Scomode verità a sinistra

di Gian Marco Martignoni  (*)

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Da lettore de «il manifesto» sin dal 1974/75 ho naturalmente seguito il dibattito «C’è vita a sinistra» e quindi non posso che condividere l’opinione di Daniele, anche se ho tentato di buttare un sassolino nello stagno, dato che una qualche idea del perché siamo sprofondati così in basso me la sono fatta da tempo, giacché quotidianamente entro nei più frammentati luoghi di lavoro e incrocio nelle sedi sindacali i lavoratori e le lavoratrici in carne e ossa. Per questa ragione chiedo alla “bottega” di ospitare la mia opinione – non fu pubblicata su «il manifesto». (GMM)

Varese, 5 ottobre 2015

Cara direttrice,

fare i conti con le “scomode verità” ben squadernate nell’intervento di Franco Bifo Berardi di mercoledì 30 settembre evidentemente non comporta l’adesione al suo paradossale positivismo tecnologico inteso quale “fattore di liberazione”, come il vuoto politico determinato dalla frammentazione della sinistra radicale comunista non può tradursi nell’affidare le nostre sorti al più che equivoco M5S (Pasquale Faraco).

Poiché «il manifesto» ha lanciato un dibattito assai intenso e partecipato, si tratta di comprendere – fatta la debita tara delle gravi responsabilità di un ceto politico votato alla sua narcisistica autoriproduzione (Bertinotti, Ferrero, Vendola, ecc.) – per quali ragioni la depoliticizzazione della società e la desindacalizzazione del mondo del lavoro hanno ridotto al lumicino una pratica antagonista di massa.

Al punto che il cosiddetto caso italiano, teorizzato a suo tempo dal gruppo del «manifesto», si è tramutato nel suo opposto, in quanto gli attuali rapporti di forza tra le classi sono completamente sbilanciati a favore dell’impresa e di Confindustria (Antonio Bevere).

Anche se, riprendendo l’ amaro ma realistico pampleth di Guido Mazzoni «I Destini Generali», il trionfo del capitalismo e dell’egemonia della forma di vita occidentale ha determinato il prevalere della ragione cinica, quella impersonificata dalle tecnocrazie al servizio dell’ideologia neo-liberista. Sicché quanto è accaduto in Grecia ha a che fare con questa asimmetria sul piano dei rapporti di forza, nonché con gli errori dovuti a quell’impreparazione politica su cui focalizza l’attenzione «Le Monde Diplomatique» di settembre.

Tornando a noi, la fuga in avanti sui referendum di Pippo Civati è la plastica dimostrazione che per raccogliere 600 mila firme serve qualcosa in più del rilancio di un certo spirito militante.

Pertanto, per perseguire obiettivi di tale portata, urge la ricostruzione di una forza organizzata, dato che è inimmaginabile che si possa resistere all’offensiva del capitale solo sul piano sindacale, stante il declino dell’identità di classe – per via delle modificazioni profonde intervenute nella composizione di classe – e delle identità politiche novecentesche (si veda l’intervista a Colin Crouch del 26 marzo).

Quindi, dopo il fallimento di Rifondazione Comunista e il mancato decollo di Sel, bisogna lavorare per la formazione di un soggetto politico, come ha lucidamente argomentato Guido Liguori, dotato di un “programma fondamentale”, in grado di durare e soprattutto di formare una nuova generazione di quadri, andando oltre il mero appuntamento elettorale.

A tal fine, ritengo opportuna una interlocuzione dialettica con i compagni e le compagne che nel luglio scorso hanno dato vita alla Costituente comunista, in quanto non si comprende perché nel Front de la Gauche vi sia al suo interno il Pcf e nel nostro Paese non ci si muova con analoghe modalità.

Fraterni saluti

Gian Marco Martignoni

(*) La viignetta è di ALTAN. Confronta qui in bottega C’è vita a sinistra? Boh che ha stimolato l’intervento di Martignoni.

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