Le «albere» mi hanno stregato…

e spero che possa succedere anche a voi

di db

Un vecchio pino grande-grande e molto vecchio, vicino altri più piccoli. Lì sotto 11 donne si affacciano e si nascondono, abbracciano gli alberi, si presentano: «sono un castagno», «sono una betulla»… Ricordano alcune donne che, in ogni parte del mondo, hanno combattuto (e a volte sono state uccise) per difendere foreste o vecchi alberi. Raccontano storie. Scherzano a volte, poi tornano serie. Si muovono a gruppi di 3 o 4: ritmi lenti, rituali e poi improvvise accelerazioni. Una dodicesima donna batte il tempo su un tamburo.

Ho visto per caso «Le albere» – io le chiamo così anche se il nome giusto (sia per l’opera che per la compagnia) è «Il Teatro degli Alberi» – mentre ero all’isola d’Elba, ospite di Daniela, un’amica che ha preso parte al lungo lavoro di ricerca e invenzione che poi ha portato “le 12 apostole” a celebrare in pubblico questa bella religione arborea. Quel giorno con il passa-parola sono arrivate una cinquantina di persone, piazzandosi a “distanza anti Covid” per farsi incantare da parole, movimenti, storie, suoni…

Nei giorni successivi la voce di questa magia si è sparsa e così le 12 albere vengono “costrette” a una replica. Io faccio il bis perchè voglio cogliere meglio le atmosfere e i ritmi, memorizzare alcuni nomi.

Ricordavo la tragedia di Berta Caceres (uccisa in Honduras nel 2016 perchè lottava contro un distruttivo progetto idroelettrico) e la vittoriosa lotta in California di Julia Butterfly Hill che per 738 giorni si “nascose” su «Luna » – una sequoia di 70 metri – per evitare venisse abbattuta. Conoscevo l’impegno della keniana Wangari Maathai e del «Green Belt». Sapevo del movimento «Chipko»: donne che in India abbracciano gli alberi per evitare che vengano abbattuti. Ma ignoravo le drammatiche storie della filippina Gloria Capitan, dell’ucraina Katerina Handziuk, della guatemalteca Laura Leonor Vàsquez, della mapuche Macarena Valdes e tante altre vicende che le «albere» hanno raccontato.

Dopo la prima visione e il bis penso due cose.

1 – Voglio saperne di più.

2 – Mi piacerebbe che questa storia/rito girasse: meglio se nei tanti luoghi dove anche in Italia si difendono i fratelli alberi.

Saperne di più è abbastanza facile attraverso Francesca Ria (attrice e regista elbana) che ebbe l’idea iniziale delle “albere” tessendo una trama da cui nacquero il gruppo e il progetto: prima un lavoro in carcere con alcuni detenuti e volontari, poi le due rappresentazioni vicino al famoso Pinone. Qui di seguito ho raccolto in parte quello che Francesca mi ha raccontato e tre spunti del “canovaccio” che le 12 donne hanno usato… fra variazioni, improvvisazioni, continui aggiornamenti e imprevisti dovuti al fatto che le attrici devono conciliare percorsi di vita e di lavoro: infatti sono in gran parte non professioniste anche se molte hanno alle spalle una formazione teatrale, di danza o musicale.

La seconda questione – far girare «Il teatro degli alberi» – è più complicata perchè, maledetto Covid a parte, spostare 12 persone non è semplice, soprattutto per i costi. Ma io confido che la voce si sparga (di ramo in foglia?) e per questo ecco la mail di Francescaf_ria@yahoo.com – in modo che chiunque fosse interessata/o possa stabilire un contatto diretto.

CHIACCHIERANDO CON FRANCESCA RIA

Stavo andando in Perù, 20 anni fa. Sorvolando il mare verde dell’Amazzonia ho visto “un buco”. Primo choc. Poi mi capitò in Cambogia: ci dicevano «qui è tutto selvaggio» e invece nella selva vediamo una zona appena bruciata; stavano deforestando per coltivare taro, un tubero usato come mangime per i maiali allevati in Cina.

Inizio a pensare che la guerra in corso fra umani e alberi è sempre più feroce. Penso a Tolkien… perchè immagino gli alberi come giganti resistenti.

Inizio a scrivere. Per tappe. Buenos Aires, città arborea. Laos. Gli alberi giganti che resistono (yacaranda). I popoli nativi, i mapuche, che difendono le foreste. Ma penso pure come l’Elba – dove vivo – gestisce male il verde pubblico (anche quello dell’Arcipelago) e privato.

Scrivendo ho cercato da subito una forma ritmica e poetica, poi ho capito che i miei appunti erano un “canovaccio” da leggere e/o cantare, comunque da mettere in scena. Decido alla fine del 2016 di farne uno spettacolo. Ne parlo con Legambiente: all’inizio non se ne fa nulla, però c’era un progetto dentro il carcere (con tre detenuti che potevano mettere “il naso fuori”) e facciamo un progetto. Si forma un gruppo – tutto femminile tranne un giovane volontario – e io conduco con Alessia un laboratorio per una decina di persone “esterne” e tre detenuti. Il mio testo serve da spunto. Ognuna/o sceglie un albero e ne scrive la biografia.

L’ulivo lo sceglie un detenuto tunisino (non usciva dal carcere da 7 anni): «io ulivo ne ho viste passare tante, né guerre nè disastri climatici mi possono fermare». Lo dice mezzo in arabo e mezzo in italiano. «Noi parliamo degli alberi ma gli alberi parlano di loro».

Lo abbiamo messo in scena solo due volte, una dentro il penitenziario e l’altra fuori. Una bella esperienza. Ai tre detenuti forse del teatro non importava granchè ma per loro era così importante stare dentro un progetto che ci misero tutta l’anima.

Le donne di quella prima esperienza invece venivano da un comitato per salvare gli alberi elbani. Iniziammo a leggere e riflettere insieme. Oltre un anno di lavoro. Con intuizioni, gocce, frammenti… Ognuna proponeva libri o canzoni. Le nostre letture e riunioni si tenevano sotto il “pinone”, un grande e antico albero in riva al mare: il luogo giusto.

Insieme abbiamo creato una canzone e il gioco – “esco dall’albero e rientro nell’albero” – che facciamo in scena. Avevamo bisogno di un canto. E alla fine Franca sceglie la canzone colombiana (ma forse nasce in Messico) di un anno fa contro i femminicidi e prendiamo spunto da lì.

Le donne che custodiscono i semi e la terra, la Pacha Mama. Di fatto esiste un grande movimento internazionale, soprattutto di donne, che difende gli alberi. Fabiana, femminista storica, ci stimola a cercare in quella direzione.

Nel canovaccio che abbiamo messo in scena c’è anche la “tragicommedia” della morte degli alberi ma abbiamo dato un finale di speranza.

Cosa resterà? Immaginiamo che le giovani generazini arboree ricordino la Resistenza dei loro antenati… Ma cosa rimarrà dopo che le sequoia, alberi millenari, se ne saranno andati? Alberi uccisi e deportati. Continua a succedere ovunque, anche in Puglia con gli ulivi abbattutti per abbreviare la strada di un gasdotto.

E’ un testo sempre più collettivo nella scrittura, nelle scenografie, nei costumi e nel trucco. Il lavoro crescerà ancora. Ci sono questioni aperte, secondo me ci serve un altro canto. Ci piacerebbe che girasse: lo spettacolo è rappresentabile ovunque, preferibilmente in ambienti naturali. Ci sono tanti luoghi in Italia dove si difendono gli alberi… E vorremmo essere lì.

LE VOCI DEGLI ALBERI

Sono Betulla “Signora della Foresta”

Simbolo di Luce e Purezza

Sono alta, ho una chioma leggera e luminosa, rami penduli e delicati.

Sono metafora dell’«Axis Mundo», pilastro cosmico. Sono la via attraverso la quale scende l’energia dell’Universo e da dove risale l’aspirazione umana verso l’Alto. Simbolo dell’albero cosmico, custode della porta che permette agli sciamani di passare da una regione cosmica all’altra.

Sono la pianta degli inizi, simbolo di iniziazione, perseveranza, adattabilità, umiltà e tenacia. Arrivo per prima a colonizzare le macerie, non importa se prodotte dalla follia umana o dalla furia della natura. Attecchisco con coraggio là dove altri rinunciano e rimango anche quando tutti se ne vanno.

Associata al Sole e alla Luna, al Padre e alla Madre, al maschile e al femminile

Sono la pianta dell’amore: la mia dolce linfa rende fertili le donne; i miei rami creano, con il giunco, giacigli per gli amanti; intrecciata in ghirlande vengo donata in pegno d’amore. Piantata vicino alla casa di una giovane fanciulla io le garantirò felicità e un ottimo matrimonio.

Sono legata alla conoscenza e alla guarigione purificatrice.

Le mie antenate hanno creato scope per le streghe ma anche fruste per purificare i corpi dagli spiriti maligni.

La mia corteccia è tenera e dolce in primavera e quando indurisce puoi farne sandali e corde o adornare i mantelli come usavano fare i Cherokee.

Ho proprietà depurative e diuretiche e permetto di eliminare le emozioni represse che, trattenute nei liquidi in eccesso, ostacolano il collegamento fra la dimensione terrena e quella spirituale.

La mia candida corteccia riflette i raggi del sole e porta luce a chi mi sta accanto.

SALICE PIANGENTE

Sono il salice piangente. Una pianta sono una pianta planta planta intrisa d’acqua e vivo trra l’azzurrrro nel rrispecchiamento del verrrde ogni vibrrrazione o alito di vento mi/muove musiche e pianti lontani mi/scuotono e non/ resisto/ e /cedo e mi lascio/mi affloscio alla gravità / del monndo e piango piango piango […]

CASTAGNO

Io sono castagno.

E sono un albero pieno di risorse

Con me si possono fare tantissime cose, come mangiare i miei frutti o conservarli per l’anno prossimo però, prima falli seccare per bene, se no li puoi buttare.

Con il mio legno puoi creare vari oggetti tipo armadi, comodini, piccoli oggetti di artigianato.

Sono alto e molto forte […]

UNA NOTA DELLA “BOTTEGA”

Non per caso “le albere” sono finite qui. La nostra piccola redazione è molto “arborea”. Eccovi un po’ di link in merito.

Abbracciare gli alberi per salvare il mondo

Dossier Foreste Atto II – 1 (e gli altri della serie curata da Mauro Antonio Miglieruolo)

Piantiamo alberi, ovunque

Aderiamo alla campagna “60 milioni di alberi”

Wangari Maathai

Sette suggestioni sulle opere di Yerka – 4: Alberi

Michela Zucca: la religione degli alberi

Alberi

SE NON VI BASTA…. Cercate e ne troverete ancora

danieleB
Un piede nel mondo cosiddetto reale (dove ha fatto il giornalista, vive a Imola con Tiziana, ha un figlio di nome Jan) e un altro piede in quella che di solito si chiama fantascienza (ne ha scritto con Riccardo Mancini e Raffaele Mantegazza). Con il terzo e il quarto piede salta dal reale al fantastico: laboratori, giochi, letture sceniche. Potete trovarlo su pkdick@fastmail.it oppure a casa, allo 0542 29945; non usa il cellulare perché il suo guru, il suo psicologo, il suo estetista (e l’ornitorinco che sonnecchia in lui) hanno deciso che poteva nuocergli. Ha un simpatico omonimo che vive a Bologna. Spesso i due vengono confusi, è divertente per entrambi. Per entrambi funziona l’anagramma “ride bene a librai” (ma anche “erba, nidi e alberi” non è malaccio).

Un commento

  • Giorgio Chelidonio

    Abbracciare alberi (con qualche inquietudine in posti frequentati) mi da energia e mi “raddrizza la schiena. Lo faccio da molti anni….

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