Repubblica Democratica del Congo: dove va l’Est?

Intervista di Ursula Vitali (*)

Un attento conoscitore dell’Est della Repubblica Democratica del Congo (che copriamo con l’anonimato) esprime le sue valutazioni sulla situazione attuale, che vede un progredire della guerra malgrado i vari accordi. Si poteva evitare tutto questo? Ci si poteva provare, a livello internazionale, per esempio sanzionando il Ruanda con la sospensione dell’Accordo del 19 febbraio 2024 sui minerarl strategici, come aveva chiesto il Parlamento europeo nel febbraio 2025. Ma così non è stato, gli interessi economici sono prevalsi.

Qual è la situazione attuale nel Nord-Kivu e Sud-Kivu, occupati dall’M23?

La situazione è diversa nelle due province. Nel Nord-Kivu si avverte forte la presenza ruandese, attraverso i militari, la polizia, le autorità. Ci sono ruandofoni (congolesi di origine ruandese che abitano da molti secoli nel Congo), e, soprattutto nell’amministrazione, dei ruandesi. Va tenuto conto che ci sono migliaia di persone di etnia Tutsi infiltrate – durante i vari avvenimenti bellici e post bellici -nel Nord-Kivu dal Rwanda, in questi decenni.

Nel Sud-Kivu, l’M23 agisce soprattutto attraverso persone congolesi, compresi alcuni banyamulenge. Sono tornati circa trecento poliziotti congolesi che erano stati mandati a una formazione nel Nord-Kivu a febbraio, e sono in servizio, ma senza armi. Solo i rwandesi girano armati. Un’altra specificità attuale del Nord-Kivu è la politica di rimpatrio degli Hutu dal Congo che il governo ruandese sta mettendo in atto.

Di che cosa si tratta?

L’M23 a nome del Ruanda sta ufficialmente facendo una politica di rimpatrio dei rifugiati hutu che sono in Congo, per poi far rimpatriare in Congo quei centomila tutsi congolesi che sono in Rwanda. Questi hutu vengono considerati familiari delle FDLR che secondo gli accordi di Washington dovevano essere smantellate entro 90 giorni, perché poi l’esercito ruandese lasci il Congo.

A centinaia traversano la frontiera verso il Ruanda con l’aiuto dell’HCR. Il 9 settembre scorso, per esempio, hanno attraversato 284 persone, soprattutto donne, giovani e bambini. E si prevede di rimpatriarne 4000 nel corso di quest’anno. Non si sa la loro sorte oltre frontiera. Se hanno lasciato il paese trent’anni fa, i vecchi sono morti, ci sono i giovani, i bambini, che non sanno neppure dov’è il Rwanda.

E nel Nord-Kivu in particolare ci sono migliaia di hutu presenti da decenni a prescindere dal genocidio ruandese. Chi erano per esempio le oltre 140 persone principalmente hutu trucidate dall’M23 in villaggi presso il parco Virunga nello scorso luglio, secondo la testimonianza di Human Rights Watch?

Difficile pensare che questi “rimpatri” costituiscano un ritorno spontaneo, conoscendo le condizioni di vita in Rwanda e l’atteggiamento repressivo di Kigali nei confronti in particolare dei propri cittadini esuli. Eppure il ritorno avviene inquadrato dall’Alto Commissariato dell’ONU per i rifugiati, che dovrebbe garantire il ritorno spontaneo.

Su questo ritorno obbligato, si è espressa recentemente l’organizzazione Human Right Watch (https://www.hrw.org/fr/news/2025/06/18/rd-congo-le-groupe-arme-m23-transfert-de-force-des-civils). Per questo occorre che l’HCR vada oltre le apparenze di un ritorno spontaneo, per non diventare complice di un nuovo abuso. Abbiamo già visto nella guerra del ’96 organizzazioni internazionali negare la presenza di Hutu sul territorio congolese quando invece venivano massacrati a centinaia di migliaia dalle forze dell’APR che avanzavano.

All’Ovest del paese interessa ancora l’Est?

Sulla carta, nei diversi accordi di pace, nessuno ha messo in dubbio l’integralità del territorio del Congo. La balcanizzazione non passa, per l’ideologia congolese che vuole il Congo uno. Ma il Congo uno da trent’anni non esiste più: c’è l’Ovest, c’è l’Est, e c’è il Katanga. Non c’è più unità nazionale come ai tempi del regime mobutista e questa guerra ha diviso ancora di più. Quelli dell’est che sono a Kinshasa se parlano swahili, rischiano di essere considerati ruandesi e con i problemi che ne possono seguire.

Le ricchezze però sono all’Est e nel Katanga, per cui Kinshasa non può rinunciarvi: molti grandi politici hanno possedimenti nelle miniere dell’Est e del Sud. Le ricchezze minerarie del solo Nord-Kivu esplorate o ancora inesplorate sono stimate a 24.000 miliardi di dollari potenziali, mentre 14.000 sono quelle già conosciute. L’Urega e Itombwe nel Sud-Kivu potrebbero esportare dai 10 a 20 miliardi all’anno in oro. Se estratto in modo industriale Senza parlare delle terre fertili.

Si sta probabilmente andando non verso una balcanizzazione territoriale, che neppure i congolesi di Kinshasa vogliono, ma verso un’integrazione economica progressiva, come si vede nell’Accordo di Washington. Sempre più il Rwanda avrà la mano sulle ricchezze del Congo, e questo con l’accordo tacito anche della Francia. L’integrazione economica va di pari passo con l’amministrazione, che sarà in parte ruandese, come dice il progetto degli accordi di Doha, come pure la forza d’interposizione prevista dagli accordi di Washington.

Cosa occorre perché finisca la guerra?

Per finire la guerra, bisogna che il Rwanda non perda e che quindi rimanga dov’è soprattutto al Nord Kivu. A Washington interessavano i minerali: si sono lavate le mani del processo di pace, lasciandone i dettagli pratici al Qatar, che si sa è favorevole a Kagame.

In realtà si ha l’impressione che non si voglia arrivare a un accordo. Tshisekedi rifiuta di accettare di aver perso, lui che aveva detto che alla minima scaramuccia avrebbe invaso il Rwanda… Non vuole perdere il potere, mentre si sta arricchendo alla grande: è lui che firma i contratti con le società americane, non il Parlamento, né il Governo.

Per questo si sta liberando di tutti quelli che possono nuocergli, sia nella politica, che nell’esercito che nell’amministrazione. È stato salvato politicamente da Trump, ma la pace non è arrivata. C’è anche il gioco dell’Uganda, che è già arrivata alle porte di Kisangani. Fa il doppio gioco, come nel 1996 e 1998. Attualmente si è insediata, come protettrice nelle zone del nord del Nord Kivu e in quelle dell’Ituri. In questo disordine, i politici e le multinazionali ci sguazzano e ci guadagnano.

La situazione nell’Ituri è terribile…

La situazione dell’Ituri attualmente sembra peggiore di quella del Nord-Kivu. La lotta all’ADF serve all’Uganda come pretesto per restare in Congo. Oro, diamanti, cacao, legname vanno tutti in Uganda, illegalmente. L’ADF per l’Uganda è come le FDLR per il Ruanda.

Sono trent’anni che le ADF massacrano civili. Saranno qualche centinaio di persone e non si è riusciti a sconfiggerli, né il Congo con i suoi 150.000 militari, né l’Uganda venuta in soccorso. Attorno all’ADF c’è un giro di complicità locali e politici del Paese. La Monusco dice che dopo i loro misfatti le ADF si perdono nella foresta. Ma l’Italia – a mezzo della Monusco, negli accordi delle operazioni degli anni passati, aveva fornito il governo congolese di droni che hanno un giro di ispezione di 500 km. Se il governo congolese non ci dice niente noi non interveniamo, diceva la Monusco.

L’Uganda attraverso l’ADF terrorizza e fa credere che sono gli Islamici che sono al di fuori degli interessi politici ed economici. Sono diventati islamici dopo. L’Uganda agisce in modo meno sfacciato del Ruanda, fa il doppio gioco. Mentre M23 cercava di avanzare a partire da Bunagana, l’Uganda mandava aiuti a Goma per combattere l’M23: eppure nell’M23 ci sono anche Ugandesi et è in Uganda che l’attuale M23 è nato. Fra chi ha voluto in parte la guerra del ’96 c’è anche Museveni.

Cosa dire degli eventi di Uvira di questi giorni?

Per l’M23 aver preso il Sud-Kivu senza Uvira è una sconfitta: temono di non riuscire a tenere la parte nord del Sud-Kivu senza prendere il sud. Uvira non è stata presa perché gli Wazalendo, insieme ai Burundesi, hanno bloccato la strada. Ultimamente Trentacinque camion grandi pieni di soldati hanno attraversato la frontiera burundese per il cambio di guardia. Di fronte a questa resistenza, l’M23 ha tentato di evitare Uvira e scendere a partire dalle montagne da Kaziba e Luwinja verso Mboko per prendere Uvira dal sud e poi continuare verso Kalemie. Ma da Bujumbura, superarmata da Kinshasa, tirano sulle montagne con i drone.

Il generale Olivier Gasita, respinto dalla popolazione d’Uvira, avrebbe lasciato cadere Goma e Bukavu – dicono i Wazalendo.. Difficile però pensare che un generale da solo possa far cadere una città. Il generale Cirimwami, mushi, è stato fatto assassinare da Kinshasa – dicono gli oppositori del regime- perché si opponeva alla caduta di Goma, salvo ricevere gli onori riservati a un generale caduto in battaglia ; gli altri generali, la notte stessa prima che entrasse l’M23, sono scappati tutti, hanno preso il battello Goma-Bukavu e poi l’aereo a Kavumu per Kinshasa. Il che vuol dire che la resa di Goma era già stata in qualche modo programmata.

Chi ha lasciato cadere i vari villaggi nel Nord Kivu nei tre anni di guerra? È stato l’esercito congolese con la complicità degli infiltrati al comando. Eppure, all’inizio l’M23 aveva solo tremila uomini, dieci volte meno dell’esercito congolese, numeroso dato anche lo stato d’assedio della Provincia. I tradimenti vengono da Kinshasa, dicono i veri patrioti. Per questo ci si chiede se è ancora il caso che l’Est resti attaccato a Kinshasa come col cordone ombelicale, nelle stesse condizioni attuali.

Chi ha resistito sono stati soprattutto gli Wazalendo, non formati, mal equipaggiati, costituiti di tanti gruppi secondo la tribù e la provenienza e gestiti da autoproclamati generali. Anche loro hanno delle miniere. A Uvira ci sono almeno dieci gruppi ciascuno col suo generale.

A che punto è dialogo promosso dalla CENCO?

È un’iniziativa seria. Tshisekedi la sta ostacolando in ogni modo, perché sa che ne uscirebbe perdente. Adesso ha chiesto che ci siano rappresentanti non cattolici né protestanti. e ne prende dalle chiese di risveglio e fra i musulmani. Dev’essere lui a indire il dialogo e ci devono essere tutti, anche gli oppositori condannati (Kabila?), e in un paese neutro: quale? Chi paga? Ci vogliono milioni. Ma è l’unica via per riuscire ad arrivare a una pace di riconciliazione, come avvenne nella Conferenza Sovrana nel 91-92. Sarebbe come una rifondazione dello Stato e di tutto il sistema di governare il Paese.

Dovrebbero anche proporre di cambiare la costituzione. Le province da undici sono diventate ventisei, ma il paese dovrebbe diventare una Confederazione per essere gestibile. Non ci sono più aerei, aeroporti, strade, infrastrutture … Quelle che funzionano sono nelle mani delle chiese cattolica e protestante; se si ritirassero, cadrebbe tutto. Oggi il Paese è talmente per terra, in tutti i sensi (politica, economia, strutture…), che per risollevarlo ci vorrebbe una dittatura fortissima ma intelligente. Una volta dicevano “una mano di ferro in un guanto di velluto”. Ma dove trovare una persona carismatica di questa statura?

L’idea di Confederazione fu bocciata nel 2005, per paura che gli stati federati fossero assorbiti dai paesi vicini. L’autonomia permetterebbe invece una difesa migliore di quella che attualmente fornisce Kinshasa, che ha in qualche modo ceduto nei confronti di Angola, Zambia, Rwanda, Uganda, Ciad (con i Bororo).

Dove sta andando il Congo?

La società civile rimasta nei territori occupati dice: noi abbiamo il linguaggio del dialogo, quelli a cui parliamo hanno il linguaggio della forza. Non potremo mai intenderci. Nella situazione attuale, o c’è una spartizione, dove gli occupanti sono integrati nelle ricchezze del Congo in modo diretto o indiretto, secondo almeno un po’ di giustizia, oppure la situazione di guerra andrà avanti ancora anni e anni.

L’M23 è una copertura, come lo sono stati l’AFDL e l’RCD il CNDP. Quello che il Ruanda vuole è una spartizione di ricchezze minerarie e della terra. Si può esigere che almeno sia fatta con un po’ di giustizia, non con uccisioni e massacri. Secondo l’Accordo di Washington, gli USA investirebbero nell’estrazione dei minerali, che dovrebbero passare legalmente attraverso la frontiera e poi venire lavorati in Ruanda ed esportati. Adesso è l’M23 che prende le tasse, prima le prendevano un po’ tutti. civili e militari congolesi, essendo l’est da anni in uno stato d’assedio.

Inoltre, attualmente, l’estrazione la fanno in gran parte i bambini: ce ne sono 40.000 che lavorano nelle miniere di cobalto del Katanga. Le industrie americane dovrebbero portare il rispetto dei diritti umani e la proibizione del lavoro infantile, rendendo più legale anche l’estrazione, che dovrebbe avvenire in modo industriale.

Nessuno però investe dove non c’è sicurezza. Trump ha detto che non manda nessun militare americano: sono i “mercenari privati” che saranno a servizio delle industrie americane. Soprattutto nel Katanga attualmente è la Cina che comanda e ha centinaia di contratti: li lascerà forse in favore degli Stati Uniti? Il litio dell’ex Katanga è già in mano agli Stati Uniti. Nel Nord-Kivu non arriveranno finché non c’è sicurezza. C’è chi pensa che la guerra finirà alla congolese: i congolesi hanno il loro modo di aggiustare le cose. Già Mobutu diceva che «in Congo se ci sono dei problemi, ci sono anche le soluzioni!».

In “bottega” parliamo spesso di Congo (e con i TAG potete rintracciare articoli, dossier, reensioni a libri importanti). Ad aiutarci c’è anche Ursula Vitali; cfr : Congo: essere giornalisti in una città occupata (del marzo 2025), Morire d’ipocrisia. Diecimila persone uccise in Congo dal 2014 ma anche Congo in pezzi: l’hi-tech fa festa. La vignetta qui sopra (“rubata” a Mauro Biani) ci ricorda una delle tante verità che i grandi media preferiscono ignorare: senza le ricchezze saccheggiate in Congo, le tecnologie “occidentali” non potrebbero funzionare .

Redazione
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