I treni… e chi “paga”

Trasporti sostenibili con dignità, intelligenza e pratica “antica”

di Angelo Maddalena

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Nel mio libro «Amico treno non ti pago» c’è una scena: io che entro nel treno Thalis a Bruxelles, direzione Parigi. Il Thalis è il treno più lussuoso che va da Amsterdam a Parigi, si può paragonare al “nostro” Italo. Ci sono le hostess all’ingresso delle porte d’ingresso del treno. Fortunatamente a Bruxelles i controlli sono meno attenti rispetto alle stazioni di partenza (Amsterdam e Parigi). Quindi per ben due volte sono riuscito a infilarmi senza biglietto, in un treno che mi sarebbe costato 100 euro per 300 Km! Però è di lusso! Questo lusso, per inciso, costa alle ferrovie francesi una cifra enorme, come costano cifre enormi tutti i TGV ecc. Per rimanere al Thalis, ho recentemente letto che c’è un Thalis che alle 6 di mattina fa Amsterdam-Parigi… deserto! Non si spiega bene perché SNCF (come dire Trenitalia in Francia) si ostini a mantenere un treno così costoso per pochissimi passeggeri “di lusso”… cifre enormi per i costi di mantenimento che adesso non ricordo. Forse nel nuovo piano finanziario c’è speranza che il Thalis “fantasma” venga dismesso, ma nel frattempo questa querelle se la palleggiano la SNCF e la SNCB (come Trenitalia ma in Belgio).

Torniamo al mio viaggio sul Thalis. Appena entrato in treno mi sono seduto di fronte a una signora che aveva due bambini piccoli. Ho fatto un ritrattino a uno dei bambini e poi parlando parlando ho detto alla signora: «Io non ho il biglietto». E la signora, dell’alta borghesia parigina (questo me lo ha detto lei) mi ha risposto: «Hai fatto bene. I treni, in Francia, ne sont pas pour tout le monde (i treni in Francia non sono per tutti) perché costano cifre molto alte. Io che me lo posso permettere, ho fatto il biglietto un po’ di tempo prima per pagare un po’ meno, e in ogni caso, parlano tanto di sostenibilità ecologica e io non vorrei utilizzare l’automobile ma son costretta a farlo perché i treni costano troppo». E’ tutto vero, ve lo dico perché ho vissuto in Francia per un po’ di mesi viaggiando tanto e posso assicurare, pur non pagando i treni (questa è un po’ comica come situazione, no?, che mi sono informato e so che costano tantissimo, sicuramente molto più che in Italia. Però hai l’impressione (ed è anche vero in generale ma anche lì ci sono defaillances tecniche e funzionali) che ci sia molta più efficienza, pulizia e puntualità che nei treni italiani. Sapete qual è però la cosa che mi angoscia, sempre continuando a parlare di quel treno lì e di quel viaggio? Quella volta lì non dovevo andare solo da Bruxelles a Parigi, ma a Torino! E così ho fatto: ho preso l’Eurostar Parigi-Milano e sono sceso a Torino Porta Susa (era marzo 2011). Solo da Parigi a Torino avrei dovuto pagare 118 euro! Ne ho pagati solo 18! Ma perché sono stato obbligato, e cioè per accedere al binario ti chiedevano di far vedere un biglietto, io ne ho comprato uno per la prima stazione dopo Parigi; ovviamente il treno non fermava in quella stazione, se il controllo fosse stato più attento mi avrebbero impedito di salir sul treno, ma loro guardavano solo il biglietto, e non la destinazione (almeno quella volta lì).

Sapete cosa mi ha detto una mia amica di Milano, che lavora e milita nel commercio equo e solidale, quando le ho raccontato tutto ciò? Ebbene sì, mi ha dato la risposta che mi sarei aspettata dalla signora dell’alta borghesia francese oppure da un prete o da un bigotto: mi ha detto così: «Sai che io non approvo queste cose». Ammesso che vogliam dire le cose per come stanno, forse lei si riferiva ai treni italiani e magari regionali; e comunque non è giustificata neanche in quel caso, perché non c’è una base oggettiva per “approvare” o “disapprovare” una scelta personale di viaggiare rischiando di prendere una multa o di assumersi la conseguenza della propria scelta. Ma la cosa più agghiacciante è che io le stavo raccontando di un viaggio in treni ad Alta Velocità che dal Belgio attraversano la Francia e arrivano in una città del Nord Italia. E io non avevo modo di fare altrimenti per fare quel viaggio, tra l’altro l’indomani del mio arrivo a Torino in una rassegna internazionale di Teatro Azione c’era il mio spettacolo intitolato «Amico treno non ti pago»!

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Fra questi due aneddoti credo si possa racchiudere una riflessione inerente i trasporti pubblici e la mobilità sostenibile che dir si voglia. Però dobbiamo partire dal basso e dalla radice per ragionare su questi elementi. La prima cosa che mi viene da dire è che la delibera del CIPE del 2011 ha autorizzato di utilizzare, per il cantiere della TAV in Val di Susa (cantiere di Chiomonte, linea ad Alta velocità Turin-Lyon) anche i fondi per la sanità, per l’edilizia carceraria e per la mobilità sostenibile. Questo per chiederci: quante energie e risorse vengono investite, dei nostri soldi pubblici, per costruire opere insostenibili e quanti ne vengono destinati a opere di sostenibilità? Che poi anche lì: come scrive Franco La Cecla nella prefazione al libro «Dopo l’automobile» di Colin Ward, «le piste ciclabili sono comunque gabbie o ghetti per i ciclisti». Per certi versi, il problema di base è l’esistenza delle automobili che distrugge il tessuto urbano a ogni livello cioè ecologico, economico, antropologico e non ultimo… urbano nel senso stretto del termine: mettiamoci nei panni di un bambino che vuole giocare a pallone come si faceva “serenamente” fin a vent’anni fa o meglio ancora trent’anni fa; e ci accorgiamo che pensare alle piste ciclabili, sì è importante ma diventa una quisquilia se paragonato all’insieme delle automobili che ammorbano e occupano il nostro spazio urbano quotidiano. Per essere concreti pensiamo a una città come Milano (non so come funziona a Roma), dove tu puoi portarti dietro la bicicletta e metterla nella metropolitana solo prima delle 8 del mattino e dopo le 20 (questo dato è riferito a un paio di anni fa, credo sia ancora così). Una volta ho visto uno spettacolo dal titolo «Quanto Basta», di un attore che si definiva “impegnato” e promuoveva nel suo spettacolo uno stile di vita più sostenibile basata sul consumo critico – forse accennava anche al commercio equo solidale (se penso a quella mia amica e tanti altri di questo circuito mi viene da impazzire!) – e finiva con lui che prendeva in mano una biciclettina e la faceva danzare per aria: sì, bello poetico, ma poi se vuoi davvero farla danzare per la città o metterla su un treno a lunga percorrenza o su un treno della metropolitana… o la pieghi (non mi risulta sia così facile e neanche che ci siano tante biciclette pliables in giro) oppure ti attacchi! Quindi io penso che occorra un contatto quotidiano con la realtà o comunque un contatto con la dimensione conflittuale della realtà. Purtroppo, al contrario di come doveva avvenire, se fino a 30 anni fa le persone si spostavano in forme avventurose e autogestite (autostop e viaggio libero in mezzi pubblici, e parlo in entrambi i casi di migliaia di chilometri, non di noccioline: testimonianze splendide di amici oggi 50enni che andavano da Catania a Berlino con il biglietto contraffatto ecc.) oggi, a causa del dominio dell’automobile privata, i mezzi pubblici o il viaggio “conviviale” sono quasi “fuori legge”. Ecco allora la necessità e la preziosità di praticare un trasporto pubblico gratuito, o quanto meno autogestito, come dicono i libri pubblicati in Francia negli ultimi decenni: uno fra tutti: «Zero euro zero fraude, trasports gratuits pour toutes et tous», firmato RATP (gioco di parole che riprende la sigla della Rete di trasporti pubblici di Parigi, ma qui è tradotto o parafrasato così: «rete per l’abolizione dei trasporti a pagamento»). La cosa più scandalosa è che oggi avremmo molti più motivi per non pagare o per mettere in discussione la sacralità del biglietto; molte cose sono spiegate bene nel documento francese citato prima: per esempio che il biglietto del treno e dell’autobus è un ricatto sociale, perché, fra le altre cose, copre il 15 o al massimo il 25 % del budget di un’Azienda di Trasporti pubblici, mentre il resto è costituito dallo Stato, dalle municipalità, dalle Regioni, cioè dalle nostre tasse! In più, negli ultimi anni, dalle pubblicità che invadono sempre di più le stazioni e i mezzi di trasporto, per esempio le fiancate di molti autobus e tram. Prendiamo per esempio la TAV e i soldi che succhia anche ai treni “universali” e alle linee che smettono di funzionare … per costringerci a usare i treni ad alta velocità. Oppure alle biglietterie sempre affollate anche perché molti sportelli sono chiusi, o alle biglietterie automatiche che spesso non funzionano o non accettano soldi contanti ecc. Il paradosso è questo: fino agli anni ’90 era patrimonio diffuso che i trasporti devono essere gratuiti almeno per chi li usa per lavoro; un mio amico educatore professionale in un quartiere popolare di Milano mi diceva che secondo lui chi va da casa sua al posto di lavoro non dovrebbe pagare il trasporto pubblico. Così anche uno che poi diventò manager a Milano, non appena laureato a metà anni 90, mi diceva che non pagava il biglietto del tram perché “disoccupato”. Capite allora – senza scomodare le autoriduzioni e gli espropri proletari degli anni ’80 – che oggi ci troviamo in una situazione paradossale, in cui non solo ti puoi sentir dire che viaggi a scrocco se fai autostop, oppure che sei un parassita se dici che non paghi il biglietto del treno, ma in più ci sono meccanismi di auto-inibizione fino all’immobilismo e alla paralisi, come quella ragazza di cui racconto nel mio libro e monologo teatrale «Amico treno non ti pago»: in un viaggio con 200 minuti di ritardo, in una giornata in cui moltissimi treni avevano riportato ritardi di quel tipo, io senza biglietto salgo sul treno con tanti altri. Lei, che aveva il biglietto per l’Intercity, non vuole prendere il treno che sta partendo perché è un Eurostar, anche se il capotreno le dice di salire che con 100 minuti di ritardo il problema del biglietto (che lei aveva!) diventa secondario. Ma lei non è salita! Ecco la paradossale dimostrazione che il biglietto serve a controllare e a “bloccare” il libero movimento delle persone (lo spiega un ferroviere francese in un’intervista della rivista «Refractions, Le retour des illegalismes», primavera 2009). Non resta che farsi una risata liberatoria per superare questo pantano. Una risata magari pensando a chi viaggia in treni ad Alta Velocità senza biglietto! Che si diverte e scrive racconti di vita e di arte di vivere… ce ne fossero!

Altro elemento importante: io ho spesso viaggiato in treni ad Alta Velocità (Freccia Bianca tra Ancona e Foggia, proveniente da Bologna o Milano suppongo) senza biglietto, estate 2014 e estate 2015. Sembrerà impressionante ma in entrambi i casi (sempre nel mese di luglio), una volta il treno ha riportato un’ora di ritardo, un’altra volta 2 ore e mezza. Io mi dico, scherzando e non solo: «sono stato rimborsato, meglio viaggiare senza biglietto così se ti devono rimborsare, ti sei premunito». Ma questa che sembra una battuta diventa un’azione politica imposta dall’Antitrust a Trenitalia, ovviamente in una forma diversa: a ottobre 2014 l’Antitrust fa una multa di un milione di euro a Trenitalia perché dal 2007 a oggi rimborsa solo chi viaggia in treni con ritardo superiore a un’ora, «cosa illegittima» secondo l’Antitrust. Quindi, la questione non è economica o morale ma squisitamente di mancanza di autonomia. Lo spiega bene Ivan Illich: la dipendenza dalle Istituzioni, dal Mercato e dagli strumenti tecnologici, superata una certa soglia, produce una perdita di autonomia e una forma di nuova povertà, di autonomia appunto, e di capacità di gestire le ansie interiori. Ivan Illich è anche colui che 40 anni fa parlava di uno sviluppo non sostenibile, cioè della impossibilità di parlare di sviluppo sostenibile, in quanto lo sviluppo è di per sé distruttivo di un sistema conviviale.

Se è per questo anche Marco Camenisch e Ted Kazinskj dicon le stesse cose di Illich, però marciscono nelle carceri svizzere (Camenisch) e degli Stati Uniti (Kaczinskji) solo perché hanno fatto il gesto tanto pericoloso e “criminale” di accompagnare alla teoria anche la pratica. E non importa che, come nel caso di Camenisch e altri come lui – in Svizzera erano tanti durante le lotte antinucleari a fare sabotaggi – non abbiano colpito mai persone ma solo strutture di pubblico servizio; per Camenisch la pena supera i 20 anni di carcere e rischia di diventare internamento a vita! Per dire: l’assunzione della propria responsabilità “fino in fondo”, da Socrate a Camenisch è “criminogena”, cioè la sostenibilità (difendere la terra dall’industria nucleare non è un gesto di sostenibilità ecologica?) è pericolosa, quindi… il Sistema in cui viviamo è un lager a cielo aperto, e anche avvelenante! Viva quindi la vera sostenibilità che produce vivacità, intelligenza, cooperazione, rottura dell’isolamento (viaggiare quindi “all’antica” e cantare la vita). Abbasso la sostenibilità che inibisce e blocca la vita di chi viaggia e di chi vuole rompere l’isolamento e l’internamento quotidiano. O no? Per concludere: una volta parlavo in treno con un ventenne della vicenda di Marco Camenisch. Il ragazzo mi disse queste parole: «il mio professore di filosofia ci ha spiegato che per un’impostazione antropocentrica fare esplodere un traliccio dell’alta tensione non è giusto, ma se spostiamo il paradigma dall’antropocentrico all’ecocentrico, cioè mettiamo al centro la terra e l’ecosistema, fare esplodere un traliccio è giusto e doveroso, perché significa difendere la Terra».

 

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