Libertà duratura
di Alexik (*)
In teoria la notizia avrebbe dovuto monopolizzare i telegiornali, se non altro per i centoquattromila afgani morti ammazzati negli ultimi 15 anni, a cui vanno a sommarsi altri sessantunomila nel vicino Pakistan. Come dire: le vittime dell’attentato alle Twin Towers moltiplicate per 55.
Poco fiduciosa riguardo all’obiettività del giornalismo nostrano, qualche cifra proverò a darvela io.
Ad occuparsi della conta dei cadaveri, nonché dei feriti e dei mutilati, è il rapporto periodico della Brown University del Rhode Island, di commento ai dati della United Nations Assistance Mission in Afghanistan (UNAMA).
Leggendo queste stime, probabilmente redatte per difetto, non suscita particolare stupore il fatto che fra i caduti complessivi in 15 anni di guerra afgana solo il 6,32 % sia costituito da soldati e contractors stranieri, e che quasi 32.000 morti siano vittime civili, a fronte di 42.100 miliziani antigovernativi.
Questi ultimi due dati potrebbero essere soggetti a correzione, a giudicare dalla vicenda del così detto ‘Kill Team’ che nel 2010 disvelò come anche i soldati USA in Afghanistan avessero preso il vizietto dei ‘falsi positivi’.
Lo stesso vizietto dei loro colleghi dell’esercito colombiano, responsabili dell’assassinio di civili innocenti fatti passare per guerriglieri uccisi in combattimento.
Gli assassini del distretto di Maywand
I componenti del ‘Kill Team’ erano membri della Bravo Company del Terzo Plotone dell’esercito USA di stanza a Maiwand, provincia di Kandahar.
Il 15 gennaio 2010 uccisero con una granata a frammentazione il quindicenne disarmato Gul Mudin, mentre lavorava nel campo di suo padre. Sotto la guida del sergente Calvin Gibbs, ne spogliarono il cadavere e si misero in posa per le foto, fingendo di aver catturato un miliziano. Poi abbandonarono in campagna il corpo nudo.
Un mese dopo, il 22 febbraio, la stessa squadretta fece il tiro a segno su Marach Agha, sordo con problemi mentali, ponendo poi un Kalashnikov vicino al suo corpo per giustificarne l’uccisione. I soldati presero come souvenir frammenti del suo cranio (Calvin Gibbs amava collezionare ossa e denti estratti dai corpi degli afgani morti).Un mese dopo, il 22 febbraio, la stessa squadretta fece il tiro a segno su Marach Agha, sordo con problemi mentali, ponendo poi un Kalashnikov vicino al suo corpo per giustificarne l’uccisione. I soldati presero come souvenir frammenti del suo cranio (Calvin Gibbs amava collezionare ossa e denti estratti dai corpi degli afgani morti).
Il due maggio fu la volta del Mullah Adahdad, ucciso dal Kill Team con una granata.
“E’ stato colpito perché ha intrapreso un’azione aggressiva contro le forze della coalizione“. Così il comandante del plotone Stefan Moye giustificò l’uccisione del religioso disarmato davanti agli anziani del villaggio di Qualaday.
Ma la vera passione dei macellai del Kill Team era la fotografia.
Un giorno trovarono due contadini ammazzati da un’altra pattuglia.
Li appoggiarono a un cippo legandogli i polsi fra di loro, per poi fotografarli con un AK47 e un cartello in grembo con scritto ‘Talebani morti’. In un’altra occasione, oggetto dei loro scatti fu l’oltraggio nei confronti della testa mozzata di un afgano.
Probabilmente i membri del ‘Kill Team’ non sapevano di inserirsi nell’alveo di una lunga tradizione figurativa, tipica di ogni invasione coloniale (a cominciare dalla guerra al brigantaggio dell’Italia postunitaria), tesa alla reificazione del ‘nemico’ ritratto come mera carne, alla riduzione allo stato animale dei corpi nudi, spogliati dalla loro condizione umana e civile.
Chissà da chi avrà preso esempio il Daesh per le sue lugubri messe in scena ?
I componenti del ‘Kill Team’ sono stati condannati da un tribunale militare statunitense a pene varie. Oggi sono quasi tutti fuori, tranne i due più alti in grado.
Nel loro caso la Corte ha deciso che ammazzare civili per gioco è reato. Massacrarli con i bombardamenti aerei no.
Effetti collaterali
Marc Herold, docente presso l’Università del New Hampshire, ha stimato, sulla base di fonti giornalistiche, che solo nel primo anno di Enduring Freedom i bombardamenti hanno ucciso fra i 2.730 e i 3.199 civili (vedi qui e qui).
Il conteggio è superiore a quello riportato nel grafico dell’UNAMA, che però ha il pregio di registrare una serie storica più completa.
Il grafico mostra come il numero delle vittime civili abbia subito un primo forte aumento nel 2006.
Quell’anno il contingente multinazionale ISAF, formato principalmente da truppe britanniche, canadesi, olandesi, australiane e danesi, diede il cambio allo US Army nel sud del paese, rilanciando l’offensiva contro i talebani (vi prese parte anche una task force italiana).
E gli effetti sui civili si videro.
A fine ottobre, un bombardamento ISAF/NATO uccise 90 abitanti nel distretto di Panjwaye, provincia di Kandahar. Il portavoce dell’ISAF/NATO dichiarò che si trattava di 38 talebani.
Sempre a fine ottobre 5 ‘talebani’ arrivarono anche all’ospedale di Emergency a Lashkargah.
“L’uomo che li ha portati qui ci ha detto che le bombe cominciarono a cadere sul loro insediamento lunedi sera. Due sono i suoi stessi figli. Gli altri tre sono bambini Kuchi, i nomadi dell’Afghanistan. Sono stati portati dalla loro sorella maggiore. Lei non ha le parole per dire i loro nomi e la loro età. Lei non ha nemmeno le parole per urlare la sua rabbia“.
Le operazioni dell’ISAF si intensificarono nel 2007, anno in cui le vittime fra i non belligeranti salirono a 1.582, di cui 629 sicuramente attribuibili alle forze filo governative, afgane e straniere.
Il due agosto venne bombardato anche Qaleh, un villaggio sotto il controllo dei talebani, durante un raduno al santuario di Ibrahim Shah Baba. Per l’occasione il Generale Zahir Azimy, esponente del Ministero della Difesa afgano, ebbe a dire che erano stati colpiti più di 100 talebani. Alcuni di questi molto giovani, a giudicare dalla foto qui sotto.
Nel 2007 finirono davanti ai tribunali militari gli autori dei massacri di Shinwar e di Nangar Khel.
Nel distretto di Shinwar, il 4 marzo, un convoglio americano aveva subito un attentato con un’autobomba.
Mentre si allontanavano dalla zona dell’agguato, i marines del convoglio cominciarono a mitragliare indiscriminatamente tutte le auto che incontravano sull’autostrada, lasciando 19 morti e 50 feriti fra i passanti.
A Nangar Khel (provincia di Paktika) il 16 agosto 2007 una pattuglia di soldati polacchi aprì il fuoco sul villaggio con una mitragliatrice pesante. L’attacco provocò la morte di sei civili, tra cui una donna incinta e tre bambini, e il ferimento di altre tre donne.
Entrambi i crimini vennero sottoposti a giudizio nei paesi di provenienza dei militari, perché sia ben chiaro che l’Occidente democratico è patria del diritto e della legalità.
Tanto da poter dare lezioni in tema di giustizia: all’inizio di luglio del 2007 si tenne a Roma la ‘Conferenza sullo stato di diritto in Afghanistan‘, dove gli stessi paesi facenti parte dell’ISAF fecero il punto sulla ricostruzione del sistema giudiziario afgano.
Ma forse avrebbero fatto meglio ad occuparsi della ricostruzione del proprio.
L’anno dopo un tribunale militare USA concluse che a Shinwar “i marines avevano agito in maniera appropriata e secondo le regole di ingaggio”.
Lo scorso febbraio, la sezione militare della suprema corte di Varsavia ha deciso che i soldati polacchi non hanno compiuto un crimine di guerra a Nangar Khel, ma “una negligenza nell’esecuzione degli ordini“.
(Continua)
(*) Questo articolo è stato pubblicato anche su Carmilla on line.
COSA SONO LE “SCOR-DATE” – NOTA PER CHI CAPITASSE QUI SOLTANTO ADESSO.
Per «scor-data» si intende il rimando a una persona o a un evento che per qualche motivo il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna deformano, rammentano “a rovescio” o cancellano; a volte i temi possono essere più leggeri ché ogni tanto sorridere non fa male, anzi. Ovviamente tantissimi i temi, come potete vedere in “bottega” guardando un giorno… a casaccio. Assai diversi gli stili e le scelte per raccontare; a volte post brevi e magari solo un titolo, una citazione, una foto, un disegno. Ovviamente non sempre siamo state/i soddisfatti a pieno del nostro lavoro. Se non si vuole scopiazzare Wikipedia – e noi lo abbiamo evitato 99 volte su 100 – c’è un lavoro (duro pur se piacevole) da fare e talora ci sono mancate le competenze, le fantasie o le ore necessarie. Si può fare meglio, specie se il nostro “collettivo di lavoro” si allarga.
Avevamo pensato (nel nostro 2015 “sabbatico”) di fare un libro, cartaceo e/o e-book con una selezione delle «scor-date» già apparse in “blottega”. E’ rimasta una vaga idea ma chissà che prima o poi…
Il 12 gennaio 2016 si è concluso il nostro “servizio” di linkare le due – o più – «scor-date» del giorno, riproponendo quelle già apparse in blog/bottega nei 2 anni precedenti; e ogni tanto aggiungendone di nuove. Dal 12 gennaio abbiamo interrotto, salvo rare eccezioni come oggi. C’erano 2 ipotesi per il futuro prossimo. Si poteva ripartire con nuove «scor-date» ogni giorno, dunque programmandole qui in redazione: insomma il volontariato (diciamo stakanovismo?) della nostra piccola redazione e/o di qualche esterna/o. Qui in “bottega” ci sarebbe piaciuto mooooooolto di più ripartire CHIAMANDOVI IN CAUSA, cioè ri-allargando la redazione. Come ripartenza c’eravamo dati il 21 marzo, una simbolica primavera… però il nostro “collettivo” non ha avuto gli auspicati rinforzi. Così vedrete le «scor-date» solamente ogni tanto, anziché ogni giorno come ci piacerebbe. Grazie a chi collaborerà, commenterà, linkerà, correggerà i nostri errori sempre possibili, segnalerà qualcun/qualcosa … o anche solo ci leggerà.
La redazione – abbastanza “ballerina” e sempre più mutevole nel tempo, per inevitabili altri impegni – è all’incirca questa: (in ordine alfabetico) Alessandro, “Alexik”, Andrea, Clelia, Daniela, Daniele, David, Donata, Energu, Fabio 1 e Fabio 2, Fabrizio, Francesco, Franco, Gianluca, Giorgio, Giulia, Ignazio, Karim, Luca, Marco, Mariuccia, Massimo, Mauro Antonio, “Pabuda”, Remo, Riccardo, “Rom Vunner”, Santa e Valentina. Ma spesso nelle «scor-date» ci hanno aiutato altre/i oppure abbiamo “rubato” (citando le fonti) qua e là.