La vita va così? Cambiamola!

Borghi, pastori resistenti, alienazione, arcaicità, Pasolini. Riflessioni di Sara Brughitta, Myriam Mereu, Andrìa Pili e Michele Atzori

 

Pubblichiamo due recenti contributi sul tema (fonte di dibattiti e polemiche anche in Sardegna) del depauperamento dei piccoli Comuni (con la progressiva riduzione dei servizi essenziali sul territorio e le spinte all’abbandono) e della contemporanea trasformazione di molti degli stessi in “paesi bomboniera”, in “borgo”, al servizio di uno sfruttamento turistico di pura rapina (fra gli esempi più deleteri l’orrenda sfilata delle maschere tradizionali sarde dell’invernale Carnevale sulle spiagge di luglio e agosto piene di turisti). Una critica al come una narrazione addomesticata esterna (colonizzatrice) di luoghi e culture, e pure azioni di resistenza, rischia di essere assimilata e fatta propria dagli stessi soggetti narrati. Le due riflessioni che presentiamo (più un post su Fb di Michele Atzori che riportiamo) partono da specificità sarde, ma senza cadere nella trappola di ambigue e pericolose rivendicazioni identitarie.

Analisi che non valgono solo per l’Isola, e neppure solo per territori e culture minoritarie: a 50 anni dall’omicidio di Pasolini queste riflessioni si connettono proprio ad alcune delle provocazioni dell’intellettuale/poeta friulano sul tipo di progresso cui, già dal dopoguerra, ci si stava avviando.

Il cast de La vita va così a La Festa del Cinema. Foto di @Maria Vera Genchi

L’alienazione sarda in un film

Myriam Mereu e Andria Pili da qui Jacobin Italia

«La vita va così» di Riccardo Milani è una commedia sociale o un’operazione politico-culturale?

Uscito al cinema il 23 ottobre 2025, La vita va così di Riccardo Milani ha dominato il botteghino, con un incasso totale di 1.606.299 euro, comprese le anteprime, e una media di 2.539 euro in 615 sale in tutta Italia al 26 ottobre. Sono dati Cinetel ripresi da CineGuru, che mette a confronto gli incassi dell’ultimo lungometraggio di Milani con quelli registrati dai suoi film precedenti –“Un mondo a parte” (2024) e “Come un gatto in tangenziale” (2017) – negli stessi periodi di riferimento. Questi numeri sono importanti per comprendere la ricezione di un film italiano rispetto ad altri titoli stranieri che hanno incassato somme decisamente inferiori – Springsteen: liberami dal nulla, Chainsaw Man-Il film: La storia di Reze, Bugonia. Ma soprattutto ci danno la misura di come una «commedia sociale», come ci viene presentata da buona parte della critica italiana, possa attestarsi al primo posto del box office facendo leva sulla presenza di nomi famosi (Diego Abatantuono, Virginia Raffaele, Aldo Baglio, Geppi Cucciari, non a caso i più citati dai media) e sfruttando «una storia di resistenza e appartenenza» ambientata in Sardegna.

Il film si ispira alla storia vera che, dal 2010 al 2016, ha contrapposto Ovidio Marras di Teulada alla Sitas di Benetton e Caltagirone, interessata al suo terreno per terminare la costruzione di un resort su Capo Malfatano, nelle coste del basso Sulcis. Lo scontro ebbe risonanza internazionale, trovando spazio anche sulle pagine del quotidiano The Guardian, in un articolo di John Hooper e Sara Perria del 2 settembre 2011.

L’economia di Teulada – nel più ampio contesto della questione sarda – è negativamente condizionata dal peso del secondo poligono militare italiano e dai disincentivi creati dagli indennizzi, in uno dei territori più poveri dello Stato che ha subito prima lo sfruttamento e l’inquinamento ambientale da parte delle compagnie minerarie e delle multinazionali dell’alluminio, poi le conseguenze sociali della graduale dismissione di quest’attività. Di fronte a tale situazione, una parte di società è tentata dal seguire la via del turismo. Michele Mossa e Michele Trentini hanno girato un documentario, prodotto dall’Isre nel 2005, per mostrare lo sfruttamento di questo territorio a fini turistici. Gli autori hanno intervistato alcuni pastori e allevatori della zona di Capo Malfatano invasa dagli stabilimenti balneari e dai chioschi, tanto che si vede la spiaggia di Tuerredda presa d’assalto da orde di turisti. Uno dei pastori coinvolti è proprio Ovidio Marras, il quale, mentre prepara sa pilarda, il pomodoro secco, afferma: “nosu biveus in s’ierru puru / no nasceus sceti in s’istadi cumenti faint is turistas” («noi viviamo qui anche in inverno / non nasciamo solo d’estate come fanno i turisti»).

da Youtg.net

Il richiamo a una vicenda a sfondo sociale in un territorio al quale autori e produttori sono estranei, più il sostegno da parte della Regione, dell’Assessorato al Turismo e della Fondazione Sardinia Film Commission, impone che la pellicola non si possa trattare come un mero prodotto dell’ingegno. Essa pone delle questioni riguardanti sia l’immagine dell’isola per il mercato italiano, sia il rapporto tra la politica, il turismo e la produzione culturale in Sardegna.

Una promozione discutibile

L’uscita è stata preceduta da un mese di promozione in cui sono stati riprodotti cliché inseriti perfettamente nella narrazione eterodiretta della Sardegna, in letteratura e in maniera ancora più incisiva al cinema. Il film – come descritto da Medusa – contrappone Efisio Mulas (Ignazio Loi), «custode silenzioso di un tempo che sembra non esistere più», al presidente di un gruppo immobiliare, «simbolo di un’Italia lanciata verso il futuro». In mezzo, la figlia di Efisio, «divisa tra le sirene del cambiamento e l’appartenenza alla propria terra». Inoltre, la comunità del pastore «si spacca tra chi sogna nuove opportunità di lavoro e chi teme di perdere per sempre la propria identità».

L’attore protagonista, Giuseppe Ignazio Loi, ottantaquattrenne originario di Terralba che da oltre settant’anni si dedica alla pastorizia, viene presentato come perfettamente identificato col personaggio: non ha mai preso l’aereo; da cinquant’anni non fa il bagno al mare. L’anziano è ripreso mentre si esprime in un italiano stentato, e questo diventa motivo di divertimento e bonaria presa in giro da parte di Virginia Raffaele. In una foto, Diego Abatantuono gli mette una mano in faccia; in un video backstage un’attrice lo bacia; un’altra posa il suo mento sulla sua testa. Negli spot promozionali, più che l’attore protagonista appare come una sorta di simpatica mascotte, degna di affetto ma non alla pari del resto del cast. Inoltre, sembra essere stato selezionato più per rappresentare un pastore sardo stereotipato che per impersonare Ovidio Marras, che era invece espressione di una particolare forma di insediamento agropastorale monofamiliare, detta furriadroxu, tipica del basso Sulcis. Il furriadroxu in cui viveva Marras è lo stesso «abitato» da Efisio Mulas nel film, un setting che dovrebbe ricondurre la vicenda reale alla sua rivisitazione in chiave dramedy.

Inoltre, è stato fatto sfilare durante la Milano Fashion Week, in una rassegna di moda – Diario di viaggio – curata da Antonio Marras e ispirata a Sea and Sardinia di D.H. Lawrence, autore secondo il quale la Sardegna era una terra non pienamente inserita nella civiltà. Lo stilista ha motivato la scelta in quanto Loi sarebbe «ambasciatore della bellezza che va preservata», interprete di una storia «simbolo dell’amore per le proprie origini e la propria terra». La scena era degna degli «zoo umani», i quali – citando lo storico Guido Abbattista – erano quelle «varietà di pratiche» compiute in Occidente, «a cavallo tra spettacolo, intrattenimento, divulgazione, educazione, propaganda – di messa in pubblica mostra di membri, rappresentanti, tipi provenienti da paesi e popoli alieni» (colonizzati).

Alcuni spot erano in forma di siparietto comico sul sardo, lingua viva ridotta a bizzarria per fenomeni da baraccone. Tutta la promozione sembra ricordarci come la sardità venga ammessa prevalentemente su un palco italiano. Un’identità addomesticata, da confinare ai canoni stereotipati della macchietta o dell’esotico.

Una commedia stereotipata e apolitica

Il nome di Ovidio Marras, come abbiamo visto, è modificato in Efisio Mulas, lo stesso del protagonista di Una questione d’onore di Luigi Zampa (1966), «la prima commedia italiana ambientata in Sardegna», secondo il critico cinematografico Gianni Olla. Il film di Zampa, che vedeva Ugo Tognazzi nei panni di Efisio Mulas, presenta i motivi tipici del filone banditesco sardo in salsa «sicilianizzante» e fa un uso esasperatamente caricaturale dell’accento sardo. Nel film di Milani, inoltre, il paese di Teulada diventa Bellesamanna, toponimo di una bellezza tanto grande da attrarre i gruppi immobiliari milanesi per portare lavoro in un territorio notoriamente depresso e strozzato dalla crisi.

ovidio-marras-da metropolitanmagazine.it

La fedeltà al dato storico è demandata al ricorso al vero pastore sardo Giuseppe Ignazio Loi: una specie di marchio di autenticità garantito da una genuina parlata campidanese, talmente stretta che solo la figlia Francesca (Virginia Raffaele) è in grado di capirla. Ed è lei che fa da interprete al suo babbu quando dal Continente arriva Mariano, il capocantiere siciliano che sa trattare con tutti (Aldo Baglio), tranne che con Efisio; è lei l’unica a sostenere la battaglia del padre quando tutto il paese gli si è rivoltato contro a causa dei suoi infiniti ed estenuanti no. Un aspetto centrale del film è la falsa dicotomia tra i posti di lavoro e la natura incontaminata. La rappresentazione di una parte della comunità come disposta a piegarsi allo scempio edilizio per ottenere un’occupazione è un’assurda e pericolosa semplificazione che confonde causa ed effetto, rimuove la condizione subalterna di un popolo e la sua alienazione culturale conseguenti a un rapporto coloniale interno. Francesca resterà accanto al padre fino alla fine, quando di Efisio rimarrà il ricordo de s’arrastu (orma) inciso sulla lapide, ché nella vita non contano i passi che fai ma l’impronta che lasci. 

In queste parole finali si scorge la doppia dimensione del film di Milani: da una parte, il messaggio rivolto ai sardi nel loro idioma, a mo’ di captatio benevolentiae o di monito alla salvaguardia della propria terra, delle proprie radici, della propria identità (parola insidiosa) contro interessi forestieri; dall’altra, la strizzata d’occhio al pubblico continentale, certamente più copioso rispetto a quello isolano, che all’uscita dalla sala, dopo i lunghissimi titoli di coda e i ringraziamenti istituzionali musicati da Moses Concas, e dopo lo spot che denuncia il furto di sabbia nelle spiagge sarde, avrà appreso un’importante lezione di vita dal pastore con la quarta elementare che sulla spiaggia di Bellesamanna si siede a contemplare l’orizzonte.

La storia, inserita entro il conflitto tra modernità e tradizione, appare depoliticizzata. Il suo significato di resistenza personale e anticoloniale viene occultato per ricondurla a manifestazione istintiva di difesa identitaria contro il progresso portato dall’esterno. Il messaggio è quindi depotenziato: una storia avulsa da un contesto segnato da rapporti di potere coloniale, che parla di grandi sentimenti ma non può far riflettere sulla necessità di una presa di coscienza dello sfruttamento dell’isola e contro la turistificazione.

esercitazioni militari a Teulada

Possiamo confrontare il successo del film di Milani con un’altra recente pellicola di un regista non sardo, Marco Amenta, ugualmente ispirata dalla vicenda di Ovidio Marras ma passata invece in sordina. Anna, un film drammatico, la cui forza risiede soprattutto nell’interpretazione dell’attrice protagonista, Rose Aste. Meno sponsorizzato de La vita va così, il film di Amenta è riuscito a trattare in maniera realistica ed energica un caso di speculazione edilizia che si è risolto a favore della proprietaria del terreno minacciato dalle ruspe. In questa rilettura al femminile dell’anziano pastore «resiliente» si innestano ulteriori elementi di natura politica che permettono di affrontare altri temi legati al ruolo della donna nella società contemporanea: la visione patriarcale del corpo femminile; l’alto tasso di disoccupazione che genera ostilità e rancore; la colpevolizzazione della donna che culmina nel suo isolamento.

Il confronto tra i due titoli ci spinge a fare una riflessione: affinché una storia simile abbia risonanza presso il pubblico italiano e goda di un maggiore sostegno promozionale è necessario trasporla in forma di commedia e farcirla di stereotipi?

L’operazione politico-culturale

La politica oggi al governo dell’isola, il centrosinistra dominato dall’alleanza fra Pd e M5S, ha svolto intorno al film un’operazione volta a ripulire la propria immagine, fra notevoli contraddizioni. Il patrocinio della Presidente della Regione Alessandra Todde – il cui nome compare nei ringraziamenti finali insieme a tanti altri nomi – stona con il ruolo avuto dalla stessa nei confronti di altre appropriazioni di territorio isolano: ambiguo con la speculazione energetica e complice con l’occupazione militare. L’assessora all’ambiente Rosanna Laconi ha recentemente autorizzato il progetto di riqualificazione dell’ex Ospedale Marino di Cagliari in hotel di lusso a opera di uno dei più grandi imprenditori immobiliari sardi, Sergio Zuncheddu. Lo stesso comune di Cagliari, ugualmente ringraziato dal regista, non si è opposto a questo progetto e non sembra voler porre un freno all’inesorabile processo di gentrificazione e turistificazione della città. All’epoca dei fatti narrati nel film di Milani, il Partito democratico non prese una posizione contraria al progetto del resort a Capo Malfatano: la sua sezione di Teulada si espresse a favore, mentre il suo coordinamento provinciale dichiarò di prendere atto della coerenza di quel progetto con la normativa vigente.

Paradossale, tenendo conto della storia narrata, è stata la sponsorizzazione da parte dell’Assessorato regionale al turismo, il cui titolare, Franco Cuccureddu, ha definito il film come «un grande spot per la Sardegna» e ha diffuso un messaggio pericoloso che contrappone un presunto turismo sostenibile da lui promosso a quello sostenuto dall’antagonista della storia.

Tra appropriazione culturale e colonialismo cinematografico

L’operazione politico-cinematografica ci pare emblematica dell’attuale fase di alienazione culturale sarda: dallo stigma all’esaltazione strumentale per scopi non emancipativi. L’appropriazione di una storia sarda di resistenza in favore di un’attività economica e della difesa di fatto di un bene collettivo contro il capitale del Nord Italia non ha prodotto un’opera di denuncia, né una «commedia sociale», ma una pellicola innocua, in cui lo stesso imprenditore milanese finisce per essere umanizzato e apparire, in fondo, un «buono» conquistato dai sentimenti del pastore sardo, mentre la politica regionale complice di altre operazioni coloniali viene addirittura ringraziata e la comunità teuladina colpevolizzata.

In sintesi, possiamo parlare del film come del paradosso di impossessarsi di una storia anticoloniale in termini coloniali, entro i meccanismi della turistificazione contro cui Ovidio Marras aveva lottato: la rappresentazione di una sardità ricca di stereotipi ricercati da un pubblico della penisola, che non viene chiamato a riflettere sul proprio privilegio nei confronti della Sardegna. A suo modo, una forma di speculazione, un colonialismo cinematografico che ricalca, in modo paradossale, quello edilizio di cui parla.

Infine, è necessario chiedersi se sia giusto che la Regione promuova film che ripropongono stereotipi ricercati dal pubblico esterno, diffondendo anche un insidioso autoesotismo presso l’audience sarda. Compito della politica dovrebbe essere quello di sostenere la creazione di un «ecosistema culturale» favorevole a una produzione autonoma ed emancipata, per parlare innanzitutto ai sardi e dettare all’esterno un’immagine diversa di sé.

Myriam Mereu e Andrìa Pili, da QUI

*Myriam Mereu, PhD in Studi Filologici e Letterari all’Università di Cagliari, è stata assegnista di ricerca in diversi progetti sul cinema e gli audiovisivi, tra cui il progetto “ATLas – Atlante delle televisioni locali” (Prin, 2020). Autrice di diversi contributi in riviste e volumi sul cinema in Sardegna, la sua prima monografia è Le voci dello schermo. Le lingue nel cinema sardo contemporaneo (Mimesis, 2024).

Andrìa Pili è laureato magistrale in Scienze Economiche nell’Università degli studi di Cagliari e dottorando in Economia Politica nell’Università di Malaga. Membro fondatore del collettivo di ricerca Filosofia de Logu, nel cui ultimo volume Logu e Logos. Questione sarda e discorso decoloniale (Meltemi, 2024) ha pubblicato il capitolo Per una critica decoloniale del turismo in Sardegna.

Sadali, Su stampu e su turrunu – foto repertorio Canva

La Sardegna e il mito dei borghi autentici:

quando il paese diventa vetrina e l’identità resta in ombra

Di Sara Brughitta*, da Sardegna che cambia https://www.italiachecambia.org/2025/10/borghi-sadali-ecomuseo/

A Sadali, l’Ecomuseo e la guida Ornella Piroddi raccontano la contronarrazione di un’Isola reale lontana dagli stereotipi, primo fra tutti quello che non ci siano più paesi, ma borghi.

La Sardegna, isola arcaica, dai panorami ancestrali, abitata da piccole creature cocciute che conducono una vita lenta, immerse nella natura incontaminata. La civiltà qui si articola in piccoli e graziosi borghi in cui il tempo si è fermato.

Corretto? Ecco, in queste parole si condensano una serie di stereotipi e luoghi comuni, imposti da altrove o costruiti per rispondere a esigenze esterne – spesso turistiche o commerciali. Le parole però sono importanti, sono alla base dell’interpretazione del mondo circostante, e attraverso esse e le narrazioni che compongono passa anche il concetto di identità.

E chi vive davvero nel territorio spesso non sente di appartenere a quelle che, se da un lato sono narrazioni fiabesche, dall’altro costituiscono una rappresentazione che serve meglio il mercato che non la verità delle comunità locali.

Ornella Piroddi, guida turistica e socia della cooperativa “Le Tre Fate”, che dal 2013 gestisce l’Ecomuseo di Sadali, dove si impegna anche nel fare contronarrazione, smantellando stereotipi e ribadendo con forza: «Non siamo qui per fare da sfondo a una vacanza lenta.».

Sadali

L’ecomuseo infatti non è un edificio da visitare, ma una comunità che si racconta e si prende cura di sé. Questa realtà si nutre di pratiche culturali partecipate: presentazioni di libri, collaborazioni con associazioni locali, visite guidate. Perché raccontarsi non è uno spettacolo, ma un atto di rispetto verso la comunità e soprattutto un esercizio di educazione continua.

Finita l’era della bidda

Quello che chiameremo “borghismo” – ovvero l’improvvisa diffusione di borghi – è un fenomeno che investe tutta l’isola, dove non mancano eventi in cui si possono degustare piatti tipici nel “borgo”. Ma da quando da “bidda”si è diventati borgo?

Nel caso di Sadali, secondo Ornella Piroddi, il fenomeno ha avuto inizio quando il paese è entrato nel circuito dei “Borghi più belli d’Italia” diversi anni fa. Una scelta appoggiata anche dall’amministrazione comunale precedente per rilanciare il paese, che però ha innescato trasformazioni meno visibili. «Da quel momento si è iniziato a parlare di “borgo” in ogni contesto, ma nessuno si è chiesto se questa parola ci appartenesse davvero».

Ornella Piroddi durante le visite alla grotta “Is Janas” – foto di Assemblea Natzionale Sarda

La questione è tutt’altro che terminologica: è identitaria. «Il paese è diventato una vetrina, o come lo definisco io “paese bomboniera”, in cui tutto deve essere perfetto per accogliere i turisti. Un giorno mi hanno chiesto: “Perché non c’è nessuno in giro?”. Erano le tre del pomeriggio, in piena estate. Ho risposto: “Perché a quest’ora si sta in casa, come in tutti i paesi del mondo”. Ma chi arriva si aspetta la cartolina: ogni foglia al suo posto, ogni strada animata». Il malinteso più grande è pensare che la presenza del turista coincida con l’esistenza del luogo. «Noi esistiamo anche quando non ci guarda nessuno. I servizi ci sono perché viviamo qui dodici mesi l’anno, non perché arrivano i visitatori».

Eita est borgo?”

«Nei social siamo diventati il borgo dell’acqua, il borgo degli elfi. Ma quando ho chiesto ad alcuni residenti se si riconoscessero in questa definizione, mi hanno risposto: “E ita est borgo?”, cos’è questo borgo?», racconta Ornella Piroddi con una certa ilarità.

La narrazione del “borgo autentico nel cuore della Barbagia immerso nel bosco ancestrale” rischia di soffocare quella reale, fatta di vite quotidiane, lavori ordinari, paesaggi che cambiano. Se un paese viene venduto come luogo incantato, ogni elemento fuori posto – un muro scrostato, un giardino trascurato, una casa in costruzione – diventa un errore da nascondere.

Le parole hanno conseguenze: definire significa anche limitare, semplificare, escludere. E spesso chi abita questi luoghi non si riconosce in ciò che viene raccontato di loro, nella favola dei borghi. Le narrazioni dettate dalle esigenze del marketing contribuiscono alla percezione del luogo come un prodotto da consumare voracemente, perdendo di vista le specificità del posto in cui ci si trova. «C’è chi, durante le visite alle grotte si lamenta della temperatura, chi chiede tappeti, chi vuole l’orario continuato. Ma noi non possiamo – e non vogliamo – vivere dentro una grotta per compiacere l’ospite e non si sposa con la nostra visione del lavoro».

Piroddi riferisce anche un altro luogo comune riferito a Sadali: quello del centro storico “abbandonato”, forse più suggestivo rispetto al termine “disabitato”, che d’altra parte sarebbe più appropriato.

La parte storica di Sadali è infatti semplicemente disabitata, perché negli anni ’40 gli abitanti hanno migrato verso la parte alta del paese per ragioni funzionali: costo basso, possibilità di avere un giardino, meno problemi legati al ghiaccio nelle strade. «Questo travisamento genera delle aspettative sempre legate al “paese bomboniera” fermo nel tempo, infatti non sono mancate delle lamentele da chi entrando dalla parte alta non si è trovato catapultato nel centro storico».

La cooperativa Le Tre Fate ha scelto di educare, non solo accompagnare. «Il nostro lavoro non è solo spiegare le stalattiti e le stalagmiti. Raccontiamo il ruolo dell’essere umano negli ecosistemi, sensibilizziamo. Prima di entrare nella grotta, ad esempio, chiarisco sempre che noi umani siamo ospiti in quella che per i pipistrelli è la propria casa. Una volta, un visitatore ci ha detto: “Grazie per la spiegazione anticoloniale”. È stato uno dei complimenti più graditi che abbiamo ricevuto, perché mi ha confermato che il messaggio che volevo veicolare è arrivato a destinazione».

Sadali

Borghi, marginalità, sanità e illusioni romantiche

Il borghismo è sintomo di un sistema consumistico diffuso che provoca inevitabilmente omologazione e si scontra con dinamiche istituzionali, come ad esempio l’ingresso di Sadali nella città metropolitana di Cagliari, che comporta – come racconta Piroddi – una serie di problematiche sia identitarie che prettamente funzionali, come ad esempio la distanza. Oltretutto, questa narrazione estetizzante ha il potere di oscurare problemi concreti, come lo spopolamento, la marginalizzazione e la carenza di servizi essenziali.

un caffè ad Armungia-tessere relazioni

«Oggi si parla di ripopolamento, ma come si può pensare di ripopolare un paese quando, ormai, l’unico ospedale disponibile nella Barbagia di Seulo è a circa 100 chilometri di distanza?», si chiede Piroddi. Intanto, i piccoli sardi arroccati nei loro suggestivi borghi possono godere della natura incontaminata, dei paesaggi arcaici, in una vita lenta nella speranza di non sentirsi male, perché ahinoi sarebbero altrettanto lente le cure mediche!

Sara Brughitta, da qui https://www.italiachecambia.org/2025/10/borghi-sadali-ecomuseo/

 

LINK per approfondire

https://riabitarelitalia.net/RIABITARE_LITALIA/

Movimento Lento https://www.movimentolento.it/

https://slowmap.tours/

https://www.facebook.com/uncaffeadArmungia

https://www.ildeposito.org/canti/un-paese-vuol-dire-non-essere-soli

Quell’immagine fasulla
Michele Atzori su fb https://www.facebook.com/dr.drer
Quell’immagine fasulla e stereotipata della Sardegna come luogo in cui la modernità non è ancora arrivata, in cui gli indigeni – cioè noi – vivono in un mondo che è fermo rispetto all’esterno, in realtà è un’immagine molto diffusa, sia in Italia che tra noi stessi. Siamo diffusamente considerati una terra ferma nel tempo, uguale a se stessa attraverso i millenni. Quante volte l’avete sentita questa frase? La Sardegna ferma nel tempo e nella storia.
Eravamo così fermi, pensate un po’, che la seconda rivoluzione che viene scatenata in Europa, dopo quella francese, è quella sarda del 1794, evento che non studiamo a scuola anche se il ventotto aprile è giorno di vacanza per gli studenti. Purtroppo è stata una rivoluzione fallita, e chissà, forse è proprio per quello che non la studiamo a scuola.
Ed era così fermo anche il movimento operaio sardo che, un secolo dopo, a inizio Novecento, diede vita ai moti di Buggerru contro le condizioni del lavoro in miniera, e fu il principio del primo sciopero generale nella storia dello stato italiano . Arrivò l’esercito italiano per fermarlo e sparò sulla folla, lasciando a terra tre minatori e una decina di feriti, uno dei quali morirà pochi giorni dopo.
E fuori dalla storia doveva essere anche Grazia Maria Cosima Damiana di Nùgoro, la seconda donna al mondo a ricevere il Nobel per la letteratura e l’unica, fino ad ora, in tutto lo stato italiano. E anche Antonio di Ales, tra i pensatori del Novecento più studiati e tradotti al mondo, che formò il suo pensiero proprio osservando le dinamiche sociali nella sua Sardegna natia. E Ninetta di Borutta, la prima sindaca donna nello stato italiano, che nel dopoguerra istituì cooperative di lavoro femminili, una casa di riposo per donne e altre iniziative per le donne del suo paese. O anche la dottoressa Adelasia a Nùgoro, la prima donna medica condotta dello stato italiano. E Pratobello, la prima rivolta popolare antimilitarista del dopoguerra in tutto lo stato italiano . Per non dire, poi, del secondo giornale online al mondo, e dell’avanguardia telematica a Casteddu anni 90.
E meno male che eravamo fermi nel tempo e nella storia.
Io invece penso che, se davvero esiste un momento in cui la storia si ferma, è proprio quello in cui noi non la studiamo, non la conosciamo e quindi, convinti che in questo posto non possa esistere un futuro, ci arrendiamo al presente. Magari aspettando che ci piova qualcosa dal cielo perché siamo le comparse involontarie di una pubblicità. Un popolo senza memoria è un popolo senza futuro, diceva Luis Sepúlveda. E provate a dargli torto.
Michele Atzori   da qui https://www.facebook.com/dr.drer
Michele Atzori/Dr Drer/Su Dotori aveva cantato la storia di Ovidio Marras nel suo brano Ovidiu, la terza traccia del suo album Raju qui https://www.sascena.it/su-dotori-raju/
Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

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