Povera orsa

articoli di Alessandro Ghebreigziabiher, Nicolai Lilin, bortocal, Marco Ianes, Filipppo Bruni, Annamaria Manzoni

Mi chiamo orsa e sono solo un animale – Alessandro Ghebreigziabiher

Mi chiamo orsa, o almeno è quel che c’era scritto una volta nei libri di scuola o nelle favole, e sono un animale.
Così era un tempo, ma oggi il mio nome è Jj4 e affermano che sono colpevole di un’aggressione mortale.
Dicono che ho ucciso un essere umano, un giovane di 26 anni.
Non posso dire che comprendo fino in fondo la gravità di ciò che ho fatto, ma capisco la sofferenza anche se non sono umana.
Il dolore dei tuoi cari, di chi ti ha messo al mondo  o di chi soltanto ti vuol bene. Questo è un fatto dell’esistere comune a tutti noi viventi, credo. Spero.
Dicono anche altro su di me.
In molti discutono, altri argomentano, e sommariamente condannano anche, taluni.
C’è pure chi mi odia e vorrebbe la mia morte. So che la chiamate in tanti modi, tra cui vendettariparazione e perfino giustizia, come se fosse un’ineludibile necessità per il bene della collettività.
Capisco poco di tutto ciò, lo ammetto.
Perché mi chiamo orsa, o perlomeno così era una volta, e orsa è ciò che sono ancora oggi.
Per tale ragione, guardo le cose dal mio punto di vista come voi le osservate e valutate dal vostro.
Banalmente, il punto di vista di un animale.
Il punto di vista di un animale su un pianeta dove ogni anno vengono macellati 150 miliardi di noi.
In quello stesso anno, nella nazione che ci ospita tutti, si parla tra gli altri di 5 milioni di uccelli trucidati illegalmente, di un milione e mezzo di animali selvatici ammazzati dalle vostre auto sfreccianti sulle strade e dello sterminio di 300.000 cinghiali, altra specie da voi pubblicamente disprezzata di questi tempi.
Ciò nonostante, anche se non capisco il senso neppure di questo, io non vi odio, e credo di poter parlare a nome di tutti gli altri animali di questa terra.
Altrimenti… be’, ve ne rendereste conto non appena uscite di casa.
Perché lo spegnimento della vita altrui con una ragione ben precisa e premeditata, che non siano il procacciamento del cibo o la protezione di se stessi e dei propri figli, è un qualcosa che non riesco neanche a immaginare.
Chiedo scusa di ciò che ho fatto e di quello che non capisco.
Ma che volete farci.
Malgrado i nomi che mi danno sui giornali, io mi chiamo orsa e sono solo un animale…

da qui

 

in difesa dell’orso espiatorio – bortocal

 un animale è colpevole se ammazza un uomo?

e merita la condanna a morte di coloro che, se potessero, manderebbero alla morte anche gli esseri umani considerati colpevoli?

se un animale domestico ammazza un uomo, metti che sia un rotweiller, la legge dice sempre che vi è qualcosa di colposo negli esseri umani, non condanna l’animale, che è irresponsabile per definizione.

è il padrone dell’animale che doveva vigilare e prendere le precauzioni; non sto accusando la vittima, ma anche la vittima deve evitare comportamenti imprudenti, anche se a volte si diventa vittime anche senza averne fatto nessuno.

sono concetti elementari, ma purtroppo siamo alle prese con una minoranza di deficienti al governo, in grazia di una legge elettorale truffaldina e di un sistema mediatico impazzito che esalta la stupidità come la migliore delle virtù.

ma un orso selvaggio ha qualcuno responsabile per lui?

certamente, ed è per questo che vediamo perfettamente applicato all’orso il meccanismo del capro espiatorio, anche se l’animale è sbagliato e dovrebbe essere un capro, mentre caproni sono quelli che colpevolizzano l’orso.

ma dare la colpa all’orso serve egregiamente a nascondere le colpe degli uomini.

. . .

partiamo da una premessa: gli orsi originari in Trentino sono stati praticamente estinti alla fine del secolo scorso: gli abitanti del luogo non li hanno mai amati, anche se la loro immagine tornava buona ad attirare i turisti, e alla fine sono riusciti a sterminarli tutti, dopo secoli di persecuzioni sistematiche e di caccia, anche abusiva.

a questo punto, per il fine di lucro appena detto, qualche politico locale ha pensato di farne venire qualcuno dalla Slovenia.

erano orsi immigrati, ma andavano bene, come vanno bene a questa stessa gente gli immigrati umani, se tenuti in condizione di clandestinità e di semi-schiavitù.

sembra che in Slovenia questi orsi fossero meno abituati ai contatti umani e dunque rimasti a comportamenti naturali e più aggressivi, mentre i poveri orsi trentini originari avevano sviluppato comportamenti molto più schivi e prudenti, per selezione naturale, prima di morire sterminati.

ma naturalmente, se si reintroducono degli orsi in ambienti che ne erano privi, la prima cosa da fare è una informazione adeguata agli umani che frequentano quei luoghi, perché anche gli umani si sono abituati a vivere in un ambiente senza orsi, e non hanno neppure idea di come comportarsi se ne incontrano uno.

ad esempio, circolare con i cani nei boschi dove ci sono potenzialmente orsi dovrebbe essere severamente proibito; e andate a dirlo ai cacciatori…

ma che cosa volete che pensi un orso, o peggio un’orsa con i piccoli, se vede venirgli incontro un uomo con un cane? è ovvio che si sente in pericolo, no?

. . .

tra gli esempi degli sprovveduti frequentatori mettete me stesso, che nelle mie passeggiate su questi monti, mai mi sono posto il problema di un possibile incontro con una simile bestia.

eppure due anni fa ne fu segnalato uno, un cucciolone, ripreso perfino con una video-trappola, peraltro, a 4 o 5 chilometri da casa mia solamente; non se ne è più sentito parlare, ma a febbraio non sono andato, io, a farmi una camminata in solitaria proprio da quelle parti?

attualmente è segnalata un’orsa con tre piccoli tra Valle Sabbia e Trentino, ma sull’altro versante della valle e a qualche decina di chilometri da qui; ma, come si sa, un orso può fare anche più di 20 km al giorno, spostandosi nei boschi.

ora nessuno ha mai fatto una campagna informativa ed educativa per gli escursionisti né in Trentino, dove gli orsi sono stanziali, né in Valle Sabbia, dove vanno e vengono.

e queste sono le considerazioni minime.

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detto questo, non sono un animalista fanatico; dico soltanto che, se si vogliono gli orsi, occorre pensare che non sono quelli dei cartoni animati.

l’attuale degenerazione del pensiero e dei comportamenti di chi ama gli animali come se fossero esseri umani mi lascia meravigliato, se non facesse parte di una irresistibile tendenza alla perdita della consapevolezza della realtà della natura, che è feroce di suo (rileggersi Leopardi, cribbio!).

quindi, se gli orsi sono diventati troppi (ma davvero?), meglio un orso morto, che un orso rinchiuso a vita in qualche recinto che non fa per lui.

ma l’eventuale soppressione degli orsi in eccesso rispetto alla capacità di un territorio di ospitarli non può essere certo il risultato di una specie di processo sommario e di una condanna a morte di un essere sensibile che non ha regole etiche da seguire.

e per calcolare quale è la giusta misura di animali selvatici che un ambiente può ospitare senza danno, occorre anche prevedere qualche limitazione in più alla presenza umana, almeno in certe aree.

insomma, la natura è tanto degli uomini quanto degli orsi.

e non conta nulla che la bibbia dice il contrario, e afferma che il mondo è stato creato per noi.

a questo punto meglio l’induismo, che vede nell’animale un uomo reincarnato.

ecco, se fossimo induisti, l’idea di condannare a morte un orso ci farebbe semplicemente orrore, e a me lo fa, sappiatelo.

da qui

 

 

Catturata l’orsa JJ4: ora rischia di impazzire al lager del Casteller. La storia si ripete – Marco Ianes

 

E così l’hanno presa, l’orsa JJ4 – e a quanto pare avevano pure preso i cuccioli, che poi hanno rilasciato al loro destino, senza la mamma!

Triste la vicenda, ovviamente, con la morte di un povero giovane, che non ha alcuna colpa, sia chiaro. Ma con questa vicenda si palesano le grandi criticità della gestione del progetto Life Ursus. Un progetto che prevedeva, oltre al ripopolamento degli orsi – che, ricordo, sono sempre esistiti in Trentino, ma all’epoca erano in pochissime unità; ebbene, a parte l’immissione di una decina di esemplari, nel 1999, tutti gli altri attuali sono nati e cresciuti proprio qui in Trentino.

Ma le carenze sono evidenziate dalla mancata attivazione del resto del progetto:

  1. Creazione di corridoi faunisticiche avrebbero permesso alla popolazione ursina di espandersi su tutto l’arco alpino, riducendo così la densità e di conseguenza la probabilità di incontro con l’uomo;
  2. Attivazione di un approfondito sistema di monitoraggiodella popolazione ursina, con radiocollari e sistemi di controllo che avrebbero determinato una corretta e approfondita conoscenza di come e dove si muovono gli orsi;
  3. Revisione del piano di gestione dei rifiuti, specie quelli organici, con il posizionamento di opportuni bidoni anti-orsoper evitare l’avvicinamento degli animali ai centri abitati vicini al bosco;
  4. Opportuna campagna informativa per chi va nel bosco, con brochure e cartelli di rilievo per segnalare presenza e modi di comportamento;
  5. Programma di formazionenelle scuole, di ogni ordine e grado, per abituare alla convivenza consapevole con l’orso.

Sapete quante di queste cose sono state fatte? Praticamente nulla; ne è testimonianza un video girato proprio in questi giorni, per documentare la situazione gestionale, proprio nel paese della tragedia…

continua qui

 

 

 

 

Uomini e natura – Filippo Bruni

In queste ore, chiusa in una gabbia, un’orsa patisce la tortura inflitta da una umanità sconsiderata. In queste ore, strappata ai suoi cuccioli, un’orsa subisce la punizione disumana di chi ancora crede che la natura vada dominata e non ascoltata, guidata e non seguita. Questa è una breve riflessione sul rapporto fra uomo e natura.

L’uomo vive nella natura, ma non ci vive esattamente come gli altri animali. La sua integrazione al mondo naturale è stata da sempre un po’ più difficile. Sarà che non abbiamo peli sulla pelle, che le nostre unghie hanno davvero poco a che fare con degli artigli, che non sappiamo arrampicarci, e che non siamo nemmeno particolarmente veloci, ma una cosa è certa però: l’uomo, così com’è, non basta a sé stesso. Morirebbe di freddo se non si cucisse un vestito, di fame se non sapesse coltivare la terra. Per fortuna però le mancanze del nostro corpo sono state colmate dall’ingegno della nostra mente. È proprio lì, fra un orecchio e l’altro, che abbiamo tutta la nostra forza, è proprio lì che abbiamo il nostro dono e la nostra condanna. Ed è davvero incredibile pensare che quella stessa cosa in virtù della quale sappiamo innalzarci e risolvere mille problemi, sia anche lo strumento del nostro abbrutimento, con cui violentiamo ciecamente i nostri simili e il mondo che ci circonda.

Ma torniamo all’orsa Jj4: senza colpa per essere nata in una valle del Trentino, senza colpa per aver aggredito quella che riteneva essere una minaccia per i propri cuccioli, senza colpa insomma per aver fatto quello che la natura le ha insegnato a fare. Sono tante le domande che in queste ore ci passano per la testa. Ci chiediamo se abbiamo sbagliato a reintegrare gli orsi nei boschi del Trentino e riflettiamo su quanto sia stato colpevole illuderci di poterne controllare la natalità e contenere il numero a nostro piacimento. Le questioni che si possono e si devono aprire sono molte, e riguardano la possibilità di una convivenza, l’opportunità del reintegro, e le modalità di contenimento del pericolo. Comunque la si voglia pensare però, un fatto senz’altro rimane certo: quest’orsa non ha colpe. Quest’orsa non è infatti più pericolosa delle altre, e perciò non merita più delle altre la morte, né tanto meno la tortura a cui in questa disumana cattività, lontano dai suoi cuccioli, la stiamo costringendo.

Condannare l’orsa per aver ucciso un uomo significherebbe trascinarla davanti a un tribunale umano, come se un animale fosse punibile per aver trasgredito una legge che non è la sua. Come se fosse punibile, in altre parole, per aver rispettato la propria natura.

Non voglio essere frainteso: il dolore per la morte di Andrea Papi è profondo e chiunque di noi si sarebbe potuto trovare al suo posto. La sofferenza di una morte così tremenda non è neppure pensabile. Uccidere quest’orsa però non riporterà in vita nessuno, ma aggiungerà al dolore di una morte la vergogna di un’uccisione.

Sarebbe doloroso costatare che in qualche modo stiamo mettendo in atto una vendetta, ma ancora più doloroso è il sospetto che in questa vendetta si celi qualcosa di addirittura peggiore, qualcosa di più disonesto: uccidere l’orsa potrebbe essere infatti il tentativo di illudere i cittadini che il problema della convivenza con gli animali selvatici sia stato prontamente risolto. Il sacrificio di un singolo animale avverrebbe così in nome della tranquillità di molti uomini, con buona pace degli animalisti, e l’orsa Jj4 diverrebbe il capro espiatorio di una colpa tutta nostra. La questione della convivenza con gli orsi invece è tutt’altro che chiusa con questa cattura, ma al contrario proprio con questa cattura va aperta e va discussa, in modo serio e razionale.

È davvero giunto il tempo di riflettere su quanto gli equilibri della natura siano delicati, su quanto noi uomini siamo fragili davanti ai rivolgimenti che possono conseguire agli interventi poco saggi che facciamo su di essa, su quanto sia necessario rispettare ogni singolo frammento di flora e di fauna, ed educarci a una visione organica del mondo naturale. E senz’altro l’uccisione dell’orsa Jj4 non rappresenterebbe un passo in questa direzione.

L’atteggiamento imperialista con cui ci siamo abituati ad abitare il mondo va definitivamente abbandonato: abbiamo l’urgenza improrogabile di capire che la natura non è più qualcosa da dominare e controllare, ma è qualcosa a cui, ora più che mai, dobbiamo tentare, rispettosamente e cautamente, di reintegrarci.

da qui

 

Quella colt sempre carica – Annamaria Manzoni

Cosa ci fanno gli orsi nei boschi trentini? Ci sono sempre stati? In realtà la loro presenza è ricominciata nel 1999, quando il primo di loro fu importato dalla Slovenia: da allora, con soldi Ue, decine di orsi sono stati anestetizzati, catturati, deportati per rendere più affascinanti montagne già incantevoli. Quel progetto non è stato accompagnato da investimenti in cultura e informazione sul territorio. Cosa è accaduto in questi anni? Tante cose: Maurizio Fugatti, ad esempio, nel 2011 ammise di non riuscire proprio a capire la ragione dell’intervento dei NAS, arrivati a rovinare il banchetto a base di carne d’orso (sloveno) organizzato per una festa dei leghisti; oggi, come presidente della Regione Trentino Alto-Adige, ha già decretato la condanna capitale all’orsa che ha provocato la morte di Andrea Papi, preannunciando anche l’eliminazione di altri 50, ma forse 60, ma, secondo l’ultima conferenza, meglio 70 “esemplari”, proprio come nei film western, quando il forestiero non gradito infastidiva e dalla fondina si estraeva la colt, sempre carica. È accaduto anche che migliaia di cacciatori abbiano provocato in ogni stagione decine di vittime umane. Infine, è accaduto che si è smesso di attribuire agli orsi nomi di battesimo, meglio designarli con sigle, in fondo sono soltanto oggetti.

La drammatica morte di Andrea Papi in Trentino, ad opera di un orso, desta lo sgomento e il grande cordoglio che la perdita di una giovane vita porta con sé: il dolore, lungi dall’ostacolare, esige la giustizia che può solo derivare dall’analisi delle situazioni che l’hanno determinata. È quindi necessario impedire che questa morte divenga il lasciapassare per le decisioni della Regione Trentino Alto Adige, presidente Maurizio Fugatti, che, con la rapidità dell’azione che precede il pensiero, hanno decretato la condanna capitale all’orso assassino (in realtà la diciassettenne orsa JJ4) e a due suoi conspecifici “problematici”, preannunciando altresì l’eliminazione di altri 50, ma forse anche 60, ma, secondo l’ultima conferenza, meglio 70 “esemplari”. La condanna (che sta mobilitando le forti proteste delle associazioni animaliste ed è al momento sospesa dal TAR, su esposto della LAV) è stata comminata con una rapidità che può derivare solo dalla convinzione che la scia di paura e di emotività sollevata dall’episodio possa travolgere e cancellare quel genere di interventi critici, vale a dire ragionati, che già nel passato avevano ostacolato analoghe decisioni.

Per altro sono gli stessi genitori di Andrea, pur nel mezzo della dolorosissima tempesta emotiva che li sta travolgendo, a esigere verità e ad opporsi allo scaricabarile sull’animale, chiedendo a gran voce giustizia, vale a dire assunzione di responsabilità da parte di chi responsabile è.

La logica di fondo di quanto sta succedendo è quella ben praticata secondo cui ogni e qualsivoglia animale deve essere considerato al servizio dei desiderata di noi umani, autorizzati a disfarcene nel momento stesso in cui non risultano più rispondenti alle nostre aspettative. Quando questo succede, la soluzione è quella che dilagava nei vecchi film western: quando il forestiero non gradito infastidiva, dalla fondina si estraeva la colt, sempre carica perché in questo mondo malvagio è bene non distrarsi mai, e si sparava, eliminando il problema insieme al suo portatore: il diritto era ed è quello del più forte, universalmente riconosciuto in territori dove le idee sono forse poche, ma ci si è profondamente affezionati.

Per capire cosa ci facciano gli orsi nei boschi trentini, va ricordato che la loro presenza data dal 1999, quando il primo di loro ci fu importato dalla Slovenia, in omaggio al progetto LIFE URSUS. Masun (questo il suo nome) fu seguito da tanti altri, come lui anestetizzati, catturati, trasportati a vivacizzare e colorire con la propria grande mole il paesaggio montano per altro già universalmente considerato incantevole: progetto antropocentrico che ha visto splendidi animali usati come oggetti di “ripopolamento”, da spostare in cambio di generosi contributi economici dell’unione europea, nella evidente convinzione che avrebbero abdicato ai loro istinti riproduttivi, quelli che hanno oggi portato il loro numero a un centinaio, e alle loro caratteristiche di specie, comportandosi come ospiti garbati, attenti a non infastidire quegli umani che tanto gioiosamente avevano decretato la loro immigrazione obbligatoria.

Nel corso degli anni a seguire, alcuni casi sono saliti alla ribalta della cronaca: ci fu l’orso Bruno, deliberatamente ucciso (era il 2006), perché aveva avuto l’inaccettabile idea di sconfinare in Baviera dove si era reso responsabile dell’uccisione di capi di bestiame, togliendo così il monopolio agli umani, gelosissimi della loro esclusiva. Nel 2014 fu Daniza, che, per avere cercato, come ogni buona madre umana o nonumana, di difendere i suoi cuccioli, fu destinata ad una cattura, eseguita con tanta poca perizia da causarne la morte. Di altri orsi si è poi deciso l’imprigionamento a seguito di minacce ad umani, benché mai davvero provate. Nel frattempo si era già prudentemente smesso di attribuire loro nomi di battesimo, facilmente memorizzabili e capaci di risvegliarne, insieme al ricordo, anche le vicende dei grandi soprusi patiti, preferendo designarli con sigle neutre e burocratiche (M62, MJ5…): il nome designa un individuo, una sigla soltanto un oggetto. Scelta rivelatasi indovinata visto l’evolversi delle situazioni, che sono andate prendendo forma ogni qual volta un orso ha seguito le proprie inclinazioni e i propri istinti, anziché adattarsi diligentemente alla tipologia di orso Yoghy, gigante buono e inoffensivo interessato al massimo ai cestini da pic nic dei turisti nel fantastico parco di Jellystone: questo era forse nelle previsioni delle autorità trentine. F43 è stata uccisa durante una cattura ancora una volta eseguita malamente; KJ2 abbattuto perché colpevole di avere attaccato e lievemente ferito un settantenne e non fa niente se il cane di quest’ultimo lo aveva probabilmente spaventato; il giovane maschio M57 spostato in un parco zoo in Ungheria….

La tragica morte del giovane runner è bene rivisitata dagli esperti in un quadro di imperdonabile ignoranza e superficialità delle autorità: Walter Ferrazza, presidente del Parco Adamello Brenta, denuncia che il progetto Life Ursus esigeva, ma non ha avuto, investimenti in cultura, informazione e comunicazione; le autorità si sono invece limitate ad opporre gli orsi alle persone, sostenendo il distacco della nostra specie dal resto del mondo animale, atteggiamento tanto ingiusto quanto perdente. Lo zoologo Bruno Cignini richiama l’indole solitaria e schiva degli orsi, il cui ultimo desiderio sarebbe andare alla ricerca di contatti con umani: indole talmente conosciuta che orso è per antonomasia la persona che convintamente rifugge la compagnia dei propri simili, prediligendovi una orgogliosa solitudine.

Purtroppo all’approccio culturale e olistico degli studiosi continua ad opporsi quello del presidente Fugatti, che, tolti i freni inibitori all’espressione della sua insofferenza nei confronti del mondo animale, afferma “Non mi preoccupa il benessere degli animali e come verranno catturati. E non mi preoccupa neanche se i nostri organi dovessero sbagliare animale nelle azioni che fanno per identificare il soggetto”; “Abbattiamo questi tre qua” che poi ce ne saranno altri di cui gli animalisti affondati nei salotti televisivi potranno occuparsi. Insomma se ne frega proprio della vita e della morte degli animali, e rilascia dichiarazioni che risultano pleonastiche alla luce dei suoi trascorsi: era il 2011 quando ammise di non riuscire proprio a capire la ragione dell’intervento di quei pedanti dei NAS, arrivati a rovinare il banchetto a base di carne d’orso (sloveno, se può interessare) organizzato per una festa dei leghisti, i quali, frustrati nell’appagamento dei loro appetiti (alimentari) più intensi, minacciarono (ma non attuarono) niente meno che l’uscita dal governo.

La condanna a morte di JJ4, che a detta degli esperti non sarebbe risolutiva, e a detta di chi aborre ogni sopruso appare ingiusta, ha il sapore di una reazione punitiva, che implicitamente riconosce all’animale, dietro l’uccisione di un uomo, la capacità di intendere e volere e quindi la responsabilità dei propri atti, da giudicare codice penale alla mano, un codice penale che contempla la pena di morte. Una riedizione di quanto avveniva nel Medio Evo quando gli animali, nel caso in cui avessero provocato la morte di qualcuno, venivano portati nei tribunali, sul banco degli imputati, esattamente come le persone: così maiali, cavalli, asini ed altri ancora subivano condanne crudelissime, addirittura precedute da supplizi, esattamente come i loro coimputati umani. Alla fine bisognerà pur decidere: nella nostra testa e nei nostri comportamenti, gli animali sono quegli esseri a noi assoggettabili perché inferiori, incapaci di pensiero, pericolosi e ipodotati; o invece esseri superiori dotati di etica, di morale, in grado di valutare la gravità delle proprie azioni e quindi conseguentemente punibili? Al momento la confusione sembra regnare e dirigere un comodo ondivagare tra opposte convinzioni, a secondo della convenienza.

Forse lo stesso quesito andrebbe posto a proposito dei cacciatori, i quali nei luoghi della natura provocano in ogni stagione decine di vittime umane – a fronte della drammatica morte di Andrea Papi ad opera di un orso, unica in 24 anni, 354 sono le vittime umane dei cacciatori dal 2007 ad oggi; quelle nonumane infinite – senza che neppure un sussulto scuota le giunte regionali, che si comportano come davanti all’imponderabile da accettare, così come si fa con i fenomeni naturali, valanghe, inondazioni, smottamenti e affini. In fondo i cacciatori stessi dovrebbero sentirsi offesi nell’essere equiparati a disgrazie naturali, tanto che nel loro caso non si invocano provvedimenti seri: basterebbe solo un divieto di caccia. Pensiero stupendo, ma irricevibile dalla propensione macha di una minoranza di persone molto piccola, ma agguerrita e potente; incompatibile poi con gli interessi economici di tante lobby amiche.

L’atteggiamento nei confronti degli orsi è per altro la fotocopia di quello che definisce il nostro rapporto con tante altre specie.

Si pensi alle nutrie: importate dal Sud America per fare pellicce, divenute inutili quando la moda non le prese più in considerazione, rilasciate in natura come animali protetti. Quando si prese atto che potevano recare problemi scavando e rodendo sulle rive dei corsi d’acqua, la soluzione fu quella di promulgare una legge che da un giorno all’altro (era l’11 agosto 2014) le trasformò da specie protetta a specie nociva: da quel momento lo sterminio con ogni mezzo è non solo permesso, ma incentivato con premi in denaro per ogni cadavere presentato dai sempre solertissimi cacciatori, affiancati da nuovi volontari, giustizieri del giorno e della notte dell’animaletto designato dalla legge, con una acrobatica virata mentale a 180 gradi, pericoloso devastatore del territorio. Il tutto in sprezzo totale delle diverse strategie offerte dagli esperti.

E si può parlare dei cinghiali, costretti a entrare nelle città perché privati dei loro luoghi di vita e attratti da una gestione delle immondizie che dovrebbe solo far vergognare le amministrazioni: unica soluzione prodotta, la loro uccisione.

Si potrebbe continuare con il castorino euroasiatico, appena ricomparso sul nostro territorio, ma per il quale il ministro dell’ambiente si è già prontamente mobilitato invocando un piano urgente di rimozione: rimozione? “Chiamare le cose con il loro nome è il primo atto rivoluzionario” diceva Rosa Luxemburg. Allora forse meglio sterminio.

E via dicendo.

Insomma la vicenda degli orsi in Trentino porta prepotentemente alla ribalta il nostro rapporto con gli altri animali, rapporto in cui esplode tutto il nostro antropocentrismo: anche quando si tratta di animali che ci sono cari perché custodiscono la fantasia di un’amicizia tra noi e loro sognata nel nostro immaginario infantile, ma sempre boicottata nel nostro delirio adulto di onnipotenza, lo sono solo fino al punto in cui non ci arrecano disturbo. Se lo fanno, allora l’eliminazione è la nostra risposta.

Dal momento che gli animali nonumani uccisi ogni anno per alimentazione, caccia, pesca, vivisezione, quelli imprigionati, modificati, estinti si contano in centinaia di miliardi, risulta per altro stupefacente che la vita di una o pochi orsi riesca a mobilitare l’enorme attenzione in atto. Se ci si interroga su questo apparente paradosso, la risposta si trova forse nel valore simbolico di JJ4 e degli altri: sono lì a parlare della natura, dei suoi ritmi, della vita che vi pulsa dentro, scandita dal tempo e dalle stagioni. Difficile tifare per l’altra parte, quella umana, marcata da strabordante arroganza nello spadroneggiarli quei ritmi.

Nella difesa della grande mole di JJ4 pulsa in questo momento almeno un briciolo della nostra capacità di restare umani. “Mi rivolto, dunque siamo” diceva Camus: facciamolo contro il sopruso, nella difesa di tutti gli offesi, gli umiliati, i traditi che muoiono di indifferenza e di ingiustizia.

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Redazione
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