Silvia Federici: una ipotesi ispirata dalla sua indagine rivoluzionaria

di Enrico Semprini
In questo articolo si vogliono focalizzare 3 questioni partendo dal lavoro di Silvia Federici:

  1. il pensiero della sinistra rivoluzionaria dovrebbe dividersi in due epoche: prima delle analisi di Federici e dopo le sue analisi, perché ci sono tutti i presupposti per un cambio di paradigma;

  2. l’influenza potenziale dei nuovi presupposti determinati dal suo lavoro;

  3. le conseguenze programmatiche dell’elaborazione di Silvia Federici.

1.

Ripensando agli anni passati da quando è uscito il libro “Calibano e la strega” c‘è da chiedersi come mai il dibattito rivoluzionario non si sia incentrato sul portato e le conseguenze di quanto è stato esposto nel suo lavoro.

Le conseguenze non indagate nel pensiero della sinistra rivoluzionaria che guarda a Marx per criticare il sistema di produzione in cui siamo immersi, ci lasciano nel ritardo e nelle secche di una mancanza di capacità nell’immaginare il futuro che sarebbero invece rinvenibili grazie a Federici.

Cerchiamo di spiegare i termini meno utilizzati per permettere una comprensione più profonda di quanto si cerca di sostenere.

Partiamo dunque dalla concezione di paradigma e prendiamo in prestito una definizione tratta da “spiritoartigiano.it”:

«Il concetto di cambio di paradigma è una espressione mutuata dal linguaggio di Thomas Kuhn, usata per descrivere il mutamento dirompente che avviene quando una scoperta scientifica rivoluziona tutta la conoscenza che si dava per assodata fino a quel momento. Riprendere questo concetto e riportarlo al centro del dibattito, non in termini scientifici, ma sociali, economici e politici, mi sembra essenziale perché un cambio di paradigma è esattamente ciò che consegue dallo studio del lavoro di Silvia Federici.

La mancanza di riflessione sulla profondità del mutamento che tale lavoro costituisce per il pensiero rivoluzionario1, rende difficile poter riflettere sul futuro della nostra società e sulle risposte da cercare, che siano adeguate e all’altezza.

Il termine “paradigma” ha una forza espressiva molto radicale. Deriva dal greco e indica qualcosa di esemplare, a cui fare riferimento per comprendere l’orizzonte in cui si vive. Il paradigma è dunque ciò su cui si costruisce un modello sociale, filosofico, economico, politico. È il punto da cui si formano le identità e da cui le cose prendono forma.»

Federici applica il materialismo storico ad un periodo determinato, cioè il periodo della “caccia alle streghe”, e ne trae la conclusione che il pensiero di Marx nella parte relativa all’accumulazione primitiva, non tiene conto della espropriazione del potere riproduttivo femminile per renderlo funzionale allo sviluppo del sistema di produzione capitalista.

Cosa si intende per accumulazione primitiva?

E’ il periodo in cui per alcuni secoli si assiste ad una riorganizzazione sociale che rende possibile il passaggio da un modello produttivo di tipo feudale, al modello produttivo di tipo capitalista.

Per costruire il modello sociale dinamico tipico del capitalismo, è stato necessario strappare le popolazioni dalle campagne, territori statici determinati dalla certezza del proprio destino, verso le città, territori dinamici determinati dalla incertezza totale del proprio destino individuale, collettivo e sociale.

Per ottenere questo risultato si è dovuto rendere la vita impossibile a milioni di esseri umani nei propri territori di nascita, esercitando una violenza organizzata e favorita dalla nascita e sviluppo degli stati moderni.

Il limite di Marx che viene analizzato dal lavoro di Federici, risiede nel fatto che Marx si sofferma sull’esproprio delle risorse produttive subìto dalle popolazioni europee e coloniali, attuato attraverso la separazione di chi viveva con il proprio lavoro dagli strumenti della produzione e dalle certezze sociali caratteristiche della società contadina; tuttavia non focalizza la sua attenzione anche sulla espropriazione delle modalità di riproduzione, cioè non analizza il cambiamento delle relazioni sociali in un contesto storico nel quale si pongono le basi della dominazione capitalista e sulla necessità di espropriare le donne del monopolio sulla vita riproduttiva. Secondo Federici, questo aspetto della espropriazione della ricchezza sociale, meno appariscente ma non meno necessario, costituisce la carenza fondamentale della analisi marxista.

Il potere di produrre nuova popolazione, che precedentemente era relativo alla possibilità di sopravvivenza in condizioni più o meno date e che era gestito da una responsabilità sociale di cui le donne si facevano completamente carico, diventa un problema di programmazione di cui gli stati iniziano ad interessarsi e farsi carico, perché la macchina produttiva capitalista necessita di programmare la riproduzione delle nuove braccia da mettere al lavoro e da mandare in guerra.

Vediamo cosa ci dice Federici:

«Il mercantilismo è stato spesso liquidato dagli economisti come un sistema di pensiero poco sofisticato, perché sosteneva che la ricchezza delle nazioni è proporzionale alla quantità di denaro e di lavoratori disponibili. I mezzi violenti di cui i mercantilisti si sono serviti per appagare la loro fame di forza-lavoro hanno contribuito a questa cattiva reputazione, poiché molti economisti sembrano ancora illudersi che il capitalismo promuova la libertà e non la coercizione. Furono i politici mercantilisti a inventare le case di lavoro, a dare la caccia ai vagabondi, a “trasportare” i criminali nelle colonie americane e a investire nel commercio degli schiavi, e tutto questo mentre predicavano l’”utilità della povertà” e dichiaravano l’”ozio” una piaga sociale. Per questo non ci si è resi conto che nella teoria e nella pratica mercantilista si trova l’espressione più diretta dei requisiti della accumulazione originaria e la prima politica capitalistica che affronta in maniera diretta il problema della riproduzione della forza lavoro.»

E ancora:

«Tuttavia l’iniziativa più importante promossa dallo stato per ottenere il tasso di popolazione desiderato fu l’avvio di una vera e propria guerra contro le donne, con il chiaro scopo di spezzare il controllo che esercitavano sui loro corpi e sulla riproduzione. Come vedremo, questa guerra fu portata avanti principalmente con la caccia alle streghe, che demonizzò ogni forma di controllo delle nascite e di sessualità non procreativa, accusando le donne di sacrificar i bambini al diavolo. Ma un’altra sua arma fu la ridefinizione di ciò che si intende per crimine riproduttivo. Fu così che, a partire dalla metà del XVI secolo, mentre le navi portoghesi ritornavano dall’Africa con i loro primi carichi di esseri umani, tutti i governi europei iniziarono a imporre pene più severe contro la contraccezione, l’aborto e l’infanticidio.»

L’interesse straordinario del lavoro di Federici, consiste nel fatto che è la prima volta che una filosofa e sociologa propone una analisi storica che individua delle cause materiali ad un fenomeno, come quello della caccia alle streghe, del quale nessun’altra ricostruzione riesce a dare una spiegazione convincente.

Facciamo un breve excursus sulla questione della Caccia alle Streghe:

Umberto Eco, citato dalla enciclopedia Treccani, parla del verificarsi di «Una sorta di psicosi collettiva sembra impadronirsi dell’Europa occidentale, in una specie di corto circuito che si stabilisce tra “residui” di un’eresia non del tutto debellata…»;

Alessandro Barbero, incalzato in un’intervista televisiva per il programma Storia e Cultura da Giancarlo Di Giovane, irride ai maestri della legge del tempo che si occupavano di stregoneria;

sul sito del Cicap, che difende il pensiero scientifico, ci si arrende in questo modo: «In questa sede non è possibile descrivere esaurientemente un dibattito storiografico estremamente complesso: ci limitiamo a riassumere alcuni dei fattori considerati più importanti.»

per finire con Wikipedia che parla de « l’interesse dell’antropologia per studiarne cause e circostanze, trovandovi legami comuni legati al tentativo di spiegare avvenimenti umani come malattia e morte, disgrazie o carestie.»

In sintesi: in nessuna spiegazione si ritrova una motivazione sociale convincente che ci porti a comprendere quali esigenze costringevano maestri di legge ad occuparsi di situazioni tutto sommato apparentemente marginali (nel citato programma “Storia e cultura” ci si stupisce di trovarsi a parlare di storie che arrivano in una città come Modena da sperdute campagne collinari), eccetto nel lavoro di ricerca ed approfondimento di Silvia Federici.

2.

Cerchiamo ora di capire perché in questo scritto si attribuisce tanta importanza al lavoro federiciano.

In ogni progetto politico, sociale ed economico, se cambiano le premesse, devono cambiare le conseguenze.

Se l’accumulazione originaria si fonda sulla separazione dei contadini dai mezzi di produzione funzionali alla sussistenza, ma anche sulla espropriazione delle donne del potere riproduttivo per farlo diventare una questione di interesse statale e strategico, allora deve cambiare il nostro modo di affrontare il problema del patriarcato nell’interpretazione capitalista, perché la lotta contro la subordinazione femminile cessa di essere un problema etico, morale e di conseguenza politico e si trasforma in un problema politico, sociale e strategico, cioè un qui ed ora che non può essere ignorato.

Se i pilastri di fondazione del capitalismo da uno diventano due, si capisce che sono da abbattere entrambi in contemporanea e che la sussistenza dell’uno resta funzionale alla riproduzione dell’altro.

In altri termini: senza la fine del sistema capitalista di produzione, non è possibile immaginare una società nella quale la riproduzione sociale, la possibilità di fare figli, non sia subordinata ad una qualche forma, per quanto duttile, di patriarcato; senza la fine di un controllo verticale e statale della riproduzione sociale, visione patriarcale, non è possibile immaginare una società democratica e partecipativa.

Qui si precisa che nella visione patriarcale della società, si integra anche tutta la politica relativa alla immigrazione, cioè tutta la politica degli stati volta a determinare un controllo della forza lavoro in funzione delle necessità della produzione capitalista e dell’interesse privato.

3.

Il programma che può uscire da queste premesse, si fonda proprio nella possibilità di fondare una concezione dell’interesse collettivo in funzione anti-individualista e contraria alla proprietà privata dei mezzi di produzione: questa è la proposta interpretativa di questo articolo.

Una concezione che parte dalla economia domestica per arrivare alla rivoluzione sociale.

Proviamo ad individuare alcuni dei concetti che sono alla base della economia domestica2, sperimentando l’idea di farne la base di un progetto politico generale:

«Spendere con consapevolezza

Non è facile se si è abituati ad acquistare con frequenza tutto ciò che si desidera o si pensa di aver bisogno. L’economia domestica non è destinata solamente a chi ha difficoltà economiche, ma anche e soprattutto a chi ha le possibilità di spendere denaro, e vuole imparare a evitare gli sprechi in modo da avere un piano per il futuro dei propri risparmi.

Nel mondo consumista di oggi è più difficile separare ciò che ci serve davvero da ciò di cui potremmo benissimo fare a meno. Ed è qui che entra in gioco l’economia domestica, che insegna a spendere con coscienza…

Risparmio energetico

L’economia domestica passa inevitabilmente per i consumi quotidiani e per il risparmio energetico: di alcune cose non possiamo certo fare a meno, possiamo però ottimizzare i consumi con un minimo di attenzione.

Economia domestica e sostenibilità: come ridurre l’impatto ambientale

L’economia domestica di oggi differisce ovviamente dalla disciplina che insegnavano nelle scuole italiane fin dopo la guerra. In questo momento c’è necessità di un imparare a fare economia domestica rivolta alla sostenibilità. Questi due concetti vanno di pari passo. Avere una corretta cura della casa e del lavoro domestico permette di mettere in pratica comportamenti virtuosi verso l’ambiente e il pianeta.

Il risparmio in termini economici è una conseguenza di scelte intelligenti che aiutano a salvare non soltanto denaro, ma anche a evitare gli sprechi. Come si può ridurre l’impatto ambientale facendo una giusta economia domestica?

1. Limitare i rifiuti

I rifiuti e i sistemi di smaltimento che continuano a crescere stanno distruggendo la Terra. La raccolta differenziata e il riciclaggio aiutano, ma iniziano a non essere più sufficienti. Di conseguenza, un comportamento utile e sostenibile è quello di limitare l’utilizzo di prodotti imballati, specialmente nella plastica.

Prima fra tutte l’acqua:…

2. Meno prodotti usa e getta

I rifiuti usa e getta non riciclabili sono i peggiori nemici della sostenibilità. Alcuni possono essere davvero indispensabili, se pensiamo ad esempio ai dispositivi medici, ma ognuno di noi può fare la differenza anche in questo.

3. Riciclo creativo

Riutilizzare gli oggetti con altri scopi è un modo creativo e funzionale, oltre che sostenibile. Per fare qualcosa di diverso anche con i propri bambini, esistono tantissime idee e possibilità di riciclo creativo in casa. Questo è uno dei principali metodi per l’economia domestica sostenibile.

4. Creare a casa

Senza dover necessariamente disporre di un intero orto, ci sono alcune cose che si possono coltivare in casa in piccoli vasetti. Così come alcune preparazioni alimentari che non necessitano di tante ore e tempo libero…

5. Meno auto

Le automobili sono un altra immensa fonte di inquinamento, e mentre le alternative sostenibili sono ancora in fase di realizzazione, l’opzione migliore rimane quella di usare mezzi di trasporto non inquinanti. Quando possibile, meglio prediligere una passeggiata o un giro in bicicletta e in e-bike: si risparmia denaro, fa meglio alla salute, si riduce l’impatto inquinante.»

E ancora:

«Com’è nata l’idea di introdurre nelle scuole e nelle aziende l’educazione all’economia domestica per affrontare il tema della sostenibilità?

Rosaria: L’economia domestica è una disciplina trasversale che abbraccia molti campi d’azione.

Dalla cura della casa al lavoro domestico, passando per l’igiene, l’abbigliamento, l’alimentazione e la gestione economica del bilancio personale e familiare.

In Italia questa materia è scomparsa dai programmi scolastici alla fine degli anni ‘70, ma queste discipline si traducono in azioni che ognuno di noi compie tutti i giorni e che sono strettamente legate alla qualità della nostra vita, alla nostra salute, come pure al benessere dell’ambiente e della società.

Tutto questo è strettamente legato allo sviluppo sostenibile.»

 

Come si osserva l’economia domestica investe direttamente le necessità di costruire un mondo differente.

E se: lottassimo per un mondo che si sviluppa a partire dalla raccolta delle esigenze reali delle persone concrete che programmano la loro vita sulla base delle loro esigenze domestiche?

Significherebbe dover raccogliere milioni, miliardi, di esigenze, sistematizzarle, e pensare alle aziende come terminali delle esigenze sociali: una specie di Amazon alla rovescio.

Significherebbe pensare allo sviluppo delle tecnologie informatiche come un progetto al servizio delle esigenze umane, cioè pensare alle macchine come ad un possibile strumento di liberazione sociale, anziché come ad una forma di assoggettamento agli interessi privati di una minoranza.

Significherebbe…farsi una idea di cosa vogliamo, avere una idea di una rivoluzione certamente possibile e, soprattutto, necessaria.

Significherebbe…ripensare all’organizzazione sociale ed anche a come organizzarsi per costruire la dinamica della rivoluzione.

Come qualcuno diceva: «I filosofi hanno finora interpretato il mondo in modi diversi; si tratta ora di trasformarlo

1I corsivi sono inseriti dall’autore.

Enrico Semprini

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