Ricordo di Ansano Giannarelli

E’ stato il più «politico» (con l’allora Pci), il più «terzomondista» ma per certi versi anche il più surreale e sperimentale fra i registi italiani: Ansano Giannarelli è morto a 77 anni. Autore di pochi film e molti documentari, instancabile animatore culturale e di rassegne (come il Festival cinema giovani di Torino) fu tra i fondatori e poi presidente dell’Aamod (l’Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico). Poco noto al grande pubblico ma amatissimo da chi cercava un cinema di ricerca e/o militante. In ogni caso le sue doti tecniche non erano in discussione : «16 ottobre 1943», il suo “corto” d’esordio (nel 1960), fu premiatissimo e sfiorò l’Oscar.

Nato a Viareggio nel 1933, come documentarista ha girato il mondo: oltre 50 documentari e molte trasmissioni per la Rai. Non solo politica anche proporre arte, storia e scienza rivestendola di attualità e fascino (un po’ come l’ultimo Roberto Rossellini).

Fra i suoi pochi film che arrivarono nelle sale due hanno fatto discutere, persino accapigliare. «Sierra maestra» (del 1969) narra le vicende di un giornalista italiano complice dei guerriglieri venezuelani. «Non ho tempo» (del 1973) scandaglia la brevissima vita di Evariste Galois, matematico geniale.

Giannarelli era convinto che far cinema significasse coinvolgere. In una recente intervista spiegava: «Educare alle immagini significa non solo imparare a valutare le immagini che ci propongono, ma anche a farne ciascuno di sue: è un compito che credo gigantesco, e che esigerebbe proposte ed elaborazioni radicali. Un po’ simili, se volete, a quelle che cominciano a manifestarsi a proposito di un altro aspetto centrale dell’economia politica del XXI secolo: la proprietà intellettuale come forma di dominio. Le alternative a volte sono anche presentate in modi paradossali ma stimolanti, come il “partito pirata” svedese che ha un rappresentante al Parlamento europeo». Lui è stato anche un grande educatore: chi ha assistito alle sue lezioni è rimasto stregato da competenza, passione e capacità didattica.

Fu animato, sino all’ultimo, dalla voglia di cercare e sperimentare. Nel ’93 racconta il lavoro dei pescatori di Ravenna e Rimini, nel ’96 si mette in camnmino – ovviamente con la cinepresa in spalla – sui sentieri dell’Aspromonte prima e sulle tracce del Che Guevara poi. Non per caso, nel suo film più memorabile e inquietante («Non ho tempo») uno dei personaggi spiega: «I matematici non deducono, i matematici spiano, sondano, sollecitano la scienza e quando giungono a risultati nuovi vi giungono come a tentoni, direi quasi per caso».Fino all’ultimo Giannarelli fu un po’ matematico (come era suo padre): unendo metodo, lavoro, fatica, studio e …. andare a caso.

Molti suoi documentari ma anche quelli che ha promosso si possono rintracciare presso l’Amoood (www.aamod.it) nata nel 1979, riprendendo le idee di Cesare Zavattini. Lì si trovano oltre 10 mila ore di pellicole e video-registrazioni con le immagini girate dai grandi del cinema italiano (da Giuseppe Bertolucci a Florestano Vancini) e da bravissimi sconosciuti ma lì sono disponibili anche manuali di lavoro e corsi di formazione.

Uno sguardo partigiano il suo. Come spiegava (in «Filmare il lavoro», volume Aamod del 2000): «Il punto di vista è un modo particolare di intendere o valutare una realtà (…) Come osserva il contadino non proprietario la terra piena di sassi e come la ossserva il contadino proprietario o il padrone tout court che non la lavora?». Operai, tecnici di computer, chiunque lavori – ribadiva Giannarelli – non ha lo stesso sguardo sul mondo e dunque lo stesso modo di narrarlo di chi non ha mai sudato. “Ma il lavoro c’entra poco con il cinema” avrebbe obiettato qualcuno. Giannarelli si sarebbe fatto una risata e avrebbe risposto (come in effetti fece in un convegno): quali sono le prime immagini nella storia del cinema? Gli operai che escono dall’officina di Lumière. E uno dei film più visti nella storia non è forse il «Tempi moderni» di Charlot?

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