento loro seguaci. Tentarono nuovamente la fuga, ma Fernando fu catturato e giustiziato, mentre Pedro lo si considerò morto dopo un lungo periodo di latitanza.

Da quel giorno del 1550 León de Imabite, le cui rovine furono scoperte nel 1967, si trasformò in «Città maledetta». Fu rasa al suolo nel 1610 dall’eruzione del Momotombo e ricostruita dagli abitanti superstiti alcuni chilometri a Est con la denominazione di Santiago de León de los Caballeros (la León attuale).

Con la morte dei fratelli Contreras, finì la stirpe nicaraguense di Pedrarias, ma da quel lontano periodo storico e dalla personalità di questo personaggio (con contorno di discendenti), il Nicaragua ha sofferto e soffre quella che taluni analisti, estendendo alla politica il termine medico che indica l’insieme dei sintomi che caratterizzano un determinato quadro clinico, definiscono «Sindrome di Pedrarias»: il potere dell’uomo forte (il caudillo) basato sugli abusi, i soprusi e la mancanza di qualsiasi scrupolo.**

A questa sindrome si intreccia quella di Pinocchio (del bugiardo compulsivo), assai diffusa e basata sulla dissimulazione e l’inganno: la menzogna patologica spesso utilizzata come strumento di autoprotezione da parte del potere politico. È talmente abituale il mentire che, per chi è affetto da questa sindrome, diviene la normalità: la farsa (o inganno) è attuata in modo cosciente ma al tempo stesso chi la mette in pratica non può cambiare il proprio comportamento, finendo con il credere alle proprie “invenzioni”, non riuscendo più a distinguere ciò che è realtà da ciò che è la sua stessa fantasia. In buona parte dei casi, chi soffre di questa patologia, mente con una finalità, uno scopo determinato, in quanto spesso desidera presentarsi come una vittima per recitare la parte del perseguitato, in molti casi a causa di un complotto del tutto inesistente.

Dal canto suo il poeta Ernesto Cardenal parlò di «ombra di Pedrarias» per descrivere la tradizione tirannica in Nicaragua, riprendendo la definizione dallo studio storico León: la sombra de Pedrarias di Nicolás Buitrago Matus (pubblicato a puntate nel 1962-1963 in Revista Conservadora e nel 1966 in due volumi ristampati nel 1998).

Sindrome od ombra che sia, come una maledizione o una condanna divina, il “fantasma” di Pedrarias ha attraversato e attraversa tutta la storia del Nicaragua dall’inizio della Colonia fino ai giorni nostri (seppure con alcuni intervalli rari e assai brevi), ponendo le basi di una “tradizione” che pare incancellabile: una cultura politica radicata in un’eredità “psicologica” fatta di autoritarismo, disprezzo per qualunque legge e per qualsiasi rilievo critico, nepotismo e familismo, settarismo e intolleranza ecc. In poche parole, è la tendenza “naturale” di numerosi governanti (a prescindere dal colore politico e dall’epoca storica) a imitare i metodi tirannici del primo governatore spagnolo per mantenersi il più possibile al potere. Per quanto la sua tomba sia stata identificata nel 2000 all’interno delle rovine della chiesa del Convento de la Merced a León Viejo, Pedrarias continua inmperterrito ad affliggere la mentalità e l’atteggiamento dei governanti nicaraguensi.

Non solo: contribuisce a mantenere ogni singolo abitante del Paese all’interno di un immaginario e una prassi caudillista fondamentalmente antidemocratica.***

Troppo spesso nella storia del Nicaragua si è fatta una comoda confusione tra il Potere e l’Autorità e questa dualità male interpretata si è trasformata in abuso di potere, per cui «chi è preposto alla esecuzione delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto eluderle, con sicurezza d’impunità» (Vittorio Alfieri, Della tirannide, 1777).

* Per i lettori più interessati o curiosi segnaliamo El burdel de las Pedrarias di Ricardo Pasos Marciaq, romanzo storico basato su una rigorosa documentazione, pubblicato nel 1995 dall’Editorial Nueva Nicaragua (con numerose riedizioni).

** Oscar René Vargas, El síndrome de Pedrarias. Cultura política en Nicaragua, CEREN Centro de Estudios de la Realidad Nacional, Managua 1999.

*** Emilio Vásquez Montalván, Cultura política nicaragüense, PAVSA, Managua 1999.

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