una settimana come un’altra, in Palestina

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(Questa è la traduzione del resoconto settimanale curato dall’IMEMC (International Middle East Media Center). La settimana va dal sabato al venerdì quindi questa va da sabato 28 maggio a venerdì 3 giugno. Per non incorrere in confusioni temporali ho aggiunto  a fianco del giorno di cui si parla la data che non compare nel report originale.  Buona lettura  Il link è qui e si può ascoltare qui)
 
L’attività non violenta
Cominciamo il nostro resoconto settimanale  come al solito con le attività non violente organizzate in Cisgiordania (West Bank). Venerdì (03/06/16) soldati israeliani hanno attaccato la manifestazione  settimanale pacifica nel villaggio di Al Nabi Saleh al centro della Cisgiordania . Molti residenti e i loro sostenitori sia internazionali che israeliani sono ricorsi a trattamenti medici  per gli effetti di inalazione di gas lacrimogeni. Le truppe hanno attaccato la protesta all’ingresso del paese con proiettili veri, gas lacrimogeni e proiettili di acciaio ricoperti di gomma. Successivamente  hanno fatto irruzione e sparato gas lacrimogeni contro le  case dei residenti, ed anche molti abitanti sono stati trattati per gli effetti di inalazione di gas lacrimogeni.
Nei vicini  villaggi di Bil’in e Ni’lin, non appena i manifestanti hanno raggiunto il cancello del muro che separa gli agricoltori locali dalle loro terre i soldati  hanno attaccato i manifestanti. Anche qui molti manifestanti hanno subito gli effetti dei gas lacrimogeni e sono stati trattati dai medici locali. A Bil’in alcuni alberi di ulivo hanno preso fuoco in seguito ai  lacrimogeni sparati dalle truppe israeliane.
Nel nord della Cisgiordania nel villaggio di Kufr Ka Dum nello stesso momento  molti civili sono ricorsi a trattamenti medici sempre per gli effetti di inalazione di gas lacrimogeni sparati dalle truppe israeliane che hanno attaccato la protesta settimanale organizzata dagli abitanti del villaggio .
Sempre venerdì (03/06/16), a Betlemme, almeno 400 attivisti palestinesi ed israeliani hanno marciato sulla road 60, la strada dei coloni, contro l’occupazione israeliana e la violenza che questa comporta. La protesta è stata organizzata da  movimento Combattenti per la Pace (un gruppo non violento dove militano palestinesi ed israeliani ndt) . Si sono uniti alla protesta anche parlamentari israeliani di sinistra.
L’attività politica
Venerdì scorso (03/06/16)  si è aperta a Parigi  la conferenza internazionale voluta dalla Francia con la partecipazione dei principali attori internazionali, tra cui Washington, Unione Europea ed altri paesi arabi, tra cui l’Egitto, la Giordania e l’Arabia Saudita. La Francia sostiene che la conferenza è un tentativo di far superare  la fase di stallo  in Medio Oriente e dovrebbe favorire la ripresa dei negoziati tra israeliani e palestinesi.
Sia Israele che la Palestina non hanno preso parte alla conferenza. Israele aveva in precedenza rifiutato  gli accordi di pace francesi  dicendo che il solo modo per rilanciare la pace sono  i negoziati incondizionati ed  unilaterali con i palestinesi.
L’Autorità palestinese ha approvato  la conferenza, ma  una serie di fazioni politiche palestinesi, compresa la Jihad islamica, Hamas, Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina e il Fronte Democratico per la Liberazione della Palestina, ha respinto la conferenza. Le fazioni sostengono che far rivivere i negoziati di pace sulla base di  iniziative futili, metterebbe a repentaglio i diritti legittimi basilari dei palestinesi , tra cui il diritto al ritorno alla Palestina storica.
L’ Unione europea intanto avverte che gli accordi di pace di Oslo del 1993, sono al  collasso, a meno che non vi si un  genuino intervento dei principali attori internazionali.
Cosa è successo in Cisgiordania e Gaza
Questa settimana i soldati israeliani hanno ucciso una donna palestinese ad un posto di blocco della Cisgiordania,  la marina militare di Israele ha aumentato gli attacchi contro i pescatori a Gaza. Corrispondenza di Ghassan Bannoura di IMEMC :
Giovedi (02/06/16) scorso  Ansar Harsha di 25 aa,  è stata uccisa dai soldati Israeliani ad un posto di blocco vicino a Tulkarem nel nord della Cisgiordania .L’esercito israeliano ha affermato che la donna uccisa “ha tentato di pugnalare un soldato,” prima che venisse colpita e ferita gravemente (da altra fonte IMEMC si apprende che i soldati non hanno permesso che venisse soccorsa) . Un testimone oculare ha detto ai media locali che un ufficiale dell’esercito ha aperto il fuoco sulla donna  mentre lei era a più di tre metri dai soldati. L’esercito israeliano ha detto che tra i suoi soldati non ci sono stati feriti.
Inoltre, l’esercito israeliano ha  invaso  Venerdì(03/06/16)  all’alba, la città del nord di Nablus, ci sono stati scontri con molti giovani locali. Negli scontri  i soldati hanno ferito   due palestinesi con munizioni vere, ed uno di loro è stato colpito alla testa ed è in pericolo di vita. In un’altra invasione, a Qalqilya, nel nord della Cisgiordania occupata, i soldati israeliani hanno sparato e ferito, Martedì notte (31/05/16), due palestinesi.
Durante le incursioni delle truppe israeliane nelle comunità della Cisgiordania  e di Gerusalemme occupata questa settimana sono stati rapiti  almeno 99 palestinesi. Tra i rapiti c’erano 19 bambini.
Martedì (31/05/16), nella Striscia di Gaza un pescatore è stato colpito e ferito dal fuoco della marina israeliana. Altri quattro sono stati rapiti dopo che le navi militari li hanno attaccati in acque territoriali di Gaza, vicino alla costa nella zona di Wadi Gaza a sud-ovest della città di Gaza.Sempre  Martedì(31/05/16),  ed anche  Giovedi (02/06/16) sono stati segnalati altri attacchi della marina israeliana costringendo i pescatori a tornare a riva. Gli attacchi si sono intensificati dopo che Israele, in modo unilaterale, ha ridotto la zona di pesca nelle acque territoriali di Gaza a soli sei miglia nautiche. Questo  in tutte le acque di Gaza, dal nord sino alle zone meridionali della regione costiera. Nel marzo scorso  Israele aveva deciso  di aumentare a nove miglia nautiche  la zona di pesca nell’area che si estende dalla zona umida della Gaza Valley verso  la parte più meridionale della regione costiera,  ma ha mantenuto la zona nel nord di Gaza a sei miglia nautiche.
Sempre a Gaza Domenica(29/05/16), Martedì (31/05/16),  e Mercoledì (01/06/16), i soldati israeliani di stanza vicino ai confini meridionali e settentrionali della regione costiera hanno aperto il fuoco contro contadini palestinesi costringendoli a lasciare i loro campi.
Questo è tutto per questa settimana.
(traduzione di Gianni Lixi)

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Il sistema giudiziario militare d’Israele sembra essersi spinto troppo lontano.

(Editoriale Haaretz 6 giugno, 2016)

 

La crescente resistenza violenta all’occupazione non deve dare a Israele e al suo apparato di sicurezza il diritto di negare la libertà a persone innocenti.

La parlamentare palestinese Khalida Jarrar è stata rilasciata venerdì dopo 14 mesi di detenzione in una prigione israeliana. Jarrar era una prigioniera politica e la sua detenzione è stata una detenzione politica.

Dapprima Israele voleva tenerla in prigione senza processarla; solamente dopo una protesta internazionale è stata giudicata da una corte militare per una serie di accuse, la maggior parte delle quali erano ridicole e assurde: aver partecipato ad una fiera del libro, aver pagato una telefonata di condoglianze a una famiglia palestinese e cose simili. Il fatto che Jarrar, in quanto rappresentante eletta, goda di un certo livello di immunità parlamentare è ininfluente per il sistema giudiziario militare; ci sono altri parlamentari palestinesi nelle carceri israeliane.

Jarrar, che presiedeva la commissione del Consiglio legislativo palestinese sui prigionieri politici, ha trascorso molti anni a lavorare a favore dei prigionieri palestinesi, cercando di ottenere il loro rilascio. Ma 700 palestinesi detenuti amministrativi sono attualmente nelle prigioni israeliane, alcuni dei quali sono stati incarcerati da lungo tempo senza processo. Mentre Jarrar era in carcere è stato raggiunto un altro record; 61 donne palestinesi, 14 delle quali sono minorenni, sono tenute nelle galere israeliane. Il Servizio israeliano delle prigioni [IPS] ha dovuto aprire una nuova ala nel carcere di Damon in aggiunta a quello di Hasharon per tenerle tutte in detenzione.

Insieme il numero totale di minori detenuti da Israele, più di 400 secondo B’Tselem, questi dati sono una prova dell’intollerabile e ignobile politica del sistema giudiziario militare nei confronti dei palestinesi. Nessuno si aspetta che agisca come un vero sistema di giustizia penale, ma persino per un sistema militare di giustizia sembra che si sia spinto troppo lontano nei mesi scorsi, [in quanto] Israele si è arrogato il diritto di negare la libertà alle persone che vivono sotto la sua occupazione in modo quasi illimitato.

(Traduzione di Carlo Tagliacozzo)

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Dall’Italia a Gaza, per curare bimbi palestinesi

In questi giorni sono al lavoro negli ospedali di Gaza, in stretta cooperazione con i colleghi palestinesi, diverse equipe volontarie del “PCRF- Soccorso medico per i bambini palestinesi” giunte dall’Italia per fare formazione ed operare bimbi con patologie gravi

di Martina Luisi*

Gaza, 31 maggio 2016, Nena News – Palestine Children’s Relief Fund (PCRF) è una ong presente in Palestina sin dall’inizio degli anni Novanta, con l’intento specifico di fornire appropriate cure mediche gratuite ai bambini gravemente ammalati. In particolare il  PCRF organizza missioni specialistiche dall’estero su base volontaria, equipaggiamento, ricostruzione di strutture sanitarie o anche ricoveri umanitari in ospedali di paesi più fortunati. Col tempo i programmi si sono ampliati per includere programmi di assistenza sociale, psico-sociale e umanitaria legati alle emergenze, anche in paesi limitrofi come il Libano e la Siria.

L’impegno di PCRF è incredibilmente massiccio ed in forte crescita: all’estero è supportato da circa 40 gruppi satellite dislocati in tutto il mondo ed impegnati a raccogliere fondi e ad accogliere nei propri paesi i bambini più poveri e marginalizzati per realizzare interventi altrimenti impossibili a livello locale. Rientra tra questi “Country-Chapter” anche l’Italia dove si è costituita nel 2013 l’Associazione PCRF-Italia, con un ruolo attivo nell’organizzazione di missioni e nella realizzazione di progetti specifici, sostenuti da importanti attori come il la Cooperazione Italiana, la Regione Toscana, la Tavola Valdese, Asl e molti altri donatori e promotori pubblici e privati, tra cui le ong Cospe e CMSR.

E’ proprio dall’Italia che tra il 25 ed il 26 Maggio sono giunte nella Striscia di Gaza ben 5 missioni che sono attualmente impegnate tra lo Shifa Hospital e lo European Gaza Hospital (EGH) rispettivamente a Gaza city e a Khan Younis nel sud della Striscia.

Il team ormai veterano è quello della cardiochirurgia pediatrica che dal 2013 ha realizzato una decina di missioni (per contare solo quelle chirurgiche) e operato 95 bambini affetti da malattie cardiovascolari. Guidata da Vincenzo Stefano Luisi (cardiochirurgo, presidente di PCRF-Italia) il team si compone da una solida base di esperti ed amici come Paolo Del Sarto, Vittoria De Lucia e Sofia Redaelli (FTGM/Ospedale del Cuore di Massa), Massimo Padalino, Cristiana Carollo, Dario Fichera, Angela Prendin e Elena Carluccio (Ospedale universitario di Padova), Federica Iezzi (Ospedali Riuniti di Ancona) e Paola Dal Soglio (Ospedale di Verona).

L’impegno di questo team e di PCRF-Italia è quello di costituire un reparto di cardiochirurgia pediatrica autonomo che non richieda più sostegno dall’esterno.Un’utopia, si può pensare, ma i nostri volontari sanno sognare e sono testardi a sufficienza per farcela. A Gerusalemme, al Makassed hospital, ce l’hanno già fatta, costituendo il primo reparto cardiochirurgico dedicato ai bambini in tutta la Palestina.

Con loro, presso lo stesso EGH, anche un nuovissimo team di chirurgia toracica composto da Gianfranco Menconi e Baldassare Ferro (ASL 6 Livorno) e Alessandro Torrini (Asl 12 Viareggio). Tre persone diverse con un bagaglio umano indispensabile e che già hanno il “mal di Gaza” stampato in fronte. Torneranno, ne siamo certi. I colleghi palestinesi si sono già premurati di avere questa conferma.

Come evidente, spiccano per queste due prime esperienze il ruolo di diverse ASL soprattutto toscane che si completano e si integrano tra loro e col personale locale che partecipa attivamente anche ai fini dello scambio e della propria formazione.

Allo Shifa si sono insediate invece due equipe provenienti da Napoli e composte la prima dai chirurghi pediatrici Bruno Cigliano, Sergio D’Agostino e dall’anestesista Raffaele Aspide, e la seconda dagli oncologi Gianpiero Cione e Luciano Keller. La grinta e l’entusiasmo partenopei sono percepibili e non sono mancati scambi a distanza con i colleghi italiani all’EGH per confrontarsi su taluni pazienti visitati che richiedono l’attenzione integrata di diversi specialisti.

Infine partecipano anche Angelo Stefanini (Università di Bologna) e Martina Luisi (Coordinatrice PCRF-Italia) che seguono lo sviluppo di un progetto pilota in materia di Primary Health Care nell’area sud di Khan Younis e Rafah che sarà avviato attraverso un primo workshop realizzato in collaborazione con l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS/WHO), l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi (UNRWA), il Ministero della Salute e la partecipazione di altre ong come Palestinian Medical Relief Society (PMRS).

Ma l’impegno di PCRF a Gaza è molto altro ancora: sono infatti in corso diversi programmi come quello sulla salute mentale per i bambini traumatizzati dalle recenti offensive militari israeliane con interventi di tipo sociale e socio-sanitario, ed il ben più noto programma per la cura delle malattie oncologiche. A fronte dell’ampio numero di bambini malati di cancro e delle difficoltà di raggiungere la Cisgiordania o altri paesi per ricevere le cure necessarie, PCRF sta replicando l’esperienza della cardiochirurgia pediatrica : dopo aver avviato il primo centro oncologico presso l’Ospedale di Beit Jala nei pressi di Betlemme (Huda al Masri Pediatric Cancer Department), sono in corso i lavori per costruire un’omologa struttura a Gaza.

Siamo al cemento, un cemento forte come le intenzioni di tutti gli operatori e sostenitori di PCRF. Crediamoci. Qualcuno venuto qui prima di noi ci ha insegnato che bisogna saper sognare e vale la pena farlo.

*Coordinatrice nazionale del PCRF Italia

per info: martina@pcrf.net

da qui

 

 

Gaza, il cemento-fantasma e la ricostruzione che non c’è

Come funziona la ricostruzione? L’Onu si è inventato un sistema complesso, un fiume da cui partono tre torrenti. Ma è a secco: Israele blocca da mesi i materiali edili. Solo 2mila case ricostruite su 19mila

 

Chiara Cruciati (Il Manifesto)
Gaza, 4 giugno 2016, Nena News – Una donna guida tre capre dentro il perimetro dell’asilo. Prende un pallet di legno, lo appoggia all’ingresso di una delle aule e la trasforma in un piccolo recinto. Approfitta dello stop ai lavori per la ricostruzione della scuola distrutta durante Margine Protettivo dalle bombe israeliane: da settimane l’ingresso di cemento dentro la Striscia di Gaza è bloccato dalle autorità israeliane, convinte che non arrivi ai legittimi destinatari ma finisca nelle mani di Hamas per la ricostruzione dei tunnel sotterranei. Come tanti altri progetti anche questo, l’asilo di Umm al-Nasser, comunità a nord di Gaza, è fermo.
Sono trascorsi quasi due anni dalla fine dell’operazione militare che nell’estate del 2014 devastò come mai prima la Striscia di Gaza. In mezzo la promessa mai mantenuta della comunità internazionale di donare 5,4 miliardi di dollari per la ricostruzione e un sistema di distribuzione dei materiali edili che differenzia tra progetti infrastrutturali di Qatar e Unrwa (agenzia Onu per i rifugiati palestinesi), progetti delle organizzazioni non governative e ricostruzione di abitazioni da parte di privati. Ideato dalle Nazioni Unite e dall’inviato per il Medio Oriente Robert Serry, è stato immaginato come un fiume da cui partono tre torrenti diversi. Ma il fiume è quasi a secco.

 

I progetti di ricostruzione delle ong internazionali per rimettere in piedi scuole, cliniche, pozzi, reti idriche sono alimentati dal primo torrente e dal cosiddetto Grm (Gaza reconstruction mechanism): «Il Grm è l’ente che gestisce l’ingresso di materiali di ricostruzione a Gaza – spiega al manifesto Mitia Aranda, architetto dell’ong italiana Vento di Terra, impegnata nella ricostruzione dell’asilo di Umm al-Nasser – È formato da tre soggetti: il Ministero degli Affari civili dell’Autorità Nazionale Palestinese, il governo israeliano e l’Unops, agenzia Onu che monitora il materiale introdotto».
«La procedura da seguire è la stessa per tutte le organizzazioni: si presenta il progetto e si seleziona una compagnia locale riconosciuta come legittima dallo Stato di Israele. Progetto strutturale e architettonico e contratto con la ditta locale vengono portati al Ministero di Gaza, con l’indicazione delle quantità e la natura di materiale necessario ai lavori. A quel punto il progetto  viene iscritto nel Grm. La ditta locale chiede lo sblocco delle quantità di materiali edili che saranno consegnati al distributore, anche questo locale e anche questo approvato da Israele. Il cemento viene quindi portato in cantiere e l’Unops ne monitora l’utilizzo».

Oggi di operai nel cantiere di Umm al-Nasser non ce ne sono. Il cemento non entra da settimane: la data prevista per l’inaugurazione dell’asilo (entro inizio luglio, la fine del mese sacro di Ramadan) potrebbe restare un miraggio.
Poco più a sud, nel campo profughi di Beach camp, gli operai si muovono veloci nel cantiere della scuola dell’Unrwa: a piano terra spostano i sacchi di cemento, al primo piano fissano le reti di metallo a protezione delle finestre. Il 72% dell’edificio è stato completato, si prevede di finire i lavori ad agosto, prima dell’inizio dell’anno scolastico. L’ingegnere Abdul-Karim Barakat ci fa visitare la scuola, un edificio di 42 classi a forma di U: «Oggi [19 aprile] abbiamo ricevuto una comunicazione dall’Access Coordination Unit dell’Onu che ci ha assicurato l’ingresso del cemento. Per il resto della Striscia l’accesso è stato bloccato, ma non per i progetti infastrutturali di Nazioni Unite e Qatar, che proseguono».
La ricostruzione è in stand by solo per le abitazioni civili e i progetti delle ong, qui si continua a lavorare perché Onu e Qatar hanno accordi bilaterali direttamente con Israele: il secondo torrente. Ma non mancano gli ostacoli: «Siamo comunque in ritardo di due mesi – ci spiega Barakat – a causa del lento afflusso dei materiali che Israele considera a doppio uso, metalli, legno, acciaio. Ovvero materiali che Tel Aviv reputa utilizzabili anche per la costruzione dei tunnel sotterranei. Per questo dobbiamo chiedere un permesso speciale, che richiede tempo. Le reti per le finestre, ad esempio, non arrivano da mesi». Per il resto il sistema è apparentemente lo stesso del Grm: si presenta il progetto, si indice la gara d’appalto e si indicano i materiali necessari. La compagnia locale assunta dall’Unwra, obbligatoriamente registrata alla Palestinian Union Contractors, gestisce poi i subappalti per le diverse attività di costruzione, dalla falegnameria all’idraulica.

A monte sta la linea diretta che dal 2010 collega le autorità israeliane all’Unrwa e che permette l’accesso di materiali edili senza grossi intoppi per i progetti infrastrutturali: «Il cemento non entra per la ricostruzione delle abitazioni civili – ci spiega il vice direttore dell’ufficio Unrwa della Striscia, David de Bold – perché Tel Aviv ritiene ci sia una ‘perdita’ nel sistema di distribuzione. Questo rallenta la ricostruzione delle case distrutte e danneggiate, seriamente provata anche dalla mancanza di fondi: secondo la Banca mondiale del denaro promesso dalla comunità internazionale è arrivato solo il 20%. L’Unrwa aveva chiesto 700 milioni, ne abbiamo ricevuti 270. Con quel denaro possiamo ricostruire 2mila case su un totale di 7mila di proprietà di rifugiati. Ciò significa che dobbiamo investire fondi per sostenere le famiglie sfollate: distribuiamo denaro alle famiglie rifugiate per pagare l’affitto, per un totale di due milioni ogni mese. Denaro che potrebbe essere usato per ridare loro una casa».
Case fantasma e decine di migliaia di gazawi ancora schiacciati dal peso dello sfollamento:ad oggi le unità residenziali ricostruite sono meno di 2mila su un totale di 12.576 abitazioni totalmente distrutte e 6.455 gravemente danneggiate, quindi inabitabili. Fuori, oltre il muro che assedia Gaza, c’è Israele che, dopo aver distrutto, oggi gestisce tempi e modi della ricostruzione. Mettendo in piedi un ingente giro d’affari: «Il 70% del costo di un edificio va per i materiali da costruzione – ci spiega J. A., cooperante che segue da vicino il sistema della ricostruzione – Dopo il golpe in Egitto il 2013, tutto il materiale entra da Israele. Fate da soli il calcolo, quanto incassa Israele con il business della guerra».
Sullo sfondo restano i privati, le famiglie di Gaza, individuate dal Grm come beneficiarie ma che di cemento ne vedono ben poco: è il terzo torrente, ma di acqua non ce n’è. «Mentre l’Unrwa ha condotto un censimento sulle case dei rifugiati demolite, il Ministero dei Lavori Pubblici di Gaza si è occupato delle abitazioni dei non rifugiati. 9mila i primi, 3mila i secondi: un totale di 12mila case. Cosa deve fare una famiglia per avere il cemento? Si registra al Ministero e viene inserita in una delle liste dei donatori, quella dell’Unrwa, quella del Qatar e quella del Kuwait, i due paesi che hanno messo sul tavolo il denaro per la ricostruzione dei privati. Entra quindi nel sistema del Grm, con la quantità di materiale accordata. Alla famiglia viene comunicato l’arrivo dei materiali e il distributore dove ritirarli. A monitorare il tutto è l’Unops che, con telecamere in ogni compagnia di distribuzione, controlla le consegne ai beneficiari».

 

Fuori dal sistema restano quelle famiglie che vorrebbero ampliare la propria casa o costruirne una nuova, vista la naturale crescita della popolazione. Hanno bisogno di cemento ma non rientrano nel sistema Grm: «È qui che entra in gioco il mercato nero: alcuni distributori bypassano i controlli e rivendono i materiali destinati ai beneficiari a chi beneficario non è, a prezzi molto più alti del previsto – continua J. A. – Se il Grm ha stabilito un prezzo di 520 shekel [120 euro circa] a sacco di cemento, ovvero 50 kg, sul mercato nero viene rivenduto a 1.500-2000 shekel [350-470 euro]».
La mancanza di cemento crea un gap, un vuoto dove le famiglie beneficarie restano invischiate: in molti chiedono prestiti per iniziare a ricostruire, aspettando di ricevere la donazione. Ma la donazione non arriva e ci si ritrova indebitati con banche e privati e con una casa ricostruita a metà. Chi può prova a fare economia del cemento che riceve: «Se il Grm ti riconosce 100 tonnellate di cemento, la quantità media per un’abitazione di 100 m², la famiglia ne usa di meno, risparmia un 5-6% del totale per rivenderlo poi sul mercato nero».
A Gaza il sentimento che prevale è la rassegnazione. Solo così, ci dicono, possono spiegarsi i 30 casi di tentato suicidio e i 5 di suicidio da gennaio, numeri impressionanti che raccontano la frustrazione di chi è stato spogliato della propria dignità. Sharif Hamad vive a Beit Hanoun, ha perso la sua casa (un palazzo di 8 appartamenti, dove vivevano 8 famiglie) e oggi vive in affitto. Da un anno è stato inserito nella lista del Kuwait insieme ad altre 1.150 famiglie ma ad oggi non ha ricevuto nemmeno un sacco di cemento: «Israele ha raggiunto il suo obiettivo – ci dice – Dall’ultima operazione voleva ricavare una tregua di 15-20 anni e l’avrà. Ci ha lasciato nel limbo della ricostruzione, o meglio della non ricostruzione, impegnati a garantirci un tetto sulla testa invece che a pensare ai nostri diritti di popolo sotto assedio. Lavorano sulle frizioni interne alla società, tra chi riesce a costruire e chi no, tra chi sfrutta il mercato nero per arricchirsi e chi è ancora sfollato. E Israele fa affari: qui a Gaza un sacco di cemento è venduto a 520 shekel, in Cisgiordania costa 380. Dove va la differenza? In tasca a Tel Aviv».

da qui

Gideon Levy : Una giornata di lutto chiamata Jerusalem Day

 

Un giorno Jerusalem Day diventerà una giornata di lutto nazionale. Le bandiere saranno abbassate a mezz’asta  per commemorare la distruzione del sogno israeliano

Jerusalem Day  per gli israeliani segnerà la fine dei loro 19 brevi anni di innocenza e l’inizio della malevolenza sistematica istituzionale del loro stato. Essi non capiranno come per anni abbiano avuto il coraggio di considerare l’ occupazione una festa nazionale sancita dalla legge . Così   Gerusalemme  è diventata simbolo della tirannia e del razzismo dello stato. Naturalmente non possiamo sapere se questo avverrà e se la società guarirà dalla sua malattia mortale

Per la maggior parte degli Israeliani questo giorno non ha alcun significato a differenza degli sciovinisti religiose “, una minoranza caratterizzata dal bullismo
Gerusalemme   ormai una città sporca e trascurata  che gli  ebrei laici lasciano il più velocemente possibile, mentre i palestinesi  vi  si aggrappano  con tutte le forze . Una città in mano agli  estremisti ebrei , così, la metastasi dei coloni si diffonde  in ogni quartiere palestinese causando  miseria, espropriazione, oppressione . Tutto avviene con l’approvazione del Governo  e del  potere giudiziario, l’autorità più illuminata di Israele.

Questa è una città palesemente binazionale che avrebbe potuto costituire un esempio di convivenza  democratica  e ,invece,  è diventata  a causa dell’avidità israeliana  un esempio  dell’aggressività, dell”abuso e dell’ arroganza .

Il giorno della  “liberazione” ha trasformato  Gerusalemme in  un mostro di cemento e   in un Moloch. Oggi siamo tenuti a celebrare questo giorno per legge. Nessuna persona di coscienza può fare questo . Ho amato Gerusalemme quando ero giovane per la sua bellezza,ma ora la sua bellezza è stata mutilata e resa irriconoscibile, nulla è rimasto.Solo  i ciechi e gli  ignoranti possono ancora viverla con piacere . Chi può trarre  godimento nel visitare una città dove l’occupazione urla da ogni pietra?

Con la squadra di calcio più razzista del  campionato e il sindaco  più sciovinista dello Stato , Gerusalemme è diventata  il simbolo dell’occupazione, la prova più convincente dell’ apartheid. Più di un terzo degli abitanti di Gerusalemme – 37 per cento – è costituito da palestinesi che dovrebbero  avere pari diritti, ma vengono soggiogati in ogni modo possibile. Non è un caso che qui è nata la  rivolta disperata dei  solitari  della  terza intifada.

Avrebbe potuto essere diverso, se  Israele avesse riconosciuto i palestinesi come uguali agli ebrei,ma  Israele non ha mai superato questa tentazione. Quarantanove anni fa ha conquistato parte della città e da allora ha fatto di tutto per trasformarla in rovine morali.

E per  questo  saremo un giorno  in lutto nel Jerusalem Day

da qui

 

 

redaz
una teoria che mi pare interessante, quella della confederazione delle anime. Mi racconti questa teoria, disse Pereira. Ebbene, disse il dottor Cardoso, credere di essere 'uno' che fa parte a sé, staccato dalla incommensurabile pluralità dei propri io, rappresenta un'illusione, peraltro ingenua, di un'unica anima di tradizione cristiana, il dottor Ribot e il dottor Janet vedono la personalità come una confederazione di varie anime, perché noi abbiamo varie anime dentro di noi, nevvero, una confederazione che si pone sotto il controllo di un io egemone.

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