Piero Calamandrei: «Trasformare i sudditi in cittadini» cioè…

«rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana»

un ricordo di Daniela Pia

Piero Calamandrei nacque a Firenze il 21 aprile 1889. Volontario nella guerra del 1915-18, come ufficiale di Fanteria, ottenne la promozione a tenente colonnello ma preferì riprendere la carriera accademica. Quando Mussolini salì al potere, e il fascismo si fece dittatura, fu uno degli oppositori più impegnati assieme a Gaetano Salvemini e ai fratelli Rosselli con i quali fondò il Circolo di Cultura di Firenze che, nel 1924, fu distrutto da un’azione squadrista e poi definitivamente chiuso per ordine del prefetto.

Gli fu chiesto di firmare una lettera di sottomissione a Mussolini ma preferì dimettersi dall’incarico universitario che avrebbe ufficialmente ripreso, in veste di rettore, solo alla caduta del fascismo. 

Nel 1942 fu tra i fondatori del Partito d’Azione e collaborò con la Resistenza; dopo la Liberazione fu nominato membro della Consulta nazionale e dell’Assemblea Costituente in rappresentanza del Partito d’Azione.

Nel 1948, quando il partito d’Azione si sciolse, confluì nelle file del partito socialdemocratico e venne eletto deputato. Ma si trovò in dissenso con il Psdi e si oppose alla «legge truffa» (che era stata votata anche con l’appoggio del suo partito). Ne uscì fondando Autonomia Socialista e, nel 1953, prese parte alla fondazione del movimento di Unità Popolare con Ferruccio Parri: e fu anche grazie a queste forze “minori” se la Democrazia Cristiana e i suoi alleati non raggiunsero la percentuale di voti che faceva scattare il premio di maggioranza.

Alla fine del gennaio 1955, a Milano, nei locali della Società Umanitaria, parlando agli studenti che si erano impegnti in un ciclo di conferenze sulla Costituzione italiana affermò: «Questa non è una carta morta, questo è un testamento, un testamento di centomila morti. Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero perché lì è nata la nostra Costituzione»

La difesa della nuova legalità costituzionale fu la bussola della sua esistenza, condotta attraverso le pagine della rivista «Il Ponte», ed espressa anche tramite clamorose prese di posizione. Come nel febbraio del 1956: quando il pacifista Danilo Dolci venne  arrestato per aver organizzato uno “sciopero alla rovescia”  con l’intento di mettere in luce la grave disoccupazione che colpiva la Sicilia, Calamandrei ne prese le difese nel processo, centrando il dibattito sul quarto articolo della Costituzione. Nella sua arringa disse: «Aiutateci, signori giudici, colla vostra sentenza, aiutate i morti che si sono sacrificati e aiutate i vivi a difendere questa Costituzione, che vuole dare a tutti i cittadini del nostro Paese pari giustizia e pari dignità».

Morì il 27 settembre dello stesso anno. Ci rimangono i suoi discorsi e le sue profonde riflessioni a tutela dell’interesse generale in difesa del principio di legalità e della libertà. 

A me preme ricordare quella parte del discorso tenuto il 26 gennaio 1955, nel quale individuava nella mobilità sociale il principale compito della scuola ponendola come organo costituzionale, vitale per la democrazia,  espressione di unità, di coesione e di uguaglianza civica perchè: «Trasformare i sudditi in cittadini è miracolo che solo la scuola può compiere (…) L’articolo 34 della Costituzione dice: “I capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”. E se non hanno i mezzi? Allora nella nostra Costituzione c’è un articolo che è il più importante di tutta la Costituzione, il più impegnativo per noi che siamo al declinare, ma soprattutto per voi giovani che avete l’avvenire davanti a voi. Dice così: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. È compito di rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana: quindi dare lavoro a tutti, dare una giusta retribuzione a tutti, dare una scuola a tutti, dare a tutti gli uomini dignità di uomo. Soltanto quando questo sarà raggiunto, si potrà veramente dire che la formula contenuta nell’articolo 1 – “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro” – corrisponderà alla realtà. Perché fino a che non c’è questa possibilità per ogni uomo di lavorare e di studiare e di trarre con sicurezza dal proprio lavoro i mezzi per vivere da uomo, non solo la nostra Repubblica non si potrà chiamare fondata sul lavoro, ma non si potrà chiamare neanche democratica perché una democrazia in cui non ci sia questa uguaglianza di fatto, in cui ci sia soltanto una uguaglianza di diritto, è una democrazia puramente formale, non è una democrazia in cui tutti i cittadini veramente siano messi in grado di concorrere alla vita della società, di portare il loro miglior contributo, in cui tutte le forze spirituali di tutti i cittadini siano messe a contribuire a questo cammino, a questo progresso continuo di tutta la società. E allora voi capite da questo che la nostra Costituzione è in parte una realtà, ma soltanto in parte è una realtà. In parte è ancora un programma, un ideale, una speranza, un impegno di lavoro da compiere. Quanto lavoro avete da compiere! Quanto lavoro vi sta dinanzi! È stato detto giustamente che le Costituzioni sono anche delle polemiche, che negli articoli delle Costituzioni c’è sempre, anche se dissimulata dalla formulazione fredda delle disposizioni, una polemica. Questa polemica, di solito, è una polemica contro il passato, contro il passato recente, contro il regime caduto da cui è venuto fuori il nuovo regime. Se voi leggete la parte della Costituzione che si riferisce ai rapporti civili e politici, ai diritti di libertà, voi sentirete continuamente la polemica contro quella che era la situazione prima della Repubblica, quando tutte queste libertà, che oggi sono elencate e riaffermate solennemente, erano sistematicamente disconosciute. Quindi, polemica nella parte dei diritti dell’uomo e del cittadino contro il passato. Ma c’è una parte della nostra Costituzione che è una polemica contro il presente, contro la società presente. Perché quando l’articolo 3 vi dice: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana” riconosce che questi ostacoli oggi vi sono di fatto e che bisogna rimuoverli. Dà un giudizio, la Costituzione, un giudizio polemico, un giudizio negativo contro l’ordinamento sociale attuale, che bisogna modificare attraverso questo strumento di legalità, di trasformazione graduale, che la costituzione ha messo a disposizione dei cittadini italiani. Ma non è una Costituzione immobile che abbia fissato un punto fermo, è una Costituzione che apre le vie verso l’avvenire. Non voglio dire rivoluzionaria, perché per rivoluzione nel linguaggio comune s’intende qualche cosa che sovverte violentemente, ma è una Costituzione rinnovatrice, progressiva, che mira alla trasformazione di questa società in cui può accadere che, anche quando ci sono, le libertà giuridiche e politiche siano rese inutili dalle disuguaglianze economiche dalla impossibilità per molti cittadini di essere persone e di accorgersi che dentro di loro c’è una fiamma spirituale che se fosse sviluppata in un regime di perequazione economica, potrebbe anche essa contribuire al progresso della società.
Quindi, polemica contro il presente in cui viviamo e impegno di fare quanto è in noi per trasformare questa situazione presente. Però, vedete, la Costituzione non è una macchina che una volta messa in moto va avanti da sé. La Costituzione è un pezzo di carta: la lascio cadere e non si muove. Perché si muova bisogna ogni giorno rimetterci dentro il combustibile, bisogna metterci dentro l’impegno, lo spirito, la volontà di mantenere queste promesse, la propria responsabilità. Per questo una delle offese che si fanno alla Costituzione è l’indifferenza alla politica, l’indifferentismo politico (…) È così bello, è così comodo: la libertà c’è. Si vive in regime di libertà, c’è altre cose da fare che interessarsi alla politica. E lo so anch’io! Il mondo è così bello, ci sono tante cose belle da vedere, da godere, oltre che occuparsi di politica. La politica non è una piacevole cosa. Però la libertà è come l’aria: ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare, quando si sente quel senso di asfissia che gli uomini della mia generazione hanno sentito per vent’anni, e che io auguro a voi, giovani, di non sentire mai, e vi auguro di non trovarvi mai a sentire questo senso di angoscia, in quanto vi auguro di riuscire a creare voi le condizioni perché questo senso di angoscia non lo dobbiate provare mai, ricordandovi ogni giorno che sulla libertà bisogna vigilare, dando il proprio contributo alla vita politica».


In “bottega” Daniela Pia aveva già scritto – qui: Scor-data: 4 dicembre 1952 – di Calamandrei. Altri post: Quel 25 aprile e oggi – 16, Piero Calamandrei e la difesa della libertà ma vale leggere anche questi due post con alcuni suoi scritti: NON CONFESSARE e IL CIMITERO DEI VIVI

MA COSA SONO LE «SCOR-DATE»? NOTA PER CHI CAPITASSE QUI SOLTANTO ADESSO.

Per «scor-data» qui in “bottega” si intende il rimando a una persona o a un evento che il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna deformano, rammentano “a rovescio” o cancellano; a volte i temi possono essere più leggeri ché ogni tanto sorridere non fa male, anzi. Ovviamente assai diversi gli stili e le scelte per raccontare; a volte post brevi e magari solo un titolo, una citazione, una foto, un disegno. Comunque un gran lavoro. E si può fare meglio, specie se il nostro “collettivo di lavoro” si allargherà. Vi sentite chiamate/i “in causa”? Proprio così, questo è un bando di arruolamento nel nostro disarmato esercituccio. Grazie in anticipo a chi collaborerà, commenterà, linkerà, correggerà i nostri errori sempre possibili, segnalerà qualcun/qualcosa … o anche solo ci leggerà.

La redazione – abbastanza ballerina – della bottega

 

Daniela Pia
Sarda sono, fatta di pagine e di penna. Insegno e imparo. Cammino all' alba, in campagna, in compagnia di cani randagi. Ho superato le cinquanta primavere. Veglio e ora, come diceva Pavese :"In sostanza chiedo un letargo, un anestetico, la certezza di essere ben nascosto. Non chiedo la pace nel mondo, chiedo la mia".

3 commenti

  • Ho la netta impressione che ci vogliono far ritornare sudditi.

  • Grazie, non lo sapevo

  • angelo ruggeri

    L’Art 3 della Costituzione non è stato proposto da Calamandrei ma da Basso su sollecitazione di Togliatti. Calamandrei alla Costituente fu il sostenitore ultra minoritario del Presidenzialismo che l’Assemblea respinse come forma dello stato autoritario … Che si parli di Calamandrei senza mai dire che dall’Assemblea Costituente usci come grande sconfitto per aver sostenuto il presidenzialismo ed essersi opposto ai fini sociali sanciti dalla Carta (disse persino di non capire cosa significa che l’impresa deve perseguire i “fini sociali”, come scritto nell’art. 41) fa parte di una opera di mistificazione continuata e ripetuta, ancor più rispetto all’art. 3 di cui Calamandrei non fu ne autore ne ispiratore …essendo un sostenitore dell’autoritario stato liberale che la nostra Costituzione ha superato cosi come ha superato lo stato fascista ….

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