27 febbraio 1989: Caracazo in Venezuela

di David Lifodi *

Il Caracazo del 27 Febbraio 1989 rappresentò una delle prime mobilitazioni di massa contro i piani di aggiustamento strutturale imposti dal Fondo Monetario Internazionale, ma segnò anche una rottura significativa tra i movimenti popolari latinoamericani e quell’Internazionale Socialista che pretendeva di dirigerli e farsene interprete.

Tutto avvenne sotto il governo di Carlos Andrés Pérez, già presidente della stessa Internazionale ed uomo di spicco di Acción Democrática, un partito di tendenza socialista dedito in realtà spartirsi gli incarichi di potere nel paese con il Copei, il Partito Cristiano-Sociale di Rafael Caldera, presidente del Venezuela nella prima metà degli anni ’70 e poi dal 1994 al 1999. Pérez aveva assunto l’incarico presidenziale a Miraflores il 4 Febbraio 1989 accompagnato da un certo entusiasmo: durante la sua campagna elettorale aveva più volte attaccato il Fondo Monetario, accusandolo di martirizar a los pueblos. Quelle che allora sembravano pesanti critiche ad un organismo finanziario internazionale che per anni aveva condizionato la vita politica e sociale di un intero continente (ed avrebbe continuato ancora per molto tempo), si rivelarono delle semplici frasi propagandistiche ad effetto. Il paese era sull’orlo della bancarotta e, come nella migliore tradizione degli avvoltoi, il Fmi si materializzò con un prestito di 4500 milioni di dollari in tre anni, ma dettando anche le sue condizioni, composte da un pacchetto economico devastante. Tra le misure più odiose l’aumento del prezzo dei biglietti del trasporto pubblico (alzato del 30%), l’incremento progressivo delle bollette telefoniche, elettriche e idriche, infine la benzina, che raggiunse presto un costo proibitivo. La mattina del 27 Febbraio Guarenas, città dormitorio alle porte della capitale Caracas, fu svegliata da una mobilitazione popolare spontanea difficilmente arrestabile. I lavoratori rifiutarono di recarsi al lavoro, i passeggeri degli autobus dettero vita ai primi tumulti per non pagare il biglietto, cominciarono i primi assalti alle pompe di benzina, ai supermercati e ai grandi magazzini. La rivolta era cominciata: in poche ore le strade della capitale e dei maggiori centri urbani erano percorse dalle squadre antisommossa inviate dal presidente Pérez, ma ormai era troppo tardi. Al tempo stesso, tutto il paese era paralizzato da scioperi spontanei e cortei studenteschi improvvisati. Dal 27 Febbraio al 2 marzo si scatenò l’inferno, la polizia usò la mano pesante ed il governo mentì spudoratamente: dopo giorni di battaglia campale una nota da  Miraflores parlava di 243 vittime ufficiali, ma secondo fonti indipendenti i morti furono oltre tremila. Il 28 Febbraio il governo aveva approvato e reso operativo il Plan Ávila, che di fatto cancellava tutte le garanzie costituzionali: divieto di manifestare e riunirsi liberamente, sospensione dell’inviolabilità del domicilio, fine della libertà di stampa. Inoltre, fu concessa mano libera all’esercito. Seguirono quattro giorni di repressione totale nelle strade e nelle case private: uomini, donne e giovani furono assassinati a sangue freddo. Le testimonianze tratte dai giornali dell’epoca sono agghiaccianti. “Sembrava come se il paese intero fosse in guerra”, dichiarò un medico, “ogni minuto arrivava un ferito, prima solo giovani, ma poi anche vecchi, donne e bambini”. Nonostante tutto il presidente Carlos Andrés Pérez riuscì a mantenere la presidenza fino al maggio del 1993, riuscendo anche a sventare un golpe organizzato da militari di provenienza progressista che vide come protagonista Hugo Chávez insieme ad alcuni ufficiali dell’aviazione riuniti sotto l’allora neonato Movimento Bolivariano. Era il 4 Febbraio 1992 e sembrava che la carriera politica dell’attuale presidente venezuelano fosse terminata prima di cominciare: in seguito al colpo di stato Chávez conobbe la prigione.

Il vento cominciò a cambiare quando Pérez fu accusato di corruzione, mentre Chávez vinse le sue prime elezioni nel 1998 per assumere la presidenza del Venezuela nel 1999: dal quel momento per il paese e per lo stesso presidente bolivariano sarebbe cominciata un’altra storia, non meno avventurosa, ma, pur con qualche inciampo e alcune mosse non sempre condivisibili (vedi il sorprendente quanto incomprensibile avvicinamento al colombiano Juan Manuel Santos), sicuramente più degna.

* Tratto da http://www.ildirigibile.eu/ del 27 Febbraio 2012

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