Come UE e USA finanziano il genocidio palestinese

IL PREZZO DEL GENOCIDIO. COME I FINANZIAMENTI USA SOSTENGONO UN’ECONOMIA ISRAELIANA IN DISFACIMENTO

di Dr Ramzy Baroud (*)

In un passo importante verso l’isolamento economico di Israele a causa del suo genocidio a Gaza, il Fondo Pensione Governativo norvegese Global ha deciso di disinvestire da altre aziende israeliane.
Il fondo sovrano norvegese è il più grande del mondo, con investimenti totali in Israele stimati in 1,9 miliardi di dollari. La decisione di disinvestire è stata presa gradualmente, ma è coerente con la crescente solidarietà del governo norvegese con la Palestina e le crescenti critiche nei confronti di Israele.
Assumendo un ruolo di primo piano insieme a Spagna, Irlanda e Slovenia, la Norvegia è stata una voce critica europea del genocidio israeliano e della carestia provocata dall’uomo a Gaza, contribuendo attivamente all’indagine della Corte internazionale di giustizia sul genocidio e riconoscendo formalmente lo Stato di Palestina nel maggio 2024. Questa posizione diplomatica e legale, insieme al suo disinvestimento finanziario, rappresenta uno sforzo coerente e crescente per ritenere Israele responsabile dello sterminio in corso dei palestinesi.
L’economia israeliana era già in uno stato di caduta libera anche prima del genocidio.
Il crollo iniziale è stato legato alla profonda instabilità politica del paese, risultato del tentativo del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e del suo governo estremista di cooptare il sistema giudiziario, compromettendo così ogni parvenza di “democrazia” rimasta in quel paese. Ciò ha comportato un significativo calo della fiducia degli investitori.
La guerra e il genocidio, iniziati il 7 ottobre 2023, hanno solo accelerato la crisi, spingendo un’economia già fragile sull’orlo del baratro. Secondo quanto riportato dal Ministero delle Finanze israeliano, gli investimenti diretti esteri in Israele sono diminuiti di circa il 28% nella prima metà del 2024 rispetto allo stesso periodo del 2023.


Qualsiasi presunta ripresa degli investimenti esteri, tuttavia, era ingannevole. Non è stato il risultato di una mobilitazione globale per salvare Israele, ma piuttosto una conseguenza di un torrente di fondi statunitensi che si sono riversati per aiutare Israele a sostenere sia la sua economia che il genocidio a Gaza, insieme agli altri fronti di guerra.
La Banca Mondiale ha stimato che il prodotto interno lordo di Israele sarà di circa 540 miliardi di dollari entro la fine del 2024. La guerra a Gaza ha già preso un morso considerevole dall’intero PIL di Israele. Le stime di Israele stesso sono complesse, ma tutti i dati indicano il fatto che l’economia israeliana sta soffrendo e continuerà a soffrire nel prossimo futuro. Citando rapporti della Banca d’Israele e del Ministero delle Finanze, il quotidiano economico israeliano Calcalist ha riferito nel gennaio 2025 che il costo della guerra israeliana a Gaza aveva già raggiunto più di 67,5 miliardi di dollari. Questa cifra rappresentava i costi della guerra fino alla fine del 2024.

Tenendo presente che i costi della guerra in corso continuano a crescere in modo esponenziale, e con le altre conseguenze della guerra, tra cui i disinvestimenti dal mercato israeliano da parte della Norvegia e di altri paesi, le proiezioni future per l’economia israeliana sembrano molto cupe. L’Ufficio centrale di statistica israeliano ha riferito che l’economia israeliana, già in costante stato di contrazione, si è ridotta di un altro 3,5% nel periodo tra aprile e giugno 2025.
Si prevede che questo collasso continuerà, anche con il sostegno finanziario senza precedenti degli Stati Uniti a Tel Aviv. Infatti, senza l’aiuto degli Stati Uniti, la precaria economia israeliana si troverebbe in uno stato molto peggiore. Anche se gli Stati Uniti hanno sempre sostenuto Israele – con quasi 4 miliardi di dollari di aiuti all’anno – l’aiuto degli Stati Uniti a Israele negli ultimi due anni è stato il più generoso e critico di sempre.
Israele è il destinatario di 3,8 miliardi di dollari di denaro dei contribuenti statunitensi all’anno, secondo l’ultimo memorandum d’intesa decennale firmato nel 2016.
Allo stesso modo, se non più preziose di questa grande somma, sono le garanzie sui prestiti, che consentono a Israele di prendere in prestito denaro a un tasso di interesse molto più basso sul mercato globale. Il sostegno degli Stati Uniti ha quindi permesso agli investitori di considerare il mercato israeliano come un rifugio sicuro per i loro fondi, garantendo spesso rendimenti elevati. Questo vale per il fondo sovrano norvegese come per numerose altre entità e società.
Ora che Israele è diventato un pessimo brand, affiliato a investimenti non etici a causa del genocidio a Gaza e della crescente espansione degli insediamenti illegali in Cisgiordania, gli Stati Uniti, in qualità di principale benefattore di Israele, sono intervenuti per colmare le lacune.
La legge statunitense sugli stanziamenti supplementari di emergenza dell’aprile 2024 ha stanziato un totale di 26,4 miliardi di dollari per Israele. Mentre gran parte del denaro è stato destinato alle spese per la difesa, in realtà la maggior parte di esso si riverserà nell’economia israeliana. Questo importo, in aggiunta agli aiuti militari annuali, consente al governo israeliano di ridurre al minimo la spesa per la difesa e di stanziare più denaro per evitare che l’economia si contragga a un ritmo ancora più veloce.
Inoltre, libererà l’industria militare israeliana di continuare a produrre nuove e sofisticate tecnologie militari che garantiranno la continua competitività di Israele nel mercato degli armamenti. Il complesso militare-industriale, una parte significativa dell’economia israeliana, è quindi non solo sostenuto, ma riceve un nuovo impulso dagli aiuti americani, assicurando che la macchina da guerra continui a funzionare con il minimo sconvolgimento finanziario.
Tutto ciò non dovrebbe sminuire l’importanza del disinvestimento dal sistema finanziario israeliano. Al contrario, significa che gli sforzi di disinvestimento devono aumentare in modo significativo per bilanciare la spinta degli Stati Uniti ad evitare che l’economia israeliana imploda.
Inoltre, questo dovrebbe anche rendere i cittadini statunitensi, che si oppongono al ruolo del loro governo nel genocidio di Gaza, più consapevoli della portata della collaborazione di Washington per salvare Israele, anche al prezzo dello sterminio dei palestinesi. In effetti, il flusso di fondi dagli Stati Uniti non è un’azione passiva; è una collaborazione attiva che consente direttamente il genocidio israeliano a Gaza.

(*) Tratto da Middle East Monitor. Traduzione di Alexik.
Immagine di apertura di Hani Abbas. Grafico sul PIL israeliano tratto da True Numbers.

GLI INTERESSI ECONOMICI CHE STANNO DIETRO ALLE MANCATE SANZIONI EUROPEE VERSO ISRAELE

Con 72,1 miliardi di euro nel 2023 l’Unione europea è il più importante investitore in Israele, doppiando di fatto gli Stati Uniti. E nel corso del 2024, nonostante la distruzione di Gaza e l’occupazione illegale della Cisgiordania, l’export verso Israele è persino cresciuto di un miliardo di euro. I dati rielaborati dal centro di ricerca indipendente SOMO mostrano il legame tra Bruxelles -che non ha irrogato alcuna sanzione verso il Governo Netanyahu- e Tel Aviv.
“Tutti associano Israele agli Stati Uniti ma il principale sostenitore di ciò che sta avvenendo è a Bruxelles”, dice ad Altreconomia Jasper van Teeffelen, ricercatore del centro indipendente olandese SOMO che si occupa di multinazionali e autore di un dettagliato report sulla strettissima relazione economica e commerciale tra l’Unione europea e Israele.
SOMO ha diffuso i dati il 15 luglio, in occasione dell’incontro tra la Commissione europea e i ministri degli Esteri dei 27 Paesi membri dell’Unione finalizzato a discutere l’adozione di eventuali sanzioni nei confronti di Tel Aviv per quanto sta facendo a Gaza e anche valutare l’interruzione dell’accordo di associazione che, dal 2000, lega Ue e Israele grazie a rapporti politici ed economici privilegiati.
Per SOMO poteva essere un momento cruciale per l’Europa per attivare il proprio potere economico ed esercitare pressione.
L’Unione è infatti il più importante investitore in Israele al mondo, con un ammontare estero diretto a Tel Aviv che, nel 2023, ha toccato quota 72,1 miliardi di euro, un valore quasi doppio rispetto a quello degli Stati Uniti, fermi a 39,2 miliardi. Non solo: l’Europa, a sua volta, è anche la principale destinazione degli investimenti israeliani. Nel 2023 ne ha ricevuti per 66 miliardi di euro, sette volte quelli diretti a Washington.

Anche nello scambio di beni fisici, principalmente macchinari, mezzi di trasporto e prodotti chimici, l’Ue è il primo partner commerciale al mondo di Israele per un valore di 42,6 miliardi di euro, a dispetto dei 31,6 miliardi degli Stati Uniti, dei 19,3 della Cina e dei tre miliardi dell’India. Un ammontare che non ha conosciuto crisi anche dopo tutto quello che è accaduto dal 7 ottobre 2023 in avanti nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania. Nel corso del 2024 è persino cresciuto di un miliardo.

“L’Unione europea non sta solo coprendo quello che si sta verificando a Gaza e nei Territori occupati, ma sta attivamente prendendovi parte -spiega ad Altreconomia van Teeffelen di SOMO-. Non si tratta solo di stare in silenzio e di lasciar correre, ma di sostenere economicamente, finanziariamente e politicamente il governo di Benjamin Netanyahu”.

Nello specifico, il Paese europeo che garantisce e allo stesso tempo beneficia di più investimenti da parte di Israele sono i Paesi Bassi, da soli responsabili di due terzi di tutti gli investimenti israeliani nell’Ue, staccando -e di molto addirittura- Stati Uniti e Germania.

Il “primato” di Amsterdam può in parte essere spiegato dalla natura, di fatto, di paradiso fiscale e di Paese di transito, con oltre cinquemila miliardi di dollari di capitale straniero che fluttuano ogni anno. Tuttavia, come riporta la Banca centrale olandese, solo il 12% degli investimenti nazionali verso Israele proviene dalle società “cassaforte”, cioè quelle che detengono e amministrano patrimoni per effettuare prestiti o strutturare investimenti a imposte ridotte, mentre gli altri provengono da attività di economia “reale”, a riprova di quanto l’Unione europea -e i Paesi Bassi in particolar modo- traggano profitto dall’economia israeliana.

“Il rapporto privilegiato del loro Paese con Israele è ancora poco conosciuto dai cittadini olandesi. Il report è nato proprio con l’obiettivo di far luce su questo aspetto di complicità di cui si parla poco e la risposta che stiamo ricevendo è incredibile: si tratta di un primo passo per far capire alle persone il peso reale dei loro Paesi nel sostenere Israele”, continua il ricercatore.
La Convenzione delle Nazioni Unite sul genocidio prevede a questo proposito l’obbligo che tutti gli Stati impieghino ogni mezzo a disposizione per prevenire il genocidio ed esercitare pressione su chi lo sta commettendo o potrebbe farlo.
Kaja Kallas, Alto rappresentante dell’Ue per la politica estera, ha presentato perciò il 15 luglio al consiglio Affari esteri a Bruxelles, una tiepida lista di dieci possibili misure di risposta all’azione israeliana, che includevano l’imposizione di sanzioni, l’embargo totale di armi e, soprattutto, la sospensione dell’accordo di associazione tra Unione e Israele, in virtù dell’articolo 2 di quest’ultimo che stabilisce il rispetto dei diritti umani -da entrambe le parti- come condizione imprescindibile per l’attuazione dell’accordo. Paesi come Irlanda e Spagna ne chiedono del resto da mesi la sospensione che però anche nella giornata del 15 luglio non è arrivata per mancanza di unanimità.
Per SOMO si tratta di un’opportunità mancata, considerando il grande peso che Bruxelles potrebbe avere nell’esercitare influenza sul Governo Netanyahu per provare a limitarne le azioni, oltre che per riconoscere le responsabilità legali delle aziende che, come denunciato dall’ultimo rapporto di Francesca Albanese, Relatrice speciale delle Nazioni Unite per i diritti umani nei Territori palestinesi occupati dal 1967, alimentano non solo le colonie ma l’intero sistema militare e tecnologico israeliano, sostenendo il passaggio di Israele da economia dell’occupazione a economia del genocidio e traendone addirittura vantaggio.
“Purtroppo il risultato del 15 luglio non mi sorprende -conclude van Teeffelen-. È evidente il legame politico ed economico che unisce Israele all’Unione e con questa ricerca appaiono evidenti i benefici economici che Bruxelles trae da questa alleanza. La mia sensazione è che la popolazione abbia una sensibilità critica maggiore rispetto a quella dei governi e che, dove questi ultimi fanno finta di non guardare, le persone vedono ciò che c’è di sbagliato. È difficile avere speranza in questo momento, ma credo che le denunce che arrivano da attivisti, giornalisti e ricercatori potranno avere, prima o poi, un peso sulla politica”.

(*) Tratto da Altreconomia.
***

alexik

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *