Siamo ancora qui

Care compagne, care amiche, care tutte,
a un anno dal nostro primo appello «Scioperiamo per fermare la cultura della violenza» ci ritroviamo ancora qui, certamente meno sole ma ancora con molta strada da fare per

riappropriarci del rispetto e della dignità del nostro essere donne. Quante di noi, nell’arco di questo pezzo di tempo, hanno pensato di mollare, di non partecipare più a convegni o dibattiti, di non discutere più a casa perché l’impegno è troppo gravoso e ogni giorno la cronaca ci vomita addosso tutta la misoginia di cui è intrisa la nostra cultura? Tante, troppe. Ma a questo dobbiamo continuare ad opporci, ferme e diritte.
Facciamo nostra, ogni giorno, l’idea che nessun femminicidio, nessuna obiezione di coscienza, nessuna discriminazione ci possa fermare.
Sono di questi giorni un paio di notizie sulle quali vogliamo soffermarci. Una viene dagli Usa, l’altra dall’Italia. Negli Stati Uniti i giudici della Corte Suprema hanno stabilito che le aziende private, sulla base delle proprie convinzioni religiose, potranno rifiutare di rimborsare le spese sostenute dalle loro dipendenti e dai loro dipendenti per la contraccezione. Queste spese, garantite dall’Affordable Care Act, prevedono, fra le altre cose, che i datori di lavoro paghino i contraccettivi alla loro classe lavoratrice, compresi i contraccettivi di emergenza, vale a dire la «pillola del giorno dopo». A parte il fatto che da noi sarebbe una rivoluzione totale pretendere dalla Pirelli o dalla Barilla di pagarci i profilattici, l’impressione è che il non rimborso di queste spese sia strettamente legato all’interruzione di gravidanza. Vuoi vedere che a forza di esenzioni – prima alle istituzioni religiose, poi alle piccole imprese familiari che già ne godevano, adesso anche alle industrie private che si appellano a Dio e ai santi – verrà svuotato anche il diritto all’aborto? Leggiamo su «Repubblica», che riporta la notizia, il primo luglio: «Si stima che per effetto dello stillicidio di esenzioni, un terzo delle lavoratrici dipendenti americane non abbia diritto al rimborso delle spese mediche per l’interruzione di gravidanza».
L’altra – altrettanto pesante – notizia riguarda invece i nostri centri anti-violenza. In breve, il governo ha deciso di ripartire i fondi previsti dalla cosiddetta «legge contro il femminicidio» dell’agosto scorso (legge 119/2013, per gli anni 2013/14) con criteri a dir poco inaccettabili. Si tratta di 17 milioni suddivisi così: quasi 6 milioni di euro per nuovi centri anti-violenza (che si formeranno “last minute” per accontentare quel politico o quel barone?); 9 milioni di euro alle Regioni, che finanzieranno progetti sulla base di bandi (ovvero, per favorire clientelismi controllati dall’immarcescibile politica?); mentre ai 352 centri anti-violenza e case rifugio esistenti, e che operano con efficacia da decenni e in regime di volontariato, toccheranno solo circa 3 mila euro l’anno, per ciascun centro. 250 euro al mese! Neanche sufficienti per pagarci le bollette della luce, come denuncia la rete Dire. Questa è l’alta considerazione che il governo ha del problema.
E questo ci dice quanto dobbiamo restare all’erta, sempre. Ogni giorno, ogni momento, in ogni angolo sulla Terra per avere riconosciuti i nostri diritti. Come donne, come cittadine, come lavoratrici.
Nonostante la situazione, siamo discretamente fiduciose. E convinte che il potenziale umano e di risorse per dare battaglia contro questa cronica iniquità ci sia ancora. Perciò vogliamo rilanciare lo Sciopero delle donne, perché crediamo che si possa, anche solo per un giorno nella vita di tutte noi, fermarci e fermare questo fiume che tracima la nostra quotidianità di donne multitasking, alle prese con la cura del mondo intero.
Vi chiediamo, dunque, ancora una volta, di crederci insieme a noi. Il 25 novembre fermiamoci e sospendiamo qualunque attività stiamo svolgendo. Un giorno di riflessione per tutte. E per tutti. Vi chiediamo di lavorare di nuovo insieme per chiedere alle istituzioni di affiancarci seriamente e con criterio, anche con sostegni attivi nei vari territori; e alle insegnanti di coinvolgere più scuole possibili. Perché, come ci siamo dette mille volte e come qui ribadiamo, è solo cambiando la cultura delle nuove generazioni che sarà possibile immaginare una società in cui la violenza maschile sulle donne sia confinata ad atti isolati di criminalità ordinaria e non a consuetudini quotidiane accettate ovunque, in famiglia, sui luoghi di lavoro, nella vita di tutti i giorni come uno dei prezzi “minori” da pagare nel difficile cammino verso una più equilibrata relazione politica fra i sessi.
Vi aspettiamo. Con proposte, idee da mettere in campo per la giornata del 25 novembre prossimo, con iniziative e manifestazioni in tutta la penisola da rilanciare sui social network e su tutti i media e fare di nuovo rete per una grande e partecipata Giornata contro la violenza maschile sulle donne. Che dia uno scossone – fortissimo – a tutte le teste di questo Paese.
Un abbraccio a tutte voi, buone ferie e buone vacanze, a risentirci a settembre,
Adriana, Barbara, Tiziana

Redazione
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