Sterilizzazioni di Stato in America Latina

di David Lifodi

Una scena tratta dal celebre film di Jorge Sanjinés “Sangue di Condor”, del 1969, è focalizzata sulla sterilizzazione delle donne di un villaggio andino boliviano ad opera dei militari statunitensi: purtroppo non era molto lontana dalla drammatica realtà che hanno dovuto subire circa 1300 guatemaltechi negli anni ’40, vittime degli esperimenti sulla sifilide compiuti dagli Usa e che hanno lasciato sul campo 83 morti accertati.

La notizia, rilanciata dal quotidiano Il Manifesto dello scorso 31 Agosto, non solo fa inorridire ma ha il merito di squarciare il velo su un tema assai nascosto, quello relativo alla sterilizzazione delle donne indigene ed agli esperimenti su cittadini latinoamericani ritenuti al limite della devianza sociale, quali prostitute, detenuti, malati mentali. Se il Guatemala potrebbe denunciare gli Stati Uniti di fronte alla Corte Penale Internazionale per crimini contro l’umanità, ancora più sconvolgente è la storia del “Programa de Salud reproductiva y planificación  familiar” voluta dall’allora presidente peruviano Alberto Fujimori tra il 1996 ed il 2000. Spacciato come una campagna di sensibilizzazione volta ad aiutare le donne indigene al fine di programmare la gravidanza, il Programa de Salud nascondeva in realtà una vera e propria pianificazione del controllo delle nascite, il cui fine ultimo era la sterilizzazione forzata. Le testimonianze, alcune delle quali raccolte dalla Defensoría del Pueblo di Cuzco e di Lima, parlano di donne recatesi in ambulatorio per sottoporre i figli a controlli medici di routine, condotte in sala operatoria con la scusa di inoculare loro un semplice vaccino, anestetizzate e sterilizzate a loro insaputa. Sotto accusa, oltre all’ex presidente Fujimori, è finito il ministro della Sanità Alejandro Aguinaga, il maggior sostenitore dell’Anticocepción Quirúrgica Volontaria, che tra il 1999 ed il 2000 raggiunse la sua massima diffusione, ma anche gli altri ministri della salute dell’epoca fujimorista, Eduardo Yong Motta e Marino Costa Bauer, hanno le loro responsabilità. Il rapporto finale della Minsa, la commissione nominata dal Ministero della Sanità, parla di 331.600 donne sterilizzate nel secondo quinquennio degli anni ’90. Inoltre, come già accaduto in Guatemala, anche in Perù c’è lo zampino degli Stati Uniti: la famigerata agenzia per lo sviluppo internazionale Usaid avrebbe investito svariati milioni di dollari nel “Programa de Salud reproductiva y planificación  familiar”. Numerose pubblicazioni sul tema, tra le quali lo studio della consulente della sanità pubblica peruviana Raquel Hurtado (“Aplicación de la anticoncepción quirúrgica: una analisis desde la perspectiva de genero”) e quello della giornalista tedesca Maria Christine Zauzich (pubblicato a Lima sotto il titolo “Perù: politica de población y derechos humanos. Campañas de esterilización 1996-1998”), sono servite a smascherare un piano presentato furbescamente come opera di prevenzione e finanziato lautamente anche dalla Nippon Zaidan, la Fondazione Giappone, che ha sempre appoggiato l’allora presidente Fujimori. Grazie ad un colpo di mano, nel 1995 “El Chino” aveva presentato al Parlamento un disegno di legge che modificasse la “Legge Generale sulla Popolazione” e permettesse il ricorso alla sterilizzazione, vietata appunto dalla legge sulle politiche della popolazione approvata nel 1985: di fatto Fujimori era riuscito nell’intento di far approvare una legge che rendesse legale il controllo delle nascite. Si racconta di medici, dottoresse e assistenti che, con qualche chiacchiera ed offerte di beni di prima necessità, estorcevano alle donne indigene, molte delle quali povere e analfabete, il consenso alle pratiche per la sterilizzazione. Ancora oggi, molte ammettono di aver firmato lettere di consenso senza aver capito cosa autorizzavano ed il dramma a cui andavano incontro. La comunicazione statale, di stampo apertamente razzista, presentava le famiglie con pochi figli come virtuose e quelle con una prole numerosa come retrograde: tutto ciò accadeva non solo nelle campagne, ma anche negli sterminati pueblos jóvenes, i poverissimi insediamenti urbani sorti all’estrema periferia di Lima. La sociologa Giulia Tamayo, in un video girato nel 2004 e intitolato “Nada personal”, parla di una politica di stato studiata a tavolino per evitare una crescita incontrollata della popolazione andina: “Quello che inizialmente era per il governo un obiettivo da raggiungere si è rapidamente trasformato in quote da rispettare in maniera obbligatoria da parte del personale medico e degli istituti sanitari. I buoni risultati comportano delle ricompense; i cattivi delle punizioni”. All’adempimento di questi compiti venivano destinati medici assunti per non più di tre mesi, rinnovabili, e per i quali non valeva l’obiezione di coscienza: in pratica, non potevano rifiutarsi. Trascorsa la dittatura fujimorista (caratterizzatasi per continue violazioni dei diritti umani ed una repressione selvaggia verso qualsiasi forma di opposizione sociale), la mancanza di volontà politica per combattere l’impunità e le misure di protezione non sempre sufficienti per testimoni e vittime hanno fatto si che solo giornalisti indipendenti e piccole associazioni abbiano lavorato con serietà e rigore su un tema che ancora oggi presenta molti lati oscuri. Le sterilizzazioni di stato volute da Fujimori non sono troppo diverse da quelle avvenute, secondo modalità simili, ancora in Guatemala, stavolta negli anni ’70. L’organizzazione internazionale Population Council, nel 1974, avrebbe finanziato esperimenti di sterilizzazione su donne indigene guatemalteche: anche in quella circostanza si giocò sull’ignoranza delle vittime, così come in altri paesi del sud del mondo e classificati come semplici esperimenti.

In Guatemala, come in Perù, non esiste una legge che consideri un delitto l’uso di esseri umani per esperimenti e per questo, nonostante le scuse dell’attuale amministrazione statunitense e della stessa Commissione presidenziale per lo Studio degli Affari di Bioetica Usa, sarebbe opportuno un interesse concreto e costante da parte dei vari organismi internazionali per i diritti umani.

Redazione
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4 commenti

  • Famoso davvero “Sangue di condor” ma oggi quasi impossibile a vedere. Negli anni ’70 circolò in modo militante ma comunque esisteva una rete di cineclub e nelle sale normali la censura non era totale. Adesso quel film e molti altri (penso a “Minamata” che racconta la strage da mercurio nell’omonima cittadina del Giappone durata dagli anni ’50 ai ’70) sono introvabili: perduti soprattutto per la memoria storica prima ancora che per il valore filmico (db)

    • Se il Guatemala potrebbe denunciare gli Stati Uniti di fronte alla Corte Penale Internazionale per crimini contro l’umanità, ancora più sconvolgente è la storia del “Programa de Salud reproductiva y planificación familia

      POTREBBEEEEEEEEEEEEEE POTESSE!!!! ERRATA CORRIGE PLEASE!

      • Per Roberta: mi sono accorto solo adesso del tuo commento, ma credo che tu abbia frainteso. Non c’è bisogno di nessuna errata corrige perchè in questo caso la congiunzione “se” non introduce un periodo ipotetico (la frase avrebbe infatti un significato completamente diverso con “potesse”), ma intende dire che effettivamente il Guatemala avrebbe la possibilità di denunciare gli Stati Uniti.
        David

  • A gennaio del 1997 ero in Perù e posso confermare che ho sentito parlare di queste sterilizzazioni di massa delle donne andine. Ricordo anche degli spot televisivi che esortavano ad avere maternità consapevoli e a limitare il numero dei figli per dare loro un maggior benessere. Parlando di questo argomento con gente delle zone di Cuzco mi avevano confermato che mandavano dottori molto giovani e con poca esperienza a sterilizzare le donne “indios”, in ambulatori improvvisati e che spesso seguivano complicanze gravi…veniva anche detto alle donne di stare a riposo per qualche giorno, purtroppo queste donne non potevano farlo, perchè erano il sostentamento per le loro famiglie e quindi le conseguenze erano fatali. Era una politica di controllo delle nascite del presidente Fujimori . L’unica che denunciava e si opponeva a questa politica di controllo delle nascite era la chiesa, per ovvi motivi. Rientrata in Italia, nessuno ne sapeva niente e non ne ho mai sentito parlare.

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