Scor-data: 14 luglio 1969

La guerra del calcio tra El Salvador e Honduras

di David Lifodi (*)  

Successe dal 14 al 20 luglio 1969: il dittatore López Arellano, che governava l’Honduras con il pugno di ferro, si trovò di fronte ad uno sciopero generale che lo avrebbe potuto rovesciare e utilizzò il confronto sportivo con El Salvador sia per sviare l’attenzione dal caos interno sia per giustificare, così, l’espulsione di migliaia di contadini salvadoregni emigrati nel suo paese. Al tempo stesso, per questioni puramente nazionalistiche e per ottenere maggiore consenso interno, il presidente di El Salvador Fidel Sánchez Hernández non si tirò indietro: entrambi scelsero di farsi la guerra in quello che è conosciuto come “il conflitto delle cento ore”, o, più popolarmente, come “la prima guerra del football”, per utilizzare le parole del reporter polacco Ryszard Kapuściński, testimone diretto di quegli avvenimenti.

L’antefatto: il calcio era arrivato in Centroamerica tra la fine degli anni ’50 e l’inizio dei ’60: nel 1969 Honduras e El Salvador si giocavano la loro prima partecipazione alla Coppa del Mondo, che avrebbe avuto luogo in Messico nel 1970: la vincente del doppio confronto avrebbe sfidato Haiti per un posto ai mondiali. Le partite di andata e ritorno, a Tegucigalpa e San Salvador, furono caratterizzate dalle rispettive violenze delle tifoserie contro la squadra ospite: sia l’albergo dove alloggiavano i salvadoregni sia quello dove  risiedevano i salvadoregni furono presi d’assalto, con il lancio di sassi contro le finestre delle camere, uova marce, addirittura topi morti e lo scoppio di petardi. Entrambi i governi sfruttarono l’occasione per presentare come barbaro il popolo avversario. All’andata, l’8 giugno 1969, si impose l’Honduras per 1 a 0, ma al ritorno fu El Salvador a vincere per 3 a 0, vendicando il suicidio della diciottenne Amelia Bolańos, uccisasi per non aver potuto sopportare la sconfitta della sua squadra, sepolta con il picchetto d’onore militare e i funerali di stato come un’eroina nazionale. Si rese necessario uno spareggio, allo stadio Azteca di Città del Messico: il 26 giugno 1969 El Salvador beffò l’Honduras vincendo per 3 a 2 ai supplementari, mentre almeno 5mila poliziotti messicani si trovarono nel mezzo di una vera  e propria battaglia tra le tifoserie. Pochi giorni dopo i due paesi centroamericani interruppero le relazioni diplomatiche e il 14 luglio 1969 la parola passò alle armi. Nel suo libro, La prima guerra del football e altre guerre di poveri, Ryszard Kapuściński scrisse che i piccoli stati del Terzo e Quarto Mondo, in questo caso Honduras e El Salvador, “possono sperare di suscitare qualche interesse solo quando decidono di spargere sangue”. Ancora più caustico Eduardo Galeano: nel suo Memoria del Fuego lo scrittore uruguayano sottolinea che entrambi i paesi erano dominati dai latifondisti, il potere era nelle mani di dittatori che erano giunti alla presidenza a seguito di un colpo di stato e formatisi alla Scuola delle Americhe di Panama, e ancora che gli Usa vendevano armi a entrambi a Honduras e El Salvador. Il risultato fu che i due popoli furono vittima di un odio reciproco, creato ad arte dagli stessi Stati Uniti e dalle multinazionali e che lasciò sul campo circa seimila morti. Se il calcio rappresentò il casus belli che le oligarchie guerrafondaie e latifondiste dei due paesi cercavano, ben altri furono i motivi che scatenarono il conflitto. El Salvador era (ed è tuttora), il pulgarcito dell’America Centrale, ma con la più grande densità abitativa di tutto il Centroamerica. Prima che la guerra avesse inizio, almeno trecentomila salvadoregni risiedevano in Honduras, a causa di un’economia totalmente eterodiretta dagli Stati Uniti, così come il Mercato Comune Centroamericano, saldamente nelle mani del gigante a stelle e strisce, era ben lieto di aprire le porte di El Salvador alle imprese straniere, le quali non erano sottoposte ad alcuna imposta doganale. Altrettanto sottomesso era l’Honduras: la United Fruit imponeva l’agenda economica al paese per mezzo della sua filiale locale Tela Railroad Company, e si narra che abbia scritto anche la Costituzione honduregna, quella che nel 2009 Manuel Zelaya si proponeva di modificare prima di essere defenestrato da un colpo di stato dell’oligarchia con la complicità degli stessi Stati Uniti. In pratica l’Honduras era (e per molti aspetti lo è anche oggi), un latifondo nordamericano. Disoccupazione, bassi salari e condizioni di lavoro poco dissimili dalla schiavitù, caratterizzavano entrambi i paesi prima della crisi del 1969. Gli Stati Uniti avevano tutto l’interesse a cristallizzare questa situazione che, per certi aspetti, aveva contribuito a ritardare la crescita dei movimenti di liberazione di ispirazione socialista e comunista. Inoltre, l’alleanza tra il capitalismo straniero e la borghesia criolla in chiave antipopolare finì per condizionare sia l’Honduras sia El Salvador. Addirittura, quest’ultimo preferì invadere l’Honduras e dichiarare guerra prima di riprendersi quei circa trecentomila emigranti che, se fossero ritornati a San Salvador, avrebbero rappresentato una catastrofe per l’oligarchia salvadoregna. Del resto l’Honduras costituiva la meta ideale per i contadini salvadoregni, almeno fin quando United Fruit e il dittatore López Arellano non decisero di licenziarli e cacciarli dal paese. Fu in questo frangente che sorse la controversia di carattere calcistico: entrambi gli apparati bellicisti dei due paesi dettero vita ad una campagna ostile, tesa a dimostrare le atrocità commesse dall’altro. Ad avere la peggio i campesinos, che in El Salvador furono reclutati d’obbligo per andare a combattere. El Salvador cercava di puntare l’attenzione sulle violazioni commesse ai danni dei suoi cittadini in Honduras allo scopo di sminuirne l’ondata migratoria, ma lo stesso fecero da Tegucigalpa, denunciando il paese confinante per le violenze contro i suoi emigranti in El Salvador. L’Organizzazione degli Stati Americani (Osa), allora come oggi, non seppe dirimere la controversia e il suo contributo alla risoluzione della crisi fu del tutto inutile. Sospese le operazioni militari il 20 luglio 1969, nove giorni dopo El Salvador fu costretto ad accettare il ritiro delle truppe dall’Honduras in qualità di paese invasore, ma ancora una volta entrambi i paesi intendevano cantare vittoria. L’Honduras voleva festeggiare la sua influenza diplomatica presso l’Osa, che aveva imposto il ritiro delle truppe a El Salvador che, d’altro canto, cercò di sottolineare come la stessa Osa avesse obbligato Tegucigalpa a rispettare i diritti dei suoi emigranti. Alla fine, gli unici vincitori furono gli Stati Uniti e le oligarchie locali. Gli stessi calciatori salvadoregni, dopo che erano serviti al loro governo per far accendere gli animi dell’opinione pubblica e aver condotto la nazione a México 1970, vincendo anche lo spareggio con Haiti, non ricevettero alcun riconoscimento dal loro paese, così come quelli honduregni, che pure avevano ceduto solo ai supplementari. Anzi, i giocatori di entrambe le squadre rischiarono la vita durante l’assedio dei tifosi rivali e furono scortati all’interno degli impianti sportivi con i carri armati dei militari.

A perdere fu il popolo di entrambi i paesi, ma le strutture sportive furono utilizzate come strumento di repressione anche durante il golpe in Honduras di fine giugno 2009, quando i sostenitori di Manuel Zelaya furono deportati in due stadi di Tegucigalpa: Chochi Sosa e Lempira Reyna Zepeda.

(*) Ricordo – per chi si trovasse a passare da qui per la prima volta – il senso di questo appuntamento quotidiano. Dall’11 gennaio 2013, ogni giorno (salvo contrattempi sempre possibili) troverete in blog a mezzanotte e un minuto una «scordata» – qualche volta raddoppia, pochi minuti dopo – di solito con 24 ore circa di anticipo sull’anniversario. Per «scor-data» si intende il rimando a una persona o a un evento che per qualche ragione il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna dimenticano o rammentano “a rovescio”.

Molti i temi possibili. Molte le firme (non abbastanza forse per questo impegno quotidiano) e assai diversi gli stili e le scelte; a volte troverete post brevi: magari solo una citazione, una foto o un disegno. Se l’idea vi piace fate circolare le «scordate» o linkatele ma ovviamente citate la fonte. Se vi va di collaborare – ribadisco: ne abbiamo bisogno – mettetevi in contatto (pkdick@fastmail.it) con me e con il piccolo gruppo intorno a quest’idea, di un lavoro contro la memoria “a gruviera”. (db)

 

 

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *