Spremere il lavoro

di Re:Common

Un report che denuncia i danni prodotti dal capitalismo della filiera logistica

In un report precedente  – How infrastructure is shaping the World 1 (Come le infrastrutture danno forma al mondo) – Counter Balance ha inteso sondare gli interessi politico economici alla base dei “mega corridoi” infrastrutturali: le reti transcontinentali su strada, rotaia, aria e mare costruite per servire sistemi di consegna just-in-time, e perconsentire l’estrazione di risorse minerarie ed altre materie prime in zone sempre più sperdute, con grandi costi socio-ambientali.

Questi corridoi, concludeva il rapporto, sono un tentativo cosciente di “riorganizzare la geografia economica” in funzione del capitale.

Per arrivare ad una “gestione integrata dei corridoi”, per esempio, questi vengono trasformati in zone di libero scambio in cui progressivamente si abbattono tasse, controlli sui confini, burocrazia ed altre barriere “erette dall’uomo” che, citando la Banca Mondiale, “aumentano le distanze” rallentando il trasporto delle merci.

Anche i diritti dei lavoratori e i salari vengono erosi, poiché l’agenda dei corridoi genera sacche di lavoro sottopagato “agglomerando” gli individui in zone economiche “a grappolo”.

La tendenza porta a “infrastrutture sempre più Estreme”. Estreme per via delle dimensioni delle infrastrutture progettate. Tutti i continenti, esclusa l’Antartide, sono interessati.

Estreme perché si permettono attività estrattive sempre più distruttive, con l’apertura di depositi di petrolio e minerali in zone precedentemente reputate intoccabili.

Estreme  perché fondate su uno sfruttamento della produzione più intenso, facendo sì che il capitale possa attingere in zone in cui il lavoro è più economico e vulnerabile.

Estreme perché dipendono da una finanza ancor più spinta rispetto a prima, vedi l’uso di asset class altamente rischiose. Inoltre, estreme perché possono funzionare solo tramite politiche Estreme, consistenti in forme elitarie di pianificazione profondamente non democratiche.

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In Corridoi come fabbriche, Counter Balance si propone di esaminare a fondo l’assalto al lavoro collegato alla globalizzazione delle catene di distribuzione e dei corridoi infrastrutturali ad esse associate.

Attingendo all’opera di accademici come Deborah Cowen, questo rapporto vuole analizzare l’attuale stretta della “logistica” (la pratica gestionale che orchestra il movimento di merci lungo corridoi e filiere) su produzione, distribuzione e consumo globali, cercando di capire come certe pratiche abbiano permesso al capitale di estendere la produzione oltre la fabbrica convenzionale, lungo le catene di distribuzione ed oltre, permettendo di spremere il lavoro in ogni fase al fine di aumentare i profitti.

Siamo sempre più – nel nord come nel sud – “logisticizzati” (citando Geoff Mann ⁴, docente di geografia alla Simon Fraser University). Per l’approvvigionamento quotidiano, ci affidiamo a reti di potere politico-economico finalizzate al profitto, piuttosto che alla mutua sopravvivenza. Più rimaniamo invischiati in queste reti, più ogni nostro movimento verrà inglobato in un sistema di generazione di ricchezza iniquo, ingiusto e distruttivo .

La prima parte del report osserva la proliferazione su scala mondiale di hub logistici, ovvero porti sul mare, interporti nell’entroterra, “aerotropoli”, sistemi di scambio autostradale e servizi per realizzare, processare, dividere, stoccare e distribuire merci, in un mondo in cui il movimento di beni è sempre più orchestrato dalla “logistica”.

La seconda esplora i modi in cui outsourcing, delocalizzazione e logistica hanno trasformato drasticamente l’intero concetto di produzione.

Ormai non sono più soltanto gli operai della catena di montaggio ad essere considerati produttori: anche camionisti, portuali e consumatori, visto che i dati relativi alle attività di consumo quotidiane sono diventate merci sempre più ambite. La logistica ha trasformato i processi di produzione in modo che si estendano ben oltre il tradizionale cancello della fabbrica, permettendo la creazione di profitto in molti più punti della filiera globale.

Le implicazioni per il lavoro sono profonde. L’automazione- incluso tecnologie come la blockchain – combinata a regimi di gestione just-in-time, sottopone i lavoratori a pratiche lavorative degradanti:

ricorso al cottimo sempre maggiore,

monitoraggi elettronici degli operai sempre più approfonditi,

continua pressione verso il basso sugli stipendi

mentre online si sviluppano nuove forme di lavoro non retribuito.

La terza parte esplora la probabile traiettoria del viaggio intrapreso dalla logistica, in assenza di ostacoli. Il percorso porta al maggiore sfruttamento dei lavoratori; a nuove forme di controllo e potere aziendale, principalmente tramite la ristrutturazione del capitale intorno a “piattaforme” di informazioni acquisite in digitale; all’aumento ineluttabile dello sfruttamento energetico; a livelli vorticosi di distruzione ambientale.

Questa sezione, inoltre, prende in esame la resistenza alla logistica e la creazione di alleanze tra oppositori, che potrebbero deviare questo vettore così intrinsecamente distruttivo.

Come potrebbero le organizzazioni non governative (ONG), i sindacati ed altri attivisti (molti dei quali non necessariamente vittimedirette della logistica), aiutare piuttosto che ostacolare coloro che reagiscono visceralmente – per quanto in modi forse ancora disarticolati – perché “Questo non è il mondo che vogliamo”? Quali strade potrebbero rifiutarsi di intraprendere gli attivisti – e come tali “dinieghi” potrebbero assistere le lotte di opposizione alla logistica, ai corridoi infrastrutturali e a ciò che Anna Tsing definisce “supply chain capitalism”  (capitalismo della filiera)?

Scarica e leggi la pubblicazione qui – Testo, foto e video da Comune-info


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