Nicaragua: i sogni impossibili dell’orteguismo
La realizzazione di un collegamento ferroviario tra i due oceani, con tanto di porti marittimi, aeroporti e altre opere annesse e connesse.
ULTIMO DELLA SERIE di Bái Qiú’ēn
Penso che il segreto sia che siamo sognatori, che siamo utopisti; ma non siamo quei sognatori che tengono sempre la testa su un cuscino e una tazzina di caffè sul comodino, siamo sognatori con i piedi ben piantati in terra, siamo sognatori con gli occhi ben aperti. (Tomás Borge Martínez)
Nel corso degli anni, la propaganda ortego-chayista ha promesso la realizzazione di sogni faraonici e perciò stesso irrealizzabili: dal Canale che dovrebbe collegare il Pacifico con l’Atlantico, al laboratorio Mechnikov che dovrebbe realizzare vaccini di ogni tipo a prezzi concorrenziali (mai visti quelli per il Covid-19 reiteratamente promessi da Rosario), alla mega-raffineria «El Supremo Sueño de Bolívar», alle quattro tappe per la costruzione dell’autostrada litoranea lungo tutta la costa del Pacifico (dalla frontiera con il Costa Rica a quella con l’Honduras: km 355), al porto in acque profonde a Monkey Point, al lancio nello spazio di un satellite geostazionario per le telecomunicazioni» (Nicasat-1)… ecc. ecc.
Ultimo progetto “lanciato” sul mercato alla fine di giugno 2023 è la realizzazione di un collegamento ferroviario tra i due oceani, con tanto di porti marittimi, aeroporti e altre opere annesse e connesse. Non sappiamo se sia in sostituzione del fantomatico Canale ripetutamente venduto dalla propaganda come «l’opera di ingegneria più grande di tutti i tempi nella storia dell’umanità», la cui prima pietra a Rivas fu teoricamente collocata il 22 dicembre 2014 in un luogo dove oggi pascola tranquillamente il bestiame. Ciò nonostante qualcuno, sia in Nicaragua sia in giro per il mondo, crede fermamente che i lavori siano ormai a buon punto e che l’opera sarà terminata a breve.
Cento anni fa, un certo Vladimir Ulianov Lenin sosteneva la linea politica del «meglio meno, ma meglio» (Лучше меньше, да лучше, Pravda 4 marzo 1923) che, detto in altre parole, suona: «la qualità è più importante della quantità». A noi comuni mortali viene da suggerire al Governo nicaraguense: «meno progetti impossibili, più piedi ben piantati in terra», ben sapendo che ogni governante ha i propri sogni faraonici: chi una strada ferrata di circa km 450, chi un ponte sullo Stretto. Basta saper raccontare la storiella e alternarla opportunamente con altre storielle… come insegnava già il nostro buon Dante: «lunga promessa con l’attender corto» (Inferno XXVII, 110).
La politica degli annunci è un ottimo sistema di propaganda, sia all’interno sia all’estero. È il meccanismo principale messo in atto da quel populismo che, a qualunque latitudine, solletica la pancia della gente ed eccita gli umori popolari. Purtroppo, però, non funziona in eterno: è un “prodotto” che ha la sua scadenza e persino i più creduloni prima o poi si stancano. Per cui occorre “vendere” altri e sempre nuovi sogni fantastici per far dimenticare la realtà quotidiana di buona parte delle famiglie che cercano di far bastare i pochi soldi che entrano per tentare di sopravvivere con la costante crescita del costo della vita, con la mancanza di opportunità lavorative decenti e con salari del tutto insufficienti.
Il progetto della ferrovia interoceanica nasce con alcuni limiti evidenti e innegabili: non si conoscono i costi presunti né dove potranno essere reperiti i fondi per finanziarne la realizzazione. Men che meno sono state comunicate le date per l’inizio e il termine dei lavori. Insomma: nessuna informazione tecnico-pratica, se non l’annuncio che si farà. E sarà realizzato da una non meglio identificata impresa cinese che ne sta valutando la fattibilità. Naturalmente dietro un lauto compenso, pur senza sapere se andrà a buon fine: denaro fornito dalla BCIE che, unitamente alle rilevanti spese amministrative connesse, potrebbe essere fattivamente investito in opere meno faraoniche.
Oltre cento anni fa, nel 1905, si iniziò la costruzione di un collegamento ferroviario di km 288 tra il porto lacustre di San Miguelito (Lago Cocibolca) e la baia di Monkey Point sulla Costa Atlantica. Nel contratto d’appalto sottoscritto il 12 dicembre 1903 si legge: «Crediamo che questo lavoro possa essere costruito nel termine di 3 o 4 anni» e il costo dell’opera era previsto in poco più di due milioni di dollari. Dopo la realizzazione di appena km 16, nessuno più parlò di questa strada ferrata. In compenso, alcuni anni dopo si realizzò un collegamento (km 100) tra Bilwi e Cocoland (area che include le comunità indigene di Kuyu Tingni e Boca del Toro), il quale restò in esercizio dal 1925 al 1955 per il trasporto di banane, gomma e legname.
Jules Verne a suo tempo scrisse parecchi romanzi di fantascienza, credibili poiché si basavano sulle conoscenze e sulle tecnologie esistenti all’epoca. La fanta-propaganda dell’ortego-chayismo, invece, non ha limiti: non ci meraviglieremmo se tra qualche tempo verrà annunciato un prossimo lancio spaziale per portare un equipaggio nicaraguense su Marte e la costruzione di un ponte che colleghi il pianeta rosso con la Terra.
Prima di iniziare questo faraonico progetto di collegamento transatlantico, si realizzerà la tratta ferroviaria Managua-Masaya-Granada, assai meno fantascientifica, essendovi una distanza di appena km 60. «Questo per fornire un servizio di trasporto moderno, efficiente e a basse emissioni di carbonio. In altre parole, stiamo facendo due passi avanti […] è già un progetto a cui stiamo portando avanti per la sua solida formulazione in studi e disegni finanziabili», ha affermato il ministro dei Trasporti (MTI) Óscar Salvador Mojica Obregón, generale dell’esercito in pensione, a Canal8 il 20 giugno.
Stando a queste sue parole risulta evidente che si pensa di utilizzare locomotrici elettriche, in un Paese dove gli apagones piccoli o grandi sono da sempre all’ordine del giorno. Alcuni lasciano al buio completo l’intero Paese e l’ultimo in ordine di tempo risale alle 11,31 dell’8 giugno, che ha colpito il 60% del Paese ed è proseguito per un paio di ore.
Riprendendo le parole del comandante Borge, appena dodici giorni dopo il ministro dei Trasporti ha aggiunto con retorica convinzione: «Ci stiamo muovendo in questa direzione e non è un sogno. Stiamo procedendo con i piedi ben saldi a terra e in modo fattivo». Parole sentite già in occasione della presentazione sia del progetto per il Canale sia di altre opere.
La realizzazione di questo tratto ferroviario, infatti, era già stato annunciato nel 2021 e prima ancora era stato propagandato nel 2016 dal precedente ministro dei Trasporti Edmundo Zúñiga García. Il costo preventivato nel 2021 era di 180 milioni di dollari. La distanza tra il porto di Bluefields sull’Atlantico e Granada è di circa 240 km, per cui il costo presumibile (secondo i valori del 2021) sarebbe di altri 720 milioni di dollari. Per un totale complessivo di almeno 900 milioni di dollari. Se a questo percorso aggiungiamo il collegamento tra Managua e il porto di Corinto sul Pacifico di circa km 150 (pure questo annunciato dal ministro), il costo complessivo sale a oltre il miliardo di dollari. In base a calcoli più attenti e realistici i miliardi sarebbero 6, difficilmente reperibili nelle cosiddette “pieghe del bilancio”. Qualcuno sostiene che vi sarà l’aiuto economico degli ayatollah iraniani.
Naturalmente si tratta di un preventivo approssimato, destinato a subire un incremento a causa dei lavori di deforestazione del territorio atlantico dove il tracciato dovrebbe passare (comprendente pure alcune riserve biologiche teoricamente protette). Senza contare i costi di manutenzione in un’area geografica di per sé difficilmente raggiungibile e soggetta ad annuali eventi climatici estremi (uragani). Basti pensare che la linea Corinto-León (una trentina di km) fu abbandonata già nel maggio 1982 a causa delle inondazioni causate da un uragano che la resero del tutto impraticabile. Se pensiamo ai recenti danni nella nostra Romagna, non occorre molta fantasia per ritenere ardua la realizzazione e il mantenimento.
Non è stato chiarito dal ministro se questo progetto servirà solo per il trasporto delle merci da un oceano all’altro o anche per le persone. In ogni caso, abbiamo la sensazione che, visti i tempi biblici vigenti in Nicaragua, assai prima della posa in opera della prima pietra, qualche geniale inventore avrà creato un efficiente sistema di teletrasporto sul modello di Star Treck.
Nel periodo del massimo sviluppo della rete ferroviaria, il Nicaragua era dotato di 32 locomotrici, 70 carrozze per passeggeri e 50 vagoni per le merci.
Fino allo smantellamento dell’ormai fatiscente rete ferroviaria nei primi anni Novanta (governo di Violeta Barrios de Chamorro), il treno non era un mezzo di trasporto molto utilizzato da parte dei nicaraguensi (tanto che le entrate non coprivano nemmeno i costi per il personale e il deficit ammontava a quasi mezzo milione di dollari) e dopo un trentennio abbiamo seri dubbi che la situazione sia radicalmente mutata. Il Ferrocarril del Pacífico de Nicaragua smise di funzionare il 31 dicembre 1993, restando in esercizio fino al 2001 soltanto un tratto di km 6 per il collegamento tra Chichigalpa e l’industria zuccheriera «Ingenio San Antonio», per gli interessi economici della famiglia più ricca del Paese: i Pellas, di origine italiana.
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Quasi in contemporanea con il sogno mega-ferroviario, il ministro degli Esteri Denis Ronaldo Moncada Colindres ha presentato al presidente dell’ONU una rimostranza ufficiale nei confronti degli Stati Uniti affinché ottemperino al rimborso al quale nel giugno 1986 sono stati condannati dal Tribunale internazionale dell’Aia per i danni causati con l’aggressione militare e paramilitare negli anni Ottanta. Nel 1988 il governo sandinista quantificò in 12 miliardi di dollari.
Se uno degli ultimi atti dell’Asamblea Nacional ancora a maggioranza sandinista fu la legge n. 92 del 5 aprile 1990 (dieci giorni prima del passaggio dei poteri) denominata «Ley de Protección de los Derechos de Nicaragua en la Corte Internacional de Justicia» con l’intento dichiarato di mantenere vigente la sentenza dell’Aia e il relativo indennizzo, già il 5 giugno 1991 la presidenta filo-USA Violeta Barrios la fece cancellare dai parlamentari della UNO. Il successivo 12 settembre comunicò al Tribunale dell’Aia di rinunciare al diritto dello Stato del Nicaragua di proseguire la causa legale contro Washington, ritirando la denuncia. Il successivo 26 settembre lo stesso Tribunale dichiarò la sospensione del procedimento.
È indubbio che con la cifra richiesta e rivalutata a oggi si potrebbe tranquillamente realizzare il megaprogetto della ferrovia interoceanica, oltre ad altre parecchie opere. Che gli Stati Uniti assai difficilmente accetteranno di saldare questo «debito storico» lo è altrettanto. In buona sostanza, entrambe le cose non sono altro che propaganda, utili per continuare a ingannare la base dei militanti sandinisti con l’obiettivo di restare al potere il più possibile.
«¿Por qué ya no tenemos tren? ¿Quién destruyó el tren, lo que quedaba?» si era domandata Rosario nel suo sproloquio del 16 dicembre 2022: Perché non abbiamo più il treno? Chi ha distrutto il treno, ciò che ne restava? La doppia domanda è ben più che retorica: lascia intendere che nel 1991 le ferrovie funzionavano se non perfettamente, quanto meno in modo decente e regolare.
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Nella seconda metà degli anni Ottanta (ci pare di ricordare che fosse un giorno del luglio 1988) partimmo di buon’ora dalla stazione ferroviaria di Managua per raggiungere Granada. Sul vagone iniziammo a chiacchierare con un cachorro (un ragazzo in licenza dal Servizio Militare) e un tedesco.
Passata da poco la stazione di Masaya, il treno deragliò. Nessun danno alle cose e ai pochi passeggeri, poiché la sua velocità non superava i kmh 30. Dopo un’inutile attesa di almeno un’ora di inutile lavoro del personale per rimettere la motrice e le due carrozze sui binari con l’ausilio di uno strumento di ferro somigliante a un parafango di una vecchia Fiat Topolino e con l’aiuto di alcuni buoi forniti da una famiglia contadina per tirare in avanti il convoglio, con il cachorro decidemmo di incamminarci lungo la strada ferrata, con l’idea di salire a bordo “al volo” se fosse passato (allora eravamo più giovani). Il ragazzo tedesco decise invece di attendere pazientemente la ripartenza del treno.
Percorremmo i pochi chilometri (non più di una decina), fermandoci alcune volte dai contadini per chiedere un po’ d’acqua, e infine arrivammo a Granada. Dopo un saluto a base di «¡no pasarán!», il cachorro si recò dalla sua famiglia e noi al nostro solito ed economico alberghetto sulla Calzada. Dopo una doccia rinfrescante, decidemmo di pranzare nel miglior ristorante della città, affacciato sul Parque Central proprio di fronte alla cattedrale. Ormai quasi al termine del pasto, giunse il ragazzo tedesco, appena arrivato in stazione con il treno rimesso a fatica sui binari. Ci parve completamente esausto e abbacchiato, oltreché empapado de sudor. Era il suo primo viaggio in Nicaragua… e non aveva ancora avuto il piacere di viaggiare sul portapacchi di un destartalado bus di linea, tra ceste di mercanzie varie, galline, chompipes e altri animali da cortile.