Quale sindacato per difendere davvero chi lavora?

La risposta di Mauro Antonio Miglieruolo a Gian Marco Martignoni

 

PREMESSA DELLA BOTTEGA

Dopo l’articolo Covid, biopotere, individualismo ultrà – ovvero «Una discussione molto accesa nella sinistra francese» – fra i commenti c’è stato un dialogo (difficile) con Gmm (ovvero Gian Marco Martignoni) e Mam cioè Mauro Antonio Miglieruolo a proposito della Cgil … e non solo. Qui sotto la replica di Man, a partire da queste parole (di Gmm): «Caro Miglieruolo, proprio perchè ti stimo – notevole il tuo scritto su L.Althusser (che è stato ospitato anche su sinistrainrete) – devo essere franco, non condivido il tuo punto di vista, e poichè le critiche alla Cgil sono moneta corrente, non sono per ignorarle, perchè probabilmente in molti si aspetterebbero dalla Cgil molto di più di quello che normalmente svolge su più piani dell’attività sindacale, contrattuale e negoziale. Un’aspettativa legittima, giacchè , giusto per la cronaca, chi ti scrive storicamente ha sempre militato, e milita tutt’ora, nelle fila della sinistra sindacale in Cgil, poichè partendo dalla centralità marxista della contraddizione capitale-lavoro ne ho fatto discendere tutta la mia storia sindacale e politica. Pertanto, se una organizzazione ha un compito pedagogico, non può raccontare balle ai lavoratori e alle lavoratrici. Adesso sono in pensione, ma avendo fatto migliaia di assemblee nei luoghi di lavoro, compreso da segretario confederale dal 2002 al 2010 anche il pubblico impiego ( che conosco bene ),avrei detto quello che hai sentito dire da Maurizio Landini. Ovvero, poichè non stiamo scherzando, che siamo per l’obbligo vaccinale, e che il gren-pass non comporta alcuna lesione dei diritti costituzionali, come Massimo Villone ha illustrato più volte su Il manifesto. Ovviamente ho il massimo rispetto intellettuale per Giorgio Agamben e Massimo Cacciari, ma non condivido una virgola delle loro argomentazioni, che giudico siano anti-marxiste e anti-materialisiche. Comprendo che è dilagato l’individualismo possessivo neoliberale , unitamente ad una de-sindacalizzazione che fa spavento, se solo penso a quando nel 1979 sono stato eletto delegato sindacale per la Fiom-Cgil in una fabbrica di 425 dipendenti. Comprendo che tramontati i partiti di sinistra, sia vecchia che nuova, la qualità dei nuovi delegati e delegate ne ha per forza risentito. Non è colpa loro, giacchè la mia crescita sindacale non sarebbe stata la medesima se il Pdup per il comunismo non mi avesse dato quel completamento sul piano della formazione, unitamente alla lettura quotidiana de Il manifesto, fondamentale per superare i limiti della formazione sindacale ( a cui comunque debbo molto, ma mi dilungherei eccessivamente ). Pertanto, in un’assemblea di fabbrica avrei spiegato che la sospensione dal lavoro non sarebbe durata solo con la scadenza di fine anno, ma avrebbe rischiato di protrarsi anche nel 2022, dato che non sappiamo quando terminerà , uso i termini del dottor Horton, l’emergenza sindemica. Come sai, credo, l’ha spiegato molto bene Maurizio Pallante sempre su il manifesto, tutti i ricorsi promossi anche dai Cobas della scuola sono stati respinti dalla Corte Costituzionale sulla base del combinato disposto degli articoli costituzionali in materia dell’inderogabile principio della solidarietà e della tutela della salute collettiva. Da leninista ho sempre diffidato dei grilli parlanti, e soprattutto, mi riferisco a Piero Bernocchi, di coloro che non avendo una solida base teorica marxista, e collocandosi su un versante decisamente massimalista,rivendicavano , penso te lo ricordi,il salario europeo. Senza specificare se quello della Grecia o del Portogallo, invece della auspicata Germania.Questi grilli parlanti possono solo ingenerare confusione, e dare indirizzi sbagliati ai lavoratori e alle lavoratrici , a cui un buon sindacalista deve saper dire di no quando è no, per non illuderli inutilmente. Basta vedere come è finita al porto di Trieste».

Una risposta si rende necessaria. Per rendere grazie all’impegno profuso da Martignoni nello stendere il lungo controcommento di cui sopra… ma anzitutto perché in esso vengono investite questioni politiche cruciali per la ricomposizione dell’unità di classe, in vista dell’ascesa del proletariato alla condizione di classe in sé (ascesa che appare, ma forse non è, ancora lontana). Si tratta di questioni decisive non risolte in quanto la parte politica alla quale appartengo non esiste più (se non come sterili istanze di questo o quell’intellettuale); e non è quindi nemmeno in grado di porle. Si tratta di equivoci che a lungo affliggeranno il dibattito, essendo il riflesso non della soggettività di questo o quel militante, ma delle divisioni che sono nel proletariato; frutto a loro volta dell’instancabile lotta ideologica che la borghesia conduce. Naturalmente investirò in questa risposta solo quelle attinenti, o vicine, al tema che inizialmente ho sollevato. L’aggressione politica, ideologica e infine anche fisica ai lavoratori del porto di Trieste. Nonché l’aggressione economica, il pagare per poter lavorare (cito Landini), contro la generalità dei lavoratori. Certo che se non si è su questo piano, il piano del “giù le mani dal salario!” e “come osate colpire in modo tanto subdolo il lavoro?” ogni confronto diventa sterile: colloqui tra sordi. Personalmente non ritengo legittimo, anzi criminale, ogni iniziativa tendente a ingabbiare, danneggiare o comunque colpire chi lavora.

Rendere grazie: l’esistenza di militanti che hanno dedicato la loro vita (o parte della loro vita) ad aiutare, nei limiti delle loro possibilità, i lavoratori nella loro lotte quotidiane contro lo sfruttamento, la dice lunga sulla forza che il proletariato ancora mantiene. Sul prestigio che non è solo riflesso del passato, ma delle grandi lotte post belliche in difesa della democrazia e per una più equa divisione delle risorse. Circolava allora, nei primi tre decenni del dopoguerra, fino a metà degli anni ’70, la concezione dell’organizzazione come Sindacato di Classe. Un sindacato non con vocazione rivoluzionaria però capace, se era negli interessi dei lavoratori, di porsi obiettivi in radicale opposizione all’esistente. Porseli sia nei casi nei quali si profila la possibilità di realizzarli; sia quando le prospettive per il loro raggiungimento risultino essere lontane nel tempo. Importante era iniziare, enunciarle come caratterizzanti la linea della CGIL, ribadirle in ogni occasione di lotta, in ogni confronto politico, in faccia a qualsiasi avversario. Un esempio dovrebbe bastare: l’affermazione della dignità del lavoro e dei singoli lavoratori, obiettivo che richiedeva tempi lunghi, ma la cui enunciazione e poi pratica politica costituiva non solo una discriminante rispetto alle altre forze in gioco, ma un elemento di sviluppo radicale della coscienza politica di massa. Anche un tema che alla lunga avrebbe portato largo consenso al sindacato, giustificando per altro eventuali sue forti prese di posizione. All’inizio sicuramente molti avranno pensato fossero velleitarie. La CGIL non ha badato ad altro che ai tempi, ai modi di perseguire tale obiettivo. Senza colpi di testa e fughe in avanti. Pazientando. Sapendo quando era il momento di colpire e quando arretrare. Spiegando sempre i motivi di questo arretramento (come rivendica giustamente Martignoni). E dicendo no quando occorreva dire di no, che in buona sostanza vuol significare frenare l’impazienza delle avanguardie (come giustamente rivendica Martignoni) ma senza sottacere che si trattava di segnare il passo, che l’obiettivo rimaneva quello; e che si aspettava solo il momento giusto per riprendere la controffensiva. Controffensiva che poi nei fatti veniva preparata e nuovamente ripresa. Senza attendere che i tempi miracolosamente ne offrissero la possibilità. Creando con la propria perseveranza, la prudenza e la fermezza la realizzazione di tali possibilità. Mantenendo fermo il proprio punto, difendendolo in faccia a chiunque, anche i moderati che pur militavano nella GCIL.

In quest’ottica appare estremamente critica e criticabile la presa di posizione del compagno Landini, che aveva un po’ troppo frettolosamente dichiarato che i padroni dovevano scordarsi di chiedere ai lavoratori di pagare per poter lavorare. Presa di posizione onesta, giusta, condivisibile, NECESSARIA. Una presa di posizione però imprudente, che non teneva in giusto conto la possibilità di mantenerla; sia in considerazione delle forze in campo, sia delle contraddizioni nelle quali il sindacato sarebbe potuto cadere perseguendola. Tuttavia, una volta enunciata, sarebbe stato ancor più onesto, giusto condivisibile e NECESSARIO, mantenerla. Avviando da subito campagne di “politicizzazione”. Promuovendole non come iniziativa di un singolo illuminato, pur se importante (il Segretario Generale!) ma come espressione della totalità del sindacato; la quale avrebbe dovuto esprimersi con chiarezza e maggiore pervasività sulla natura regressiva del piano strategico nascosto dietro il green pass (nome orrendo) che se pur violava i soli diritti di una piccola parte dei lavoratori costituiva un brutto precedente valido per tutti: oltre a permettere ai padroni di scremare gli obiettanti irriducibili alla logica padronale, aveva validità psicologica regressiva, tale da far sentire il lavoratore indifeso, esposto al vento di ogni decisione di Confindustria. Spiegando nello stesso tempo i perché e per come della difficoltà a trasformare la presa di posizione in azione vincente. Allargando inoltre la prospettiva per permettere di far vedere che il particolare del green-pass nasconde il generale di una ennesima offensiva condotta dal padronato contro tutto il lavoro, offensiva della quale Landini ben conosce i lineamenti (li conosciamo tutti: o meglio tutti coloro che stanno dalla parte della democrazia e del lavoro): riforma regressiva della tassazione, ulteriore liberalizzazione del mondo del lavoro; precariato a go go; impunità dei funzionari; criminalizzazione di tutti coloro che pongano in atto comportamenti disubbidienti, in contrasto con qualunque decisione padronale.

Come non sollevare alti clamori, procedere alla mobilitazione anche dei soli militanti, facendo pagare al padronato il più alto prezzo possibile? Volantinando sui posti di lavoro e nelle piazze per denunciare la vergognosa opera di repressione contro i portuali di Trieste? Come non avvedersi che quell’aggressione violenta, disgustosa, costituiva un’aggressione contro la pratica dei picchetti? La sostanziale negazione del diritto del lavoro di organizzarsi per lottare?

Ma non è che Landini – questa la domanda giusta, alla quale occorrerebbe dare una giusta risposta – e con lui tutta la GGIL (della linea degli altri sindacati mi preoccupo poco) siano prigionieri della concertazione praticata fino a oggi? Che non hanno né sanno di prospettive differenti? Quali a esempio quella di avviare un lavoro di lungo respiro per riallacciare i rapporti allentatissimi con le masse? Ma anche con la propria “base” che segue sempre più distrattamente? Allentamenti estesi anche a quelle masse che una volta venivano chiamate “profonde” ed erano decisive nel gioco politico e che oggi – impossibile immaginarlo anche solo una trentina di anni fa – si sentono meglio rappresentate dalla destra? Consideriamo inoltre le condizioni di partenza e cioè l’egemonia sostanziale della CGIL nelle fabbriche, erosa da tutto quello che dalla metà degli anni ’70 in poi è avvenuto. Se questa egemonia non esista più una ragione dovrà pur esserci. Avranno contato le posizioni oltranziste del padronato che trovavano sostegno oggettivo nelle posizioni di alcuni sindacalisti che, di fronte ai tentativi di resistenza dei lavoratori al continuo di aggressioni che subivano, dichiaravano senza vergognarsi «anche se il 90% dei lavoratori non è d’accordo noi persevereremo nella nostra linea». Immaginate cosa possa essere successo nell’animo dei lavoratori! Poiché queste dichiarazioni facevano seguito al tradimento confederale del 1980 e si aggiungevano ai voltafaccia dei governi di unità nazionale, nonché all’accettazione di fare del problema del terrorismo solo una questione di ordine pubblico. E gli immani problemi posti dalla continuità del regime democristiano con quello fascista? L’espansione dell’evasione fiscale e di quella molto più importante dell’evasione contributiva? Il prevalere della corruzione eccetera. Ogni volta che i lavoratori entravano in contraddizione con la linea ufficiale della CGIL il sindacato rispondeva facendo muro; accampando sempre la necessità di prudenze e arretramenti, avallando le scelte di fondo del padronato. Può pure capitare che, una tantum, il 90% delle masse vada contro la decisione dei vertici. Quando la divaricazione si ripete e inizia a nascere un pulviscolo di sindacati, memtre la destra riesce a entrare sui posti di lavoro, non è più questione di prudenza, di tattica e di sincerità con le masse. Non porsi il problema di riesaminare la linea, di correggerla e avviare un processo di rilancio del sindacato è puro masochismo. Giustificare in qualsiasi modo questa tattica è smettere di ragionare come militanti, è diventare a tutti gli effetti funzionari, sindacalisti a metà, o a un quarto.

Non è sufficiente dirsi che si ha ragione, per avere ragione. Occorre una verifica esterna, offrire spiegazioni alle masse, attenderne la risposta. Che probabilmente non sarà una risposta articolata, quale quella che può produrre un organismo con una vasta esperienza di lotta e con organi addestrati a fornire queste risposte. Ma lo sarà indirettamente, attraverso una crescita della disponibilità a lottare, con la crescita delle adesioni al sindacato, con l’avanzamento delle forze politiche progressiste. Quando si assiste al contrario, a un progressivo rifugio nella passività, alla manifestazione crescente di sfiducia nella direzione confederale, i campanelli d’allarme dovrebbero scattare. Non si è sulla buona strada. Occorre cambiare. Se non si è riusciti a spiegare le proprie ragioni, è del tutto evidente l’esistenza di carenze nella linea. Correzioni di linea che le precedenti e attuali direzioni del sindacato, a partire almeno da Lama, non hanno fatto e non hanno alcuna intenzione di fare. Solo far passare una linea, non produrre coscienza: non ristabilire il legame organico con le masse. Imporre una strategia sempre più lontana dalla coscienza e dagli umori dei lavoratori.

Pazzesco. Suicidio sindacale assicurato. L’unica assurda via d’uscita all’indebolimento conseguito è stata individuata nel praticare il moderatismo sindacale, una linea che mentre sostanzialmente accettava le prospettive padronali, tentava di limitarne le rivendicazioni (dopo il 1980 c’è un sindacalismo antioperaio confindustriale). Un limite che veniva posto per necessità, per timore di una crisi generale del sindacalismo; non per raccogliere le forze in vista di un futuro rilancio dell’offensiva antipadronale. Landini – lo riconosco – sei bravo ma non abbastanza bravo da poter essere riconosciuto degno rappresentante degli interessi generali dei lavoratori. Tale da suscitare entusiasmi e inversioni di tendenza. Compagni quali sono stati, a esempio, Di Vittorio, Novella, forse lo stesso Cofferati, che almeno godeva di un certo prestigio presso larghe masse, anche esterne al sindacato. Che almeno si era schierato a favore dell’articolo 18, bloccando l’offensiva padronale in merito. Se volevi davvero farlo, Landini, se davvero opporti all’ingiustizia e alla prevaricazione, potevi farlo. Tentare, almeno. Se non hai neppure tentato, vuol dire, qualcosa. Giudichi ognuno che cosa.

Perché questo elogio/dispregio a Landini? Un gioco dialettico? Per nulla. Il motivo è semplice e occorre entri per bene nelle teste dei militanti, e anche dei semplici simpatizzanti (direi perfino degli antipatizzanti). Motivo che è bene scrivere a chiare lettere, e nella testa della gente a carattere cubitali, come un manifesto murale permanente dal quale mai staccarsi, mai dimenticare. Un motivo che spiega il valore della militanza del Segretario Confederale (e spiega il senso da dare a queste mie parole) nonché quella di tanti altri ancor più moderati di lui presenti nel sindacato. Ecco il motivo: sono loro, insieme ai non moderati, a dare vita al sindacato. Sindacato la cui esistenza è vitale, per i lavoratori. Il peggiore dei mondi possibili, quello che il padronato vorrebbe avere, è l’assenza di un sindacato. O almeno di un cattivo e inerme sindacato. La peggiore condizione dei lavoratori è presentarsi come singoli, o piccolissimi gruppi, a trattare le loro condizioni. Essi hanno di fronte un padrone non solo infinitamente più potente (è ricco, dispone di larghi mezzi, ed è sicuro di mangiare tutti i giorni) ma che è rafforzato da una serie di strumenti che lo rendono quasi invincibile; può essere vinto solo attraverso l’unità realizzata di tutti i lavoratori.

Ed è questo il punto, l’insostituibile utilità del sindacato. Che i partiti non possono realizzare. Per sua natura, la tendenza generale di un sindacato è l’unità del lavoro. Unità economica con la possibilità di diventare politica. A tale fine è necessario che si lotti anche dentro lo schieramento proletario per avere un sindacato unito e il più possibile avanzato; e che si usi il contributo dei partiti per ottenere risultati su questo piano. Risultati che si rifletteranno sui partiti medesimi, aiutandoli a entrare in una visione universale, effetto dell’acquisizione del punto di vista operaio, con il quale introdurre nelle lotte elementi politici tali che, pur nell’autonomia reciproca, facciano sì che l’organizzazione economica e quella politica colpiscano insieme al fine di disorganizzare il nemico di classe. Fino a ad arrivareun domani alla fondazione del PARTITO RIVOLUZIONARIO DEL LAVORO che si ponga il problema di andare oltre la difesa del lavoro, che aspiri a essere mezzo per realizzare la liberazione non dei soli proletari, ma di tutti gli esseri umani.

Un’ultima osservazione. Qui non è in ballo la legittimità o meno di certi atti dell’attuale governo. Se essi siano o meno in sintonia con quanto stabilito dalla Costituzione, e se sia possibile rintuzzarli legalmente. Né è ammissibile su certe questioni rassegnarsi dentro gli angusti spazi voluti dalla legalità padronale; oppure limitarsi a constatare che la legge non consente margini e, sospirando con rammarico, voltare pagina… Quel che bisogna chiarire è se vogliamo concedere piena agibilità politica al padronato; se abbiamo o meno voglia di fargli pagare il prezzo politico più alto possibile per le sue malefatte. Se sia ammissibile che i lavoratori, che producono tutto quello che consumiamo, non abbiano voce in capitolo in nessuna delle questioni poste all’ordine del giorno. Quei lavoratori che hanno continuato a produrre a lungo fianco a fianco senza discriminazioni fra vaccinati e non vaccinati, perché così conveniva a signora Confindustria. E che ora invece rischiano grosso, quantomeno il salario, se vanno contro le decisioni padronali. Se è lecito lasciare che il governo imponga, senza ricevere adeguate risposte, le misure che sono state imposte; se vogliamo o no permettergli di soffocare ogni protesta, senza sollevare clamori. E soprattutto avere spiegazioni su tanti perché. Assumendo iniziative sui luoghi di lavoro per avere risposte: le decisioni che riguardano i lavoratori devono essere discusse nei posti di lavoro. In caso contrario, salvo ragioni estreme, tipo un imminente colpo di stato, un sindacato che si rispetti non può accettarle. Anche se è d’accordo con la vaccinazione o quello che vi pare. Ogni limite all’esercizio della legge proletaria – non scritta, ma esistente – deve essere usato per mettere in luce la prepotenza padronale. Dunque discussioni aperte, promosse dal sindacato medesimo, sulle omissioni relative alle tante misure che avrebbero già dovute essere prese e non sono state prese. Là “in alto” al solito, basta far pagare tutto agli ultimi.

Perché trascurare i necessari interventi sui trasporti? Perché ancora le aule pollaio? Perché il mancato ripristino dei posti letto negli ospedali criminalmente chiusi per risparmiare (sulle spalle dei lavoratori)? Perché nessun provvedimento in favore dell’assistenza domiciliare, tanto trascurata negli ultimi anni? e anzitutto perché l’obbligo vaccinale, imposto tramite passaporto verde, a una piccola parte della popolazione, quando nel mondo la maggioranza delle persone non è vaccinata? Questa sì causa di pericoli e prospettive terribili. Ma non si può e non si deve parlarne. Tantomeno dentro le fabbriche, luogo eletto per le discussioni popolari. Un sindacato che si rispetti può accettare tutto questo? Può essere costretto ad accettarlo. Ma allora è di questa costrizione che bisognerebbe parlare. No, urlare. E dell’indegnità di coartare una piccola parte della popolazione con mezzi che finiscono per tradursi in obiettivo arretramento delle libertà sindacali e democratiche di tutti.

Ecco dunque i motivi della critica aspra che accompagna il riconoscimento del valore di un uomo (Landini). Del quale è vitale mettere in evidenza, oltre i meriti, i limiti, gli errori, le colpe.

Quanto alla fine dei portuali del porto di Trieste, come suggerito, stendo un velo pietoso. La lotta di pochi contro i molti, di innocenti contro i colpevoli, degli sfruttati inermi contro gli eserciti degli sfruttatori… bastano queste poche parole, senza bisogno di ricorre a mille altre possibili. Purtroppo devo contraddirmi subito, affermare che tuttavia non bastino. Ma qui non ho tempo per andare oltre. Se non per porre alcuni interrogativi d’obbligo: hanno avuto i portuali una mano da chi poteva e doveva dargliela? E chi avrebbe dovuto dargliela se non chi aveva mostrato di capire (per tempo!) il torto che si intendeva far loro (cioè Landini)? Hanno ricevuto sostegno, indicazioni di linea credibili e accettabili? Niente di tutto questo. Stendiamolo allora questo velo pietoso. Sì davvero. È proprio il caso.

Le vignette (vecchie ma sempre valide) di Mauro Biani sono state scelte dalla “bottega”.

Miglieruolo
Mauro Antonio Miglieruolo (o anche Migliaruolo), nato a Grotteria (Reggio Calabria) il 10 aprile 1942 (in verità il 6), in un paese morente del tutto simile a un reperto abitativo extraterrestre abbandonato dai suoi abitanti. Scrivo fantascienza anche per ritornarvi. Nostalgia di un mondo che non è più? Forse. Forse tutta la fantascienza nasce dalla sofferenza per tale nostalgia. A meno che non si tratti di timore. Timore di perdere aderenza con un mondo che sembra svanire e che a breve potrebbe non essere più.

10 commenti

  • Gian Marco Martignoni

    Una risposta decisamente incredibile e articolata per i tempi che corrono quella di Mauro Antonio Miglieruolo, a dimostrazione di quante intelligenze si erano formate negli anni d’oro della militanza politica-sindacale e culturale, soprattutto per quanto concerne la sedimentazione di un punto di vista autonomo e di classe. Dice bene Miglieruolo, la nostra parte politica è scomparsa o si è eclissata, cosicchè la fine della sinistra ha caricato la Cgil di compiti che trascendono il suo ruolo, ma soprattutto ha impedito che determinati obiettivi, giustamente sottolineati come essenziali, diventassero praticabili e pertanto conquistabili come nel passato. A ciò ha contribuito anche la caporetto di Rifondazione comunista e in particolare di quel Bertinotti noto per il motto “ il movimento è tutto, il fine è nulla “ . Lo spostamento a destra dell’asse politico è diventato nel tempo una voragine , stante che un tempo sarebbe stato impensabile che i rappresentanti delle forze che si richiamano alla tradizione del movimento operaio andassero a sedere sul palco predisposto da Giorgia Meloni, tra l’altro reduce da un formidabile successo sul piano editoriale . Poiché ragioniamo molto in sintonia, e tante tue considerazione sono da abc sindacale,il mutamento della linea di classe della Cgil è avvenuto nel 1978 all’Eur per opera di Lama, cosicchè lo scambio politico si è tramutato in una concertazione a perdere, finchè con la lunga stagione berlusconiana il sindacato si è collocato per forza di cose sulla difensiva, stante rapporti di forza tutt’altro che esaltanti. Landini ovviamente risente di questo clima, se è vero che Orlando si è addirittura dimostrato sorpreso dello sciopero del 16 dicembre, mentre Letta è silente, dopo aver ripetuto all’infinito il suo assenso alla linea Draghi. In pratica, non da oggi, la Cgil è senza una sponda politica. Dopodichè ,d’accordo sul saper gestire l’arretramento, per rilanciare la controffensiva, ma rigettando qualsiasi ipotesi pan-sindacale , senza la ricostruzione di un partito di classe è improbo immaginare scenari più avanzati. Non torno sul green pass, perché non la ritengo una questione ultimativa, mentre a Trieste le cose sono andate come era prevedibile. Quella mobilitazione non è partita da un rapporto di forza dentro al porto favorevole per chi si è avventurato in proclami di taglio massimalista. C’era un accordo sindacale che andava gestito, senza fughe in avanti da parte di un presunto Coordinamento dei lavoratori portuali che dietro aveva una sigla sindacale di scarso peso ed equivoca. Il blocco del porto è diventata una questione degli esterni, infiltrata da forze di destra e para-religiose, che non poteva finire – nonostante la benedizione di Salvini e Meloni – che come è finita. Ti ringrazio per lo sforzo analitico davvero notevole del tuo contributo, che merita di essere letto e riletto per chi intende approfondire criticamente le tematiche sindacali.

  • Mariano Rampini

    Leggo con estremo interesse sia l’intervento ampio e incoraggiante (per molti versi) di Miglieruolo (che conosco assai bene come cultore di fantascienza, argomento che nulla a che vedere con il dibattito di cui sopra ma che mi piace sottolineare) sia la risposta di Martignoni. Non possiedo per mia storia personale la loro esperienza e il loro retroterra sindacale e politico e questa è una premessa fondamentale. Non entro quindi nel merito di quanto il sindacato abbia fatto, non abbia fatto, abbia tentato di fare riuscendoci o non riuscendoci (nella mia storia lavorativa mi sono spesso trovato in situazioni nelle quali il sindacato ha assunto una posizione “conservativa”: salviamo quello che c’è e se qualcuno affoga, pazienza). Voglio solo soffermarmi sulla presunta o reale centralità del green pass come elemento di affossamento del movimento operaio o, perlomeno come strumento padronale per creare tra gli stessi lavoratori dissidi miranti a dividere. Mi viene da chiedermi da semplice cittadino (oggi pensionato) in che modo il green pass che ho ricevuto dopo aver effettuato le due dosi di vaccino mi trasformi in uno strumento del padronato. Credo fermamente che il sindacato (in questo caso la Cgil) avrebbe dovuto farsi portatrice di cultura in un momento come l’attuale e cercare di convincere chi il vaccino non l’ha fatto, per motivi a volte risibili, a vaccinarsi. Non tanto perché il vaccino rappresenti una panacea: non lo è tanto che siamo alla terza dose alla quale, probabilmente ne seguirà una quarta e così via. Il tralasciare un compito così determinante nel mantenere coesa la classe lavoratrice mi sembra davvero un peccato. E non tanto per favorire chi, nel padronato, intende sfruttare il green pass come elemento divisivo ma, piuttosto, per rafforzarne l’uso come strumento di unità. La cultura – e tutti e due gli interlocutori ne parlano a profusione – è un’arma vincente in mano al lavoratore. Togliergliela favorendo al contrario la diffusione di una “sottocultura” come quella di chi si oppone al vaccino, ci riporta indietro di secoli proprio perché di quella sottocultura si fanno forti i movimenti di destra e i cattolici reazionari. E non da oggi: lasciare nelle mani del potere (economico, finanziario, politico) la conoscenza, uccide qualsiasi movimento proprio perché genera fratture insanabili. Mi piacerebbe che i due contendenti – uniti però nel loro credo di fondo che condivido appieno – mi fornissero una risposta.

    • Carissimo Rampini, il superlativo e adoperato esclusivamente in conseguenza del piacere che mi ha fatto ricevere le tue misurate obiezioni, il cui spirito è condivisibile. Le obiezioni di qualcuno che chiede di restare con i piedi ben piantati in terra. Cosa che, in qualsiasi circostanza, risulta utile e profittevole. Devo però obiettare almeno su un punto, che indirizzo a te, ma vale ancheche per me. Vale anche per uno che non ha chiesto il green pass, ma si è vaccinato con la prima e seconda dose. Chiarisco ulteriormente: nessuno che abbia ritenuto di vaccinarsi e chiedere il green pass è di per sé strumento del padronato. Non ritengo di esserlo. Quel che ho detto e ribadisco lo dico solo per invocare solidarietà tra i lavoratori, condizione senza la quale passi in avanti non se ne fanno. Anzi, avviene se ne facciano indietro.
      Perciò, rispetto della libertà di ognuno, sia di chi decide in un modo, sia di chi decide in quello opposto. In nessun caso è legittimo comunque colpevolizzare chi abbia in tasca il lascipassare governativo. Anzi, al contrario, ritengo che l’opinione del vaccinato, seguendo un criterio di precauzione o costretto dalla necessità, valga un tantino in più di quella di coloro che non intendono vaccinarsi. Altre soluzioni esistevano, esistono. Ho tentato di indicarle. Ma dato che questo governo demiurgico, glorificato tanto e che tanto poco produce; dato che questo governo non intende praticare altre strade (che non escludono la vaccinazione, ma la rendono più utile), perché costano e non ottengono il valore aggiunto di mostrarsi forti con i deboli; allora praticare l’unica possibilità che ci viene concessa, mi sembra, a questo punto, in mancanza di strumenti di difesa efficaci e credibili, una scelta obbligata.
      Ma chiariamo: una coercizione. Una brutta coercizione, come in genere sono tutte le coercizioni. Avesse avuto il sindacato la forza di chiedere, fate quel di più che occorre sia fatto, che effettivamente può farci uscire dalle secche della vaccinazione perpetua, ebbene avrei taciuto. Avrei accettato una situazione che è valida solo quando la situazione diventa estreme, non più governabile diversamente. Che stranamente viene assunta proprio quando la situazione migliora: cioé quando i vantaggi della vaccinazione di massa vengono meno e i padroni iniziano a temere si possa incominciare a chiedere conto del poco fin qui fatto; che si chieda vengano assunte decisione più ampie e serie, più efficaci. Rileggi il mio articolo, vedrai che sono indicate.
      Non me la sento per i motivi esposti, di tacere. Intendo denunciare chi, una volta ancora, profitta della divisione che c’è tra i lavoratori, per trasformare questa divisione in una voragine, per colpire e far passare il principio che chi non ottempera ai desiderati di Confindustria, deve pagare; o i tamponi, o con l’intero stipendio.
      Chiedo venia, a me questo non sembra soluzione ammissibile.
      La mia protesta non ha nulla contro il sindacato, il fin troppo moderato sindacato; il quale, chiuso nelle medesima prospettiva ideologica di tanti, accetta l’unica via che propone il padronato: la vaccinazione. La vaccinazione va bene, ma non è conclusiva senza tutto il resto che si rende necessario. Resto che però contrasta, ecco il problema, la linea confindustriale che si è affermata in questi anni. Tagli alla sanita, meno posti letto, tagli alla scuola, meno aule, tagli ai trasporti, con intere linee abolite (vedi quella Jonica) e i pendolari costritti a viaggiare come bestiame. È QUESTO IL PUNTO NODALE DELLE CONTRADDIZIONE NELLA VICENDA VACCINIZIONE. QUESTA PERSEVERANZA PADRONALE NELL’INSISTERE SU UNA VIA CHE PRODUCE PROFITTO, a costo di aggravare i problemi dei lavoratori. Ma, per fortuna, con buona ragioni, o a volte con cattive e anche pessime, c’è chi non intende inchinarsi. Chi paga per tutti. A Sua Maestà che sostiene si possa essere cittadini solo se ci si decide a vaccinarsi (Draghi, l’insigne, che cito a memoria) rispondo: se persisti in questo vero e proprio infortunio dialettico, sei tu il cittadino da espellere dal novero dei moderni; il cittadino che si colloca fuori dal consesso delel persone civili. Se insisti in questa affermazione e questa pratica, insisterò nel dire che hai dimenticato due secoli di storia e sei tornato a prima della Rivoluzione Francese.Neppure ai galeotti (fatte salve le sragione dei reazionari) viene negata la piena titolarietà dei diritti.
      Tu parli poi, a un certo punto “di strumento di unità”. Questo mi stupisce. Non esiste unità nella costrizione. Non esiste unità nella intolleranza. Esiste solo nella comprensione reciproca, nella ricerca di soluzioni che rapprsentino le varie voci, che contemperino tante opinioni ed esplorino le differenti possibilità; alla cui attuazione il governo non ha intenzione di mettere mano. E perché dovrebbe? tanto c’è il vantagiosissimo passaporto verde che non garantisce nulla, solo obbliga le persone, salvo i più coraggiosi, a piegarsi o a trovarsi a malpartito.
      Credimi, con tutto l’affetto, trovo inimmaginabile, impossibile, tale prospettiva. Contro la quale mi oppongo con le poche energie che mi sono rimaste.
      Mi piacerebbe essere riuscito a convincerti delle mie ragioni. Ma non è questo il punto. Il mio piacere. Il punto è suscitare interrogativi, dubbi, indirizzare alla riflessione comune. lavorare tutti insieme alla conquista della unità perduta. Che non ritroveremo mai più se ci rassegneremo a seguire il governo nelle sue pulsioni reazionarie, nel suo ossequio a signora Confindustria, nel suo rispetto esclusivo delle ragioni dei forti.
      Un abbraccio.

      • Mariano Rampini

        Miglieruolo carissimo (inverto l’ordine degli addendi così il risultato non cambia). Vorrei esser chiaro. Io, il green pass (o, meglio il certificato di avvenuta vaccinazione) non l’ho mai chiesto: mi è giunto per mail sia dopo la prima dose che dopo la seconda. Il problema che ho cercato di sottolineare però non è tanto di ordine politico quanto di ordine organizzativo: dinanzi alla peste non serviva a nulla far processioni se non a diffondere maggiormente il batterio. Così non posso considerare che il certificato di vaccinazione (l’idea di chiamarlo green pass è certamente venuta a qualche brillante collega giornalista, senza nessuna intenzione di accusarlo per averlo fatto) sia, di per se stesso, uno strumento padronale. Che la classe padronale italiana sia sempre pronta ad allungare la propria o l’altrui mano (sempre per suo conto) su qualsiasi cosa possa costituire strumento di potere è cosa risaputa. Ed è per questo che sono perplesso dinanzi a un’azione sindacale (d’accordo ci saranno state assemblee e quant’altro ma i risultati non sono stati tanto eclatanti quanto ci si sarebbe aspettato) che non ha fatto, come ho detto, del certificato vaccinale quello che ho definito come uno strumento di unità. Si parla di colpevolizzazione dei no vax ma questo continua a essere senza dubbio un tasto dolente. Perché ostinarsi da parte loro a colpevolizzare chi si è, al contrario, vaccinato? Non ho sentito dire ai no vax “pecoroni” che, al contrario è il loro insulto preferito verso chi, prudentemente, ha accettato il vaccino. Ricordo il tempo del colera quando si innalzavano striscioni con scritto “dateci il vaccino”. Continuo quindi a farne una questione – e mi scuserai l’insistenza – non di posizione ideologica (o almeno non di quell’ideologia di destra che si è violentemente infiltrata nel movimento no vax in Italia e che in qualche modo, contamina tutto il mondo), quanto più di una posizione che si regge su un’idea che non ha alcuna struttura. Una forma di ribellione contro tutti e tutto fine a se stessa. Credo invece fermamente che sarebbe una battaglia importante quella di sostenere una ricerca finanziata dallo Stato nelle tante start up universitarie costrette spesso a a cercare fondi da altri pur producendo da molto tempo risultati molto più che brillanti e di cui si parla fin troppo poco . Così come credo fermamente nella battaglia per la liberalizzazione dei brevetti sui vaccini ma anche su altre tipologie di farmaci (vedi, ad esempio, quelli contro l’Hiv). Non voglio tediarti ulteriormente con questa mia risposta, quindi ti saluto con affetto. E spero di poter continuare questo dibattito con te perché ho sempre amato il confronto chiaro e sincero.

  • Gian Marco Martignoni

    Caro Rampini, la Cgil con migliaia di assemblee nei luoghi di lavoro e nelle leghe dei pensionati ha sostenuto le ragioni della vaccinazione di massa, così come sta sostenendo la petizione europea per la moratoria sui brevetti, mentre con la fine dell’estate da Malpensa ha inviato un carico di beni di necessità raccolti in solidarietà per Cuba. Per ogni approfondimento del caso è disponibile il sito collettivacgil. Grazie, comunque, per la sollecitazione e per l’attenzione al dibattito in corso.

  • E’ indetto per il 16 dicembre uno sciopero generale di tutte le categorie contro la politica economica e sociale di questo governo. Il treno sta partendo, o lo si prende da protagonisti, o si rimane a teorizzare la propria e l’altrui impotenza. A buon intenditor.
    Parlatene éh.

  • I lavoratori e’ bene che si difendano da soli. Meglio pagare un bravo avvocato che la tessera sindacale.
    Il sindacato, confederale e non, e’ burocrazia.

  • Non avessi quasi ottanta anni e fossi afflitto da diversi problemi fisici, raccoglierei l’invito di Gianfranco, per partecipare a un momento che è oggettivamente importante. Consiglio a tutti di farlo.
    Dico oggettivamente perché non sono in grado di valutare come gestirà la direzione sindacale questo momento. Spero lo faccia bene, come non succede da troppo tempo.
    Tuttavia l’augurio è che comunque la mobilitazione riesca, che la partecipazione sia ampia e decisa. A parte il prestigio della CGIL, quel che conta è il segnale di vitalità e forza da dare al padronato.
    Ma dato a Gianfranco quel che è di Gianfranco confesso che non ho apprezzato la fuga dalle questioni poste. Svalutare le argomentazioni altrui cambiando discorso; o svalutando l’interlocutare dialettico con frasi del tipo “si rimane a teorizzare la propria e l’altrui impotenza” non mi sembra un buon modo per costruire unità, e moltiplicare le forze. L’unità si costruisce nel confronto leale, ampio e sincero. Senza nessun tentativo di diminuire l’opinione altrui.
    A meno che non ci si voglia sottrarre al dibattito; che sia presupposta la giustezza delle decisioni dei vertici sindacali, nel qual caso alzo le mani. Confido invece in un momento di più lunga riflessione.

    • Rispondo a me stesso. Mauro Antonio, ricorda sempre la lezione di Lenin, che addirittura invitò i compagni di lotta a entrare in un sindacato organizzato da un commissario di polizia. La storia finì bene. Quel sindacato ultragiallo, dato che i lavoratori se n’erano serviti per organizzare delle lotte, venne sciolto, il commissario punito. Aveva avuto via libera dai superiori, ma il risultato lo aveva messo all’angolo.
      Il fatto è che il peggior sindacato è meglio di nessun sindacato.
      Aspetto che si affacci alla ribalta un sindacato migliore della CGIL e abbia nel contempo un seguito di un certo rilievo.

  • Gian Marco Martignoni

    Caro Gianfranco, raccolgo volentieri la tua sollecitazione, anche se su questo blog, a parte Sergio Falcone che ragiona in termini individualistici e non di prospettiva collettiva, non sfugge a nessuno l’importanza dello sciopero del 16. Il solo fatto che Salvini lo giudichi folle, lui che rappresenta gli evasori e gli elusori fiscali, e che al Pd crei più di un problema, interessato solo alla sua autoriproduzione di ceto politico e attento alle sorti della governabilità a qualsiasi costo , questo sciopero, dopo molto tempo, vale doppio .

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