Quel 25 aprile e oggi – 13

Firenze, agosto 1944: due campane, due libri, due donne, tante donne.

di Bettina Keller (*)   

«Nella notte di San Lorenzo, tra il 10 e l’11, alle 6.10 del mattino, fu attuato il piano di offensiva. Il Ctln [Comitato toscano di liberazione nazionale] diramò ordini di attacco per le diverse aree strategiche (…) Alle 6,45 il vigile del fuoco Bruno Budini del comando Marte, che il Ctln aveva installato in Piazza Strozzi, fece suonare la “Martinella” di Palazzo Vecchio, dando l’atteso segnale dell’insurrezione (…) È la campana della Repubblica Fiorentina. Ai rintocchi della campana della Torre di Arnolfo, campana della libertà, rispose quella del Bargello». (da Patrizia Pacini «La Costituente: storia di Teresa Mattei. Le battaglie della partigiana Chicchi, la più giovane madre della Costituzione» – pag 73 – edizioni Altreconomia, 2011).

 

«Giovanni [Colacicchi] appese subito la bandiera sul balconcino sopra il portico di via Ricasoli; così come deliberato dal Comitato di Liberazione per tutti gli Istituti e Scuole. Io avevo avuto l’incarico di portare l’ordine al custode del Bargello di suonare la Martinella da un capo partigiano. Non sapevo prima che veniva suonata solo nei momenti gravi di Firenze». (da Flavia Arlotta Colacicchi «Ricordi 1942 – 1945» – pagg 64 e 65 – a cura di Piero e Francesco Colacicchi).

 

Due ricordi dello stesso momento: il segnale dell’insurrezione di Firenze. E poco importa se i due testi rimandano alla stessa campana, la “Martinella” o se una era la Martinella di Palazzo Vecchio e l’altra la “Montanina” del Bargello, che “rispose”.

Qui, a me importa e colpisce che, per caso, nell’arco di pochi mesi ho ricevuto in regalo due libri di due donne che non si conoscevano, con provenienze e storie diverse; ma che raccontano del loro impegno nel contesto della lotta di Liberazione e mi hanno fatto capire il ruolo importante che tante donne avevano nella Resistenza, durante il periodo dell’occupazione tedesca.

Dunque due testi da due libri regalatimi da poco: il primo da Ida Mattei, sorella minore di Teresa, il secondo da Piero e Francesco Colacicchi che hanno curato la stampa dei ricordi scritti dalla madre, Flavia Arlotta.

Il primo testo è una biografia di Teresa, la partigiana Chicchi, morta il mese scorso, figura molto grande della Resistenza e personaggio politico di primo piano, per il ruolo che ebbe nella Costituente, nel movimento delle donne, con una schietta intransigenza morale che l’aveva portata da giovane liceale a farsi espellere dalle scuole del Regno per la sua forte condanna delle leggi razziali e, dopo la guerra, a farsi espellere dal Pci dopo lunghi e aspri scontri con Togliatti; espulsa nella sua sezione, intitolata al fratello Gianfranco, martire della Resistenza, morto in carcere. Cresciuta in una famiglia con idee e idealità molto chiare, suo padre ebbe presto modo di scontrasi e di mettere alla porta Mussolini, minacciandolo di scagliargli contro un oggetto contundente, quando il futuro duce era ancora direttore dell’«Avanti» ma con la sua natura arrogante già ben delineata.

L’altro personaggio, Flavia Arlotta, pittrice, sposata al pittore Giovanni Colacicchi, nominato direttore dell’Accademia di Firenze dopo la Liberazione, in stretti rapporti con numerosi personaggi importanti della cultura e dell’antifascismo (Eugenio Montale, Arturo Loria, Bernard Berenson, Carlo Levi, Carlo Emilio Gadda, Elsa Morante, Moravia, Guttuso, Onofrio Martinelli, alcuni di quelli citati nei «Ricordi»), svolse come tante altre donne un ruolo importante in quella Resistenza senza il mitra in mano né in montagna, ma vissuta nella ‘normale’ quotidianità, e che a partire soprattutto dal ‘43 salvò tanti ricercati dai nazisti: disertori dell’esercito italiano, soldati degli eserciti alleati, partigiani, ebrei.

Nascondeva tutti questi fuggiaschi prima nella casa di Castello, in Firenze, poi nella casa di Vallombrosa dove la famiglia era sfollata, e provvedeva al loro sostentamento. E tutto questo con due figli di pochi anni. Quasi incredibile che in tale situazione si pensi a mettersi a rischio ogni giorno, ad andare in giro a trasportare armi, a nascondere ricercati. La stessa Accademia, dove insegnava Giovanni, il marito, divenne un prezioso nascondiglio per molti.

 

Flavia la conoscevo da sempre, amica di famiglia; casualmente ho conosciuto lo scorso anno Ida, la sorella di Teresa e per mezzo di Ida ho conosciuto un’altra donna, Anna Piccardi che vive a Milano e – come per le campane – ho scoperto un altro episodio che trova riscontro nei ricordi scritti di Flavia e in quelli del vissuto di Anna.

Dai racconti di Anna Piccardi («Il sole oscuro»,ed. Gazebo, Firenze, 2006), e da lei stessa so del suo legame con i pittori tedeschi, vissuti a Firenze negli anni 30-40. Di ritorno in Svizzera dalla Toscana, dove avevo incontrato Ida, mi sono fermata a Milano per incontrare Anna. Dal libro di Flavia Arlotta, le ho letto un episodio riguardante il pittore Batke a Vallombrosa, quando Flavia aiutò a trasportare con un’auto a Firenze un partigiano ferito:

«Subito dopo colazione tornammo indietro, all’albergo, a tener consiglio con Batke e sua madre sul da farsi. La decisione fu questa: Batke avrebbe preso a nolo un’automobile della quale si serviva ogni tanto: si sarebbe messo davanti in divisa di ufficiale tedesco (infatti era richiamato e non riesco a ricordare come faceva a starsene tranquillo – più o meno in albergo dove vivevano da sfollati) accanto all’autista. Dietro, il povero ragazzo con me: una donna ci voleva per non dare nell’occhio e per sostenerlo» (pag 39).

Anna Piccardi che non ha mai conosciuto Flavia Arlotta, interrompe la mia lettura per spiegarmi quello che Flavia non riesce a ricordare: Batke era sì richiamato ma gli avevano riconosciuto non mi ricordo quale malattia e non doveva prestare servizio. Ma in quell’occasione sfruttò la sua divisa per riuscire a trasportare il ferito all’ospedale.

 

Ho avuto la grande fortuna di avere conosciuto e di conoscere queste donne personalmente, tranne Teresa Mattei. Per lei il tempo non mi è bastato per conoscerla personalmente.

Ho potuto sentire la testimonianza diretta di Ida, Flavia e Anna e mi sono resa conto che in Toscana, ma senz’altra in tutta l’Italia occupata, c’era una rete fittissima di donne, giovani, giovanissime, per le quali era quotidiano, normale, naturale, rischiare la vita propria per liberarsi. In ciò, in parte favorite da certa ottusità maschile-militare che le rendeva meno sospette («una donna ci voleva per non dare nell’occhio» si legge a pagina 39), che le immaginava incapaci di fare “certe cose” quali potevano essere tenere i collegamenti fra gruppi partigiani, trasportare armi, fare attentati, nascondere ricercati.

Qui basti citare l’episodio di Teresa che a sedici anni, nel 1937, da Firenze si reca in Francia per portare soldi per i fratelli Rosselli, impegnati nella guerra in Spagna. Fu arrestata, al ritorno, ma quella volta se la cavò.

Scampò alla cattura, anche quando fece saltare un convoglio tedesco che trasportava dinamite e fuggì in bicicletta.

«“Mi rifugiai nell’Università ed entrai in una stanza dove [Eugenio] Garin teneva una riunione con altri professori. Gli dissi: ‘Professore, i tedeschi mi stanno inseguendo. Dica che sono qui per discutere la tesi’».

Garin comprese l’emergenza e la situazione in cui quella giovane partigiana si trovava, così invitò e convinse i colleghi a formare una commissione di Laurea estemporanea. «Come temevo arrivarono i tedeschi ma Garin fu molto abile nel coprirmi dicendo: “Questa ragazza è stata qui tutto il tempo”» (pag 64).

Purtroppo non fu sempre così e Teresa, catturata, in un’altra occasione, dovette subire la violenza, l’umiliazione e conservarne tracce per tutta la vita.

Di Teresa voglio ricordare anche il suo contributo alla formulazione dell’articolo 3 della Costituzione: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali».

«”Più affronto questo problema più mi rendo conto anche delle insufficienze della nostra Costituzione, che anch’io ho contribuito a scrivere. Nell’articolo 3, ad esempio, si dice che tutti hanno pari dignità sociale, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione o di opinione politica. Ma non abbiamo scritto “senza differenza d’età”, così si può pensare che i bambini e gli anziani non siano dei cittadini”».

Teresa proporrà negli anni successivi con Stefano Rodotà la modifica di questo articolo per potervi inserire il concetto di età» (pagg 126-127).

 

Anche la sorella minore di Teresa, pur giovanissima, faceva la staffetta e trasportava armi e, oggi, è a lei che bisogna chiedere per ricostruire molta di quella storia così importante da ricordare e preservare.

Vorrei che tutti noi che non c’eravamo potessimo conoscere ancora una Teresa, un’Ida, un’Anna, una Flavia per portarci dietro queste testimonianze.

E se il caso mi ha portato in pochi mesi a conoscerne quattro di queste donne, chissà quante ce n’erano. Ma il tempo scorre e saranno le ultime, ormai.

Cercarle ora queste testimonianze e sentirle direttamente è importante perché lasciano un segno più profondo e così sarà più facile trasmetterle ai nostri figli come esperienze umane vive. Perché trasmetterle è un dovere.

(*) Oggi un blog speciale con 24 post, uno ogni ora, su Liberazione e sulla resistenza – sia minuscola che maiuscola – al nazifascismo. Nella piccola redazione (un po’ allargata per l’occasione) abbiamo discusso l’idea, partita da David, di scegliere 24 testi o immagini che raccontassero quel giorno e l’oggi; che mostrassero qualcosa (o qualcuna/o) importante da ricordare; che attualizzassero e/o problematizzassero la Liberazione e la Resistenza. Alcuni post sono firmati, gli altri sono nati – come già è successo – nel lavoro comune che possiamo chiamare Qbea cioè Questo Blog E’ Antifascista.

 

Redazione
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