Libere di abortire in Europa e non solo…

A seguire notizie sulle lotte delle donne dello Sri Lanka ed il Misoprostolo.

Dopo aver raccolto più di un milione di firme, la proposta lanciata dal movimento My Voice, My Choice per un aborto sicuro e accessibile in Europa è stata inclusa nella strategia per la parità di genere 2025 per garantire il diritto alla salute sessuale e riproduttiva in tutti gli Stati membri, senza bisogno di intervenire nelle legislazioni nazionali

 

Abortire in sicurezza

È una di quelle notizie che non arriva ai Tg generalisti e invece – ancora una volta è necessario ribadirlo – sarebbe di pubblica utilità: dopo l’adozione da parte della Commissione per i diritti delle donne e l’uguaglianza di genere (FEMM) del Parlamento europeo della proposta legislativa di iniziativa popolare My Voice, My Choice (la mia voce, la mia scelta), che punta a garantire l’accesso a un aborto sicuro e legale in tutta l’Unione europea, è stata inclusa nella Strategia europea 2025 per la parità di genere con 356 voti a favore e 200 contrari al Parlamento europeo.

In meno di un anno la proposta ha raccolto oltre un milione di firme da più di sette stati dell’Unione europea, di cui oltre 600.000 solo dall’Italia.

Secondo i dati dello European Abortion Policy Atlas 2025, ad oggi un aborto legale, sicuro e senza restrizioni è possibile solo in sei paesi dell’Unione (Svezia, Francia e Paesi Bassi, Finlandia, Danimarca e Lussemburgo). Oltreoceano non va molto meglio, come racconta Marta Facchini in un recente reportage sul Cile, paese alla vigilia delle elezioni presidenziali dove il collettivo Con las amigas y en la casa aiuta le donne ad abortire in segreto e in sicurezza.

Nel nostro paese i dati del Ministero della Salute sono fermi al 2022, una lacuna più volte denunciata da molte colleghe e attiviste, che è necessario colmare non solo per avere una reale fotografia della situazione dell’aborto in Italia, ma anche per poter intervenire laddove ce ne è maggiormente bisogno.

Anche per questo è estremamente significativa l’iniziativa di una rete di associazioni e attiviste coordinate da Aidos, che, nell’ambito della campagna #IVGsenzaMA, ha realizzato una guida online pensata come strumento per aiutare le persone a orientarsi e a tutelarsi di fronte a eventuali ostacoli, disinformazione o disservizi nell’applicazione della Legge 194, e più di recente ha messo online anche un sito web che vorrebbe diventare un luogo di scambio, oltre che di informazioni.

“Gli ostacoli disseminati nel percorso dell’interruzione volontaria di gravidanza (ivg) sono tanti, molti creati ideologicamente da chi la avversa, altri dalla burocrazia, dalla carenza di informazioni e dal ricorso, spesso strumentale, all’obiezione di coscienza – che è il problema più conosciuto e che, in alcune regioni, di fatto impedisce di interrompere una gravidanza nelle strutture del territorio, costringendo le donne a fare lunghi viaggi per trovare accesso in altre regioni” spiega Laura Onofri, giurista dell’associazione Se Non Ora Quando? di Torino, fra le realtà che hanno aderito alla campagna.

”Per questo due anni fa è nata la guida #IVGsenzaMA” precisa, “non solo una guida informativa per sapere come funziona l’ivg in Italia, ma anche uno strumento concreto per reagire ai disservizi, all’abbandono istituzionale e ai soprusi. Oggi questa guida, aggiornata, gratuita e pratica e che è sempre stata scaricabile online, diventa più accessibile per tutte e tutti perché è stato costruito un sito aggiornato, navigabile e chiaro e facilmente consultabile”.

“Dal mio punto di vista la guida è stata e continua a essere un processo in fieri. La creazione e il rinforzo di relazioni di collaborazione e fiducia tra attiviste è il suo primo risultato” aggiunge Eleonora Cirant, giornalista femminista. 

“La redazione della guida è stata di per sé un processo di confronto tra punti di vista diversi su problemi medesimi. Ad esempio, il punto di vista di un’attivista, che fa accompagnamento all’aborto di fronte a una pratica come quella di fare l’ecografia per rilasciare il documento che consente di dare avvio alla procedura, può essere diverso da quello di una medica non obiettrice o di una giurista. Le diverse posture sono emerse in particolare in quelle parti della guida in cui abbiamo scritto ‘cosa puoi fare’. Infatti, per scrivere la guida siamo partite dai casi riscontrati nei gruppi di supporto, che abbiamo analizzato dal punto di vista medico e legale, per descrivere ‘cosa devi sapere’ e ‘cosa puoi fare’”.

Inoltre, continua Onofri, “c’è un aggiornamento nel sito molto importante: è un modulo che abbiamo inserito per consentire alle donne che trovano le porte chiuse, perché la struttura a cui si sono rivolte non è in grado di praticare in tempi accettabili l’ivg e che di fatto pratica l’obiezione di struttura, di contrastare questo disservizio chiedendo una corretta presa in carico in altra struttura con ogni onere e responsabilità a loro carico, o in subordine il rimborso di tutte le spese sostenute. 

“Infatti” precisa “l’obiezione di struttura è assolutamente vietata dalla legge, perché l’art. 9 chiarisce che può sollevare obiezione di coscienza solo il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie, mentre gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenuti ad assicurare il servizio di interruzione volontaria di gravidanza, e la struttura che è impossibilitata per qualche motivo a svolgere il servizio deve inviare la donna in un’altra struttura dove questo sia possibile e verificare che avvenga una corretta presa in carico” conclude.

Un lavoro molto concreto, dunque, “che ha consentito anche a noi di apprendere reciprocamente dall’esperienza e che speriamo possa servire per difendersi dagli abusi: la guida pdf è stata scaricata decine di migliaia di volte” prosegue Cirant. 

“Abbiamo visto che, nella maggioranza dei casi, dimostrare di conoscere i propri diritti è un deterrente sufficiente. Se poi li si formula in modo corretto, ovvero giuridicamente appropriato, e con il supporto di un’attivista, l’efficacia aumenta. Molte difficoltà di accesso ai servizi derivano spesso da inerzia delle strutture sanitarie, ignoranza delle procedure previste dalla legge nella organizzazione dei servizi o pregiudizi interiorizzati dalla classe medica. Cioè, sono parte integrante del fatto che l’aborto volontario in Italia è legale ma fortemente sotto controllo dello stato ed ospedalizzato”.

“Abbiamo ritrovato con piacere le altre associazioni nel dedicarci a questo progetto per il diritto alla salute” commenta Chiara Fonzi di Laiga, Libera associazione italiana ginecologi non obiettori per l’applicazione della l. 194/78, anch’essa promotrice della campagna IVGsenzaMA “anche se la nostra speranza è che il paese arrivi presto al punto in cui chi ha bisogno o vuole interrompere la gravidanza non abbia bisogno di una guida esterna al sistema sanitario nazionale per usufruire di un servizio pubblico e legale finanziato con le proprie tasse”.

E nell’attesa che non sia più necessario ricorrere alla guida, l’Europa potrebbe dare un segnalo chiaro e avviare il processo proposto da My Voice, My Choice, ossia un meccanismo di sostegno finanziario per gli stati che decidano volontariamente di fornire accesso sicuro e legale all’interruzione di gravidanza a chi non può ottenerlo nel proprio paese.

In questa maniera, senza intervenire nelle legislazioni nazionali, sarà comunque possibile fare un importante passo in avanti per garantire il diritto alla salute sessuale e riproduttiva per tutte.

Adesso, il testo passerà alla Commissione europea, che dovrà decidere se trasformare l’iniziativa in un atto legislativo vero e proprio o motivare pubblicamente un eventuale rifiuto.

Nel frattempo, Period Think Tank, Pro-choice RICA e Laiga 194 hanno lanciato un sondaggio per far emergere quanto accade davvero nel nostro paese visto che gli attuali sistemi di rilevamento (previsti dalla legge 194/1978) non consentono di conoscere.

Per saperne di più

La lotta per il diritto all’aborto in Sri Lanka

Photo by Cottonbrostudio via Pexels. Used under a Pexels License.

Foto di Cottonbrostudio via Pexels, uso su concessione da Pexels License.

Quest’articolo di Mia Abeyawardene è originariamente apparso su Groundviews [in inglese, come i seguenti link, salvo diverse indicazioni], un sito web giornalistico pluripremiato in Sri Lanka. Di seguito è pubblicata una versione modificata nell’ambito di un accordo di condivisione dei contenuti con Global Voices.

In un Paese dove l’aborto resta criminalizzato secondo le leggi coloniali dell’epoca risalenti al 1883, lo Sri Lanka ha da molto tempo negato alle donne il fondamentale diritto di prendere decisioni sul proprio corpo. La recente proposta di modificare queste leggi, che consentirebbe di terminare la gravidanza in caso di anomalie fetali non vitali, è stata accolta da molti, compresa la Sri Lanka Safe Abortion Coalition (SLSAC). Tuttavia, questa riforma limitata, è bel lontana dall’essere sufficiente e dimostra avere delle profonde problematiche sistemiche: l’esclusione delle donne dal prendere decisioni, la medicalizzazione di una questione fondamentalmente legata ai diritti umani e il persistente stigma, nonché il controllo patriarcale sulle scelte riproduttive delle donne.

La SLSAC ha accolto con cautela la proposta, riconoscendola come un potenziale primo passo verso un quadro normativo più giusto e compassionevole. Eppure, la coalizione è chiara nella sua presa di posizione: l’emendamento proposto è fin troppo ristretto. Limitare l’accesso all’abrto solo al campo delle anomalie fetali mortali, non affronta la più ampia realtà sulle motivazioni che spingono le donne a ricorrere all’aborto, inclusi casi di stupro, incesto, mancanza di accesso alla contraccezione, difficoltà economica o semplicemente la scelta non portare a termine la gravidanza.

La riforma proposta è stata promossa da tre facoltà di medicina: l’Ordine dei medici di comunità, l’Ordine degli ostetrici e dei ginecologi e l’Ordine dei pediatri. Sebbene il loro coinvolgimento sia importante, la loro influenza nella stesura di tale emendamento è problematica. Riflette una persistente tendenza a vedere l’aborto esclusivamente dal punto di vista medico, ignorando la complessa dimensione economica, sociale, dei diritti umani della salute riproduttiva.

La cosa più sorprendente è che questi corpi medici hanno proceduto senza consultare le principali parti interessate come le organizzazioni di diritti delle donne, gli attivisti della società civile e il Ministero per gli Affari delle Donne e dell’Infanzia. Quest’esclusione non è solo un errore, ma la continuazione di un annoso schema che ostacola le donne nelle decisioni che riguardano le loro vite e i loro corpi. In particolare è preoccupante il fatto che quasi tutti quelli coinvolti in questi emendamenti siano uomini, rinforzando la condizione patriarcale degli uomini che legiferano sui corpi delle donne senza il parere di quest’ultime.

L’aborto non è solamente un problema medico ma una questione di diritti umani. Impedire a qualcuno la possibilità di porre fine ad una gravidanza, specie in casi di violenza sessuale, incesto, o condizioni fetali mortali può essere crudele, inumano e un trattamento degradante. Organismi internazionali per i diritti umani, incluso il Comitato per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, hanno costantemente affermato che costringere una persona a portare a termine tali gravidanze, viola i loro diritti alla salute, eguaglianza ed autonomia sul proprio corpo. Il caso storico KL contro Perù del 2001 ha creato un precedente, stabilendo che negare l’aborto a una ragazza di 17 anni nonostante una diagnosi di anencefalia costituiva una violazione dei suoi diritti.

L’avvocatessa Uda Deshapriya ha notato che la criminalizzazione dell’aborto significa che le donne temono di essere perseguite anche quando richiedono assistenza sanitaria post-aborto. Questo comporta un ritardo nel trattamento e, in alcuni casi, delle morti materne prevenibili. Lo stigma e le barriere legali attorno all’aborto non solo recano danno alla persona ma danneggiano anche la salute pubblica.

Nonostante sia illegale, la pratica dell’aborto non è rara in Sri Lanka. Una  ricerca del 2010 condotta su 665 donne che sono state sottoposte ad un aborto indotto, ha rivelato che il 71% era a conoscenza di un medico prima di prendere la decisione, e il 69% ha appreso della possibilità di rivolgersi ad un medico grazie agli amici o ai parenti. Queste statistiche sottolineano la rete informale a cui le donne fanno riferimento per accedere ai servizi relativi all’aborto, spesso correndo un alto rischio per la loro salute e la loro sicurezza.

In anni recenti, l’accesso a trattamenti come il farmaco Misoprostolo, un metodo sicuro ed efficace per un aborto medicalizzato, ha portato ad una significativa riduzione delle morti materne per aborto settico da 13,4% nel 2011 al 4,5% nel 2021. Tuttavia, questi progressi rimangono deboli nei confronti dell’attuale criminalizzazione, che continua a spingere l’aborto in clandestinità.

Il nuovo governo dello Sri Lanka, eletto con una maggioranza dei due terzi con la promessa di una trasformazione politica e sociale, sembra ritirarsi dai propri impegni. Il manifesto del Potere Nazionale Popolare (NPP) dell’agosto 2024 includeva la promessa di attuare le raccomandazioni della Commissione legislativa del 2012 volte ad ampliare le basi giuridiche per l’aborto, includendovi lo stupro e le gravi menomazioni fetali. Tuttavia, queste riforme restano profondamente inadeguate e poco convincenti, non riuscendo a soddisfare le reali esigenze delle donne.

La copertura mediatica di quest’emendamento si è maggiormente focalizzata sul placare le voci religiose conservatrici, evitando la necessaria analisi del processo dell’emendamento. Gli attivisti e i gruppi per i diritti delle donne sono stati notevolmente assenti dalla discussione nazionale e, persino il Ministero per gli Affari delle Donne e dell’Infanzia è stato emarginato. Deshapriya ha fatto notare che il silenzio dei media e il progressismo performativo del governo, rinforzato da una donna come Prima Ministra, ha indebolito la responsabilità pubblica.

La SLSAC e gli attivisti alleati sono chiari sul fatto che la piena decriminalizzazione dell’aborto è l’unico percorso  che sostiene i diritti umani, che assicura l’eguaglianza e che rispetta l’autonomia delle donne. Decriminalizzare significherebbe rimuovere interamente l’aborto dal Codice Penale e trattarlo come una questione di sanità, qualcosa che può essere gestito in modo sicuro, anche a casa, con i moderni progressi della medicina.

Non c’è bisogno di aspettare per delle infrastrutture, nuove norme o regolamentazioni aggiuntive, prima di compiere questo passo. Il Misoprostolo è già incluso nell’ Elenco dei medicinali essenziali dell’OMS. Le barriere per accedervi persistono, non perché vi siano  limitazioni mediche bensì a causa delle norme morali, stigma e controllo patriarcale.

L’attuale programma di contraccezione in Sri Lanka esclude diverse donne, soprattutto le donne single e le persone non cisgender, focalizzandosi in modo ristretto solo sulle cisgender sposate nel contesto della pianificazione familiare. Quest’esclusione aumenta il rischio di gravidanze indesiderate e sottolinea ulteriormente la necessità di un’assistenza sanitaria riproduttiva completa, compreso l’accesso all’aborto.

L’emendamento proposto segna un piccolo, simbolico passo, ma non basta. Le donne in Sri Lanka  meritano di più che delle eccezioni limitate e il ddominio maschile nel prendere decisioni. Meritano autonomia, dignità, e il diritto di scegliere. Così come esplicitato chiaramente dal SLSAC, i diritti riproduttivi sono diritti umani e la giustizia riproduttiva verrà conquistata solo con la piena decriminalizzazione dell’aborto e la significativa inclusione delle donne nella formulazione delle leggi che governano le loro vite.

Il dibattito deve spostarsi dal controllo del corpo delle donne verso la loro emancipazione. Fino ad allora, le riforme resteranno vane e la giustizia rimarrà fuori portata. Facendo spazio alle  voci delle donne donne, non solo quelle dei dottori, politici, o dei capireligiosi, lo Sri Lanka può finalmente iniziare a disfare il danno causato dalla legge che ha fatto il suo tempo e il suo scopo.

 

 

Per ulteriori informazioni sul misoprostolo potete consultare il sito SaPeRiDoc del Servizio Sanitario Regionale Emilia Romagna cliccando qui

Enrico Semprini

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