L’Italia in guerra come quando…

… invase l’impero austriaco per “liberare” Trento e Trieste. Ma anche oggi c’è chi sciopera contro il riarmo e l’economia bellica.

articoli, video e immagini di Enrico Euli, Manlio Dinucci, Gian Giacomo Migone, Alberto Conti, Maurizio Acerbo, Andrea Zhok, Alessandro Barbero, Toni Capuozzo, Giorgio Bianchi, Alberto Negri, Mauro Biani, Tomaso Montanari, Marco Revelli, Clare Daly

 

 

 

 

 

 

intervento di Alessandro Barbero

 

…Immaginiamo un Paese A e uno B che confinano, non si vogliono bene e hanno un lungo passato di contrasti. Nel Paese A, vicini al confine, ci sono abitanti che parlano la lingua del Paese B e si trovano male nel Paese A, dicono che sono oppressi e discriminati. Molti di loro vorrebbero essere nel Paese B. A un certo punto il Paese B invade A con lo scopo dichiarato di liberare i compatrioti dall’oppressione.

Sto raccontando il 24 maggio del 1915 quando l’Italia ha dichiarato guerra invadendo l’impero austriaco per liberare Trento e Trieste. Una pagina della nostra Italia che è sempre stata raccontata come gloriosa.

Se però stessi raccontando la decisione della Russia di invadere l’Ucraina per liberare i connazionali oppressi del Donbass, in cui i russi non hanno diritto di usare la loro lingua neppure nelle scuole, cosa diciamo?

Uno dei problemi dell’Europa orientale post-sovietica è che ci vivono minoranze russe. I russi sono stati la nazione imperiale che ha dominato tanti piccoli Paesi. Quando quei Paesi sono diventati indipendenti, i russi rimasti lì sono diventati minoranza guardata con antipatia e discriminata.

Anche gli italiani sono stati discriminati quando sono diventati minoranze dopo il 1945 nella Jugoslavia. Hitler ha smembrato la Cecoslovacchia per recuperare gli abitanti tedeschi dei Sudeti. È la normale vendetta dei popoli che a lungo sono stati dominati contro il popolo dominatore.

Poi c’è la paranoia russa. Nella cultura politica russa l’ossessione di essere aggrediti è costante, risale ai tempi delle invasioni mongole. Certo, la Russia è sempre stata spietata e imperialista, ma nel suo dna non ha mai avuto la voglia di espandersi a occidente “fino al Portogallo”, come qualcuno ha detto.

L’Occidente, diciamo nel suo candore, aveva promesso a Gorbaciov di non allargarsi ad est e invece ha progressivamente fatto entrare nella Nato tutti i Paesi dell’Europa orientale: ci sono le basi della Nato ai confini con la Russia. Ora: se tu hai a che fare con una grande potenza paranoica, devi sapere che se ti avvicini ai suoi confini potrà avere una reazione.

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Riguardo la richiesta di Finlandia e Svezia di entrare nella Nato, va detto che l’Ucraina intratteneva rapporti con la Nato da parecchi anni, gli istruttori Nato istruivano l’esercito ucraino che è a tutti gli effetti un esercito della Nato. Putin ha invaso l’Ucraina per questo e perché c’era la probabilità che l’Ucraina entrasse nella Nato.

Se fossi un cittadino della Svezia o della Finlandia non direi che per essere più sicuri si dovrebbe entrare nella Nato, a meno che non ci sia la convinzione che la Russia sia pronta a lanciarsi in azioni di conquista. Ma non mi sembra uno scenario plausibile, quindi secondo me non è una scelta sensata.

da qui

 

 

L’Ucraina se l’è comprata l’America

Dalla pg FB di “il Giardiniere”

Sapete perché gli Usa mandano tante armi all’ucraina? Non per carità cristiana, siatene certi. Semplicemente perché 3 grandi multinazionali statunitensi hanno comprato da Zelensky 17 milioni di ettari di ottima terra.

Si tratta di CArgill, Dupont e Monsanto (la quale è formalmente germano-australiana ma di capitale statunitense). Il 5 per cento del terreno agricolo Ucraino è stato poi acquistato dallo stato cinese.

Per capire quanto siano 17 milioni di ettari, basti pensare che tutta l’Italia ha 16,7 milioni di ettari di terra agricola.

Insomma, tre compagnie americane si sono comprate in ucraina una superficie agraria utile più vasta dell’intera italia.

E chi sono gli azionisti di queste tre compagnie?

Sempre loro: Vanguard, Blackrock, Blackstone. Cioè le stesse tre società finanziarie che controllano anche tutte le banche al mondo e tutte le maggiori industrie belliche dell’universo.

Insomma, se la suonano e se la cantano.

Ecco perché mangimi (Cargill e Du pont) e concimi (Monsanto-Bayer) hanno subito aumenti clamorosi sin da prima della guerra: perché sapevano già tutto, erano informati di tutto.

E sapete quando finirà la guerra? Quando le grandi compagnie finanziarie avranno smaltito il loro stock di armi facendole pagare a noi, europei idioti, già spremuti dalla stessa combriccola che nel frattempo specula su grano, riso, mangimi, concimi.

Gli organi di informazione pompano la guerra. Per forza, sono sempre di proprietà di Vanguard, Blackrock e Blackstone. E Biden vuole la guerra. Per forza: è stato eletto dai magnifici tre.

Aveva ragione Battiato: abbocchi sempre all’amo.

Ma poi, mi chiedo io, di tutti questi soldi che se ne faranno i soliti noti – Buffet, Soros, Gates – che delle tre grandi compagnie finanziarie sono i soci palesi e occulti? Mangiano forse bank’s guarantee ed hedge founds? Boh

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equivalenze – Enrico Euli

L’Italia sta agli USA come la Bielorussia sta alla Russia, provoca Orsini.

La formazione liberale e gesuita di Draghi non è quella di Lukashenko.

Le nostre tradizioni culturali e sociali non assomigliano a quelle.

Non siamo uguali, è chiaro.

Ma la struttura di dominio della nostra relazione con gli Stati Uniti permette l’equivalenza.

I fatti di questi ultimi mesi lo dimostrano ulteriormente e perfettamente: siamo ancora e soltanto un loro stato-satellite, e trattati sempre paternalisticamente, come se non potessimo essere -sempre e per sempre- altro che un minore ad autonomia vigilata.

Il parlamento italiano sta a Draghi come la Duma russa sta a Putin.

Il nostro capo del governo, totalmente ed incostituzionalmente appoggiato dal Presidente della Repubblica, sta prendendo le sue decisioni da solo,al massimo discutendone frettolosamente con alcuni ministri di fiducia, senza più neppure convocare il Parlamento, fosse anche solo per ratificare le sue scelte che -da personali- si trasformano immediatamente in orientamenti politici insindacabili.

Il decisionismo completa il suo ciclo autocratico anche qui da noi, così come nelle altre grandi ‘democrazie’ europee; Draghi, Macron, Scholz, Johnson come Putin: un uomo solo è al comando.

L’Unione Europea sta alla Nato come San Marino sta all’Italia…

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Scrive Andrea Zhok

Al concorso internazionale “Lipizer” di Gorizia, tre violiniste russe sono state escluse dal concorso medesimo.

Secondo le parole del presidente dell’associazione organizzatrice “Non si tratta si discriminazione, ma di aver seguito le decisioni di altre competizioni internazionali”. (Insomma, se eravamo negli anni Trenta e altrove avevano buttato fuori degli ebrei, allora quella non sarebbe stata “discriminazione”, visto che l’avevano già fatto altri.)

Gli odierni eroi della genuflessione opportunista infatti ragionano così: “discriminazione” è una cosa cattiva, e le cose cattive sono sempre roba di minoranza, dunque se canti col coro sei sempre dalla parte del bene.

Peraltro, per una città come Gorizia che vive da sempre in un’atmosfera culturalmente di frontiera, questa ottusità, imperdonabile ovunque, assume tratti tragici.

Con tutta evidenza la cultura in questo paese (e purtroppo in molti altri paesi occidentali) è nelle mani di gente che non avrebbe lo spessore umano e culturale per occuparsi di una discarica, figuriamoci di confronto culturale, di complessità, di musica.

Altro che poeti, santi e navigatori.

Servi sciocchi, ipocriti senza spina dorsale e quaquaraquà a gettone: i nuovi padroni del mondo.

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intervista a Clare Daly

Onorevole Daly, il Parlamento europeo – e le istituzioni europee più in generale – stanno lavorando realmente per la pace in Ucraina o il loro agire sta facilitando l’ulteriore escalation in corso?

Purtroppo è oggi valida principalmente quest’ultima considerazione. La dichiarazione del mese scorso di Josep Borrell al Parlamento – “Vogliamo che [la guerra] finisca il prima possibile, ma non in tutti i modi” – riflette l’umore generale. Piuttosto che volere la pace il prima possibile per fermare lo spargimento di sangue, c’è un’opinione predominante secondo cui “la Russia deve perdere”. Lo abbiamo visto e ascoltato nelle audizioni delle commissioni e nelle risoluzioni parlamentari. Porre tale condizione per mettere fine alla guerra, nelle condizioni attuali, significa semplicemente escludere la possibilità di raggiungere la pace a breve e medio termine. Di recente, i governi di Germania, Francia e Italia hanno dato indicazioni di essere interessati a trovare una via d’uscita dalla guerra che permetta alla Russia di preservare la faccia. La risposta della stampa di Bruxelles è stata di metterli alla berlina per codardia.

 

In alcuni dei suoi discorsi più recenti al Parlamento europeo, Lei ha definito le autorità ucraine “fantoccio” di altre potenze. Come può mai essere raggiunta la pace se, ad esempio, gli Stati Uniti si dimostrano palesemente favorevoli a prolungare il conflitto?

Dobbiamo essere sempre attenti con l’utilizzo dei termini. Non per colpa dei cittadini comuni ucraini, il loro paese è stato strumentalizzato dalle grandi potenze in uno scontro geopolitico. L’Ucraina e la sua politica estera sono state utilizzate dagli Stati Uniti per prendere di mira la Russia. Mosca ha risposto in modo illegale e sproporzionato. Ora c’è una guerra per procura su vasta scala. Poco dopo l’invasione, Hillary Clinton ha dichiarato esplicitamente quella che è probabilmente la strategia statunitense: fare in Ucraina quello che era successo in Afghanistan. Una prospettiva che tutte le persone di coscienza dovrebbero trovare ripugnante: l’Afghanistan è stato distrutto da una guerra per procura 40 anni fa e non si è più ripreso. L’amministrazione statunitense potrebbe facilitare la pace se solo cambiasse la sua posizione e sostenesse sinceramente i negoziati. Per quanto improbabile, questo deve essere incoraggiato…

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NATO, SICUREZZA O RISCHIO? – Alberto Conti

La storia dell’uomo sul pianeta Terra è un fenomeno di tipo evolutivo molto particolare, diverso dall’evoluzione di ogni altra specie animale o vegetale. Si tratta di un’evoluzione spirituale e culturale tesa al superamento della sola dimensione istintuale, che invece domina interamente il comportamento individuale e sociale delle altre specie animali conosciute.

L’istintualità animale residua nelle società umane si è però miscelata spesso con culture d’odio distruttive, fondate essenzialmente su fasulle distinzione tribali, che trovano sfogo nella guerra di sottomissione o annientamento reciproco. In questo terreno di coltura sguazzano i guerrafondai, che però, per quanto subdoli e abili nella loro opera propagandistica, nulla potrebbero contro un popolo forte di una propria spiritualità sedimentata in una solida cultura di pace e tolleranza, coltivata con amore per la verità, consapevolmente.

La direzione del percorso evolutivo, tra infiniti corsi e ricorsi, passi avanti e regressioni, è comunque rivolta verso l’obiettivo di una convivenza fruttuosa e pacifica sempre più ampia ed inclusiva, proporzionalmente al venir meno di confini fisici e mentali all’interno della casa comune, l’astronave Terra. Lo si può e lo si deve fare in armonia tra le differenti identità localmente connotate per cultura e tradizione. E secondo natura non potrebbe essere altrimenti.

Tuttavia, nonostante i progressi millenari delle varie civiltà, è ancor oggi possibile il venir meno dell’autocontrollo della mente sugli istinti più aggressivi e distruttivi fomentati da un odio irrazionale, cosa che è il chiaro obiettivo strategico dei guerrafondai, sacerdoti della diabolica filosofia sintetizzata nel postulato “homo homini lupus”, o “mors tua vita mea”.

Un esempio attuale lo troviamo nella NATO, originariamente fondata come alleanza difensiva del blocco atlantico, ma poi degenerata in mafia offensiva a cupola anglofona, che costringe gli “alleati” a sottomettersi e collaborare a qualsiasi politica aggressiva e guerrafondaia contro i non allineati, a prescindere anche dagli interessi propri.

Se pure si possono comprendere, ma non giustificare, le motivazioni esistenziali di un tale comportamento, resta il fatto che si tratta di un sopruso su larga scala antistorico e pericolosissimo per la stessa continuità del percorso evolutivo dell’umanità. Un abominio intollerabile da una coscienza vigile, al passo coi tempi. E proprio per questo la menzognera propaganda di guerra tende ad anestetizzare le coscienze, ad infantilizzarle confinandole in una fantasiosa e falsa rappresentazione manichea, che contempla solo i buoni da una parte e i cattivi dall’altra, privando questi ultimi di ogni dignità umana, al fine di far accettare alle masse manipolate la loro sacrificabilità, anche a costo della propria.

Il portavoce di questo crimine al momento si chiama Stoltenberg, nomen omen, ma un domani potrebbe chiamarsi Draghi, o Satan, o qualsiasi altra cosa, con un seguito ben nutrito di altri personaggi istituzionali ai massimi livelli, rappresentativi di un potere che è il contrario di quello democratico, essendo oggettivamente oligarchico e antipopolare. Nulla come una guerra può essere oggi contrario agli interessi ed alla volontà dei Popoli, eppure questi demoni preparano compatti questa sceneggiatura apocalittica con abominevole pervicacia, come tanti affiliati che partecipano ad una strage di mafia, non si sa se per interesse personale o per ricatto, ma questo non fa alcuna differenza ai fini pratici.

Rimane comunque incredibile che le popolazioni europee, reduci da due devastanti guerre mondiali, non abbiano ancora metabolizzato la lezione della storia e ci ricaschino passivamente, senza ribellarsi anche solo con un moto d’indignazione interiore, che da solo, se generalizzato, basterebbe a scalzare questa classe dirigente abusiva e diabolica, al servizio del male per schiavizzare un’umanità che fatica ad emanciparsi, e per questo andrebbe invece aiutata, mentre al contrario viene ipnotizzata e condotta al macello da volgarissimi pifferai magici in versione 5G.

Ma di cos’è fatta la NATO, se non di dipendenti pubblici lautamente pagati, la cui unica ragione d’essere è quella di combattere con ogni mezzo un nemico qualsiasi, che se non c’è lo si deve inventare per giustificare la continuità della loro carriera? E difatti si è inventato oggi il nemico russo, domani quello cinese e poi chissà, alla fantasia malata non c’è limite. C’è quindi coerenza tra lo strumento, la NATO, e gli strumentalizzatori più o meno nascosti nelle alte sfere…

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NON IN NOSTRO NOME – Maurizio Acerbo

Stamattina abbiamo accolto Draghi a Montecitorio con uno striscione contro invio di armi in Ucraina. Con altri ex-parlamentari di Rifondazione (Roberto Musacchio, Giovanni Russo Spena) abbiamo aperto lo striscione davanti alla Camera dei Deputati per esprimere il nostro no al governo guerrafondaio e all’invio di armi all’Ucraina insieme alle parlamentari della nostra componente unitaria #ManifestA e Paola Nugnes, a Giuliano Granato di Potere al popolo e Luigi De Magistris.

Abbiamo aperto uno striscione per ribadire all’esterno quello che diranno in aula rispondendo a Draghi le nostre deputate di ManifestA.

Con il governo Draghi l’Italia ha assunto il ruolo di paese più subalterno alla volontà USA di portare avanti una guerra per procura in Ucraina. Il Pd guida lo schieramento guerrafondaio,

M5S e Lega fanno i pacifisti nelle dichiarazioni ma hanno votato per invio delle armi nel consiglio dei ministri e in parlamento.

Di fronte ai sondaggi fingono tutti, persino Letta, di volere la pace ma la realtà purtroppo è diversa. Non facciamoci prendere in giro.

Domani #20maggio in tutta Italia parteciperemo alle manifestazioni per lo sciopero dei sindacati di base contro la guerra.

PS: il liberticida divieto di manifestare davanti a Montecitorio (novità del governo Draghi) ci ha impedito di organizzare una protesta pacifista di massa. Abbiamo utilizzato prerogative di parlamentari ed ex come me per dare visibilità al dissenso.

#noallaguerra

#draghinograzie

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ADDIO ALLE ARMI – Toni Capuozzo

 

Fine della retorica. In italiano, come in ogni lingua, le parole hanno un peso: quella dell’Azovstal non è un’evacuazione. E’ una resa. Certo, non una resa umiliante, non ci sono forche caudine. Non una resa vile, c’è un ordine del Comando supremo, e ci sono 80 giorni di resistenza, alle spalle. Ma non è una resa con l’onore delle armi: si finisce caricati sui bus verso un ospedale o verso centri di detenzione, con un futuro da scrivere tra scambi di prigionieri e forse processi. Ma è la fine della retorica, come se l’eroismo fosse un destino rimasto nel ‘900, il secolo cui appartengono gli strenui nazionalismi e i relitti ideologici che in questa guerra affiorano ogni tanto. E’ la fine della retorica: il Corriere della Sera ancora questa mattina racconta i resistenti dell’Azov come “angeli”, nelle parole dei profughi da Mariupol. Gli altri cittadini che hanno raccontato di essere stati usati come scudi umani non fanno notizia, non esistono sono il lato oscuro di Mariupol, città martire che ha cessato di esistere, senza più Azov. Ma intanto questa resa introduce un elemento di umanità in una guerra che finora è stata feroce, e senza rispetto per il nemico, e infila una scelta ragionevole – che senso aveva resistere ancora ? – in uno scenario in cui la ragionevolezza è sopraffatta da altro. Allargare la Nato, aumentare l’invio di armi e di armi più potenti avvicina o allontana la fine del conflitto ? Vincere vuol dire umiliare il nemico o uscire dal conflitto con dignità ? Quali rinunce sono possibili e realistiche per l’aggredito e per l’aggressore ? Resta un buco nero, in quei sotterranei. Le voci -russe- sull’esistenza di un laboratorio chimico e sulla presenza di militari di paesi Nato. Il momento della verità è vicino, perché o ci sono o non ci sono, era un bluff di propaganda. E vedremo se qualcuno resta, come un giapponese in un’isola del Pacifico. E resta una perplessità: “Mariupol è ora in rovina dopo un assedio russo che è costato la vita a migliaia di civili”, scrive Open. Buona parte dell’informaziona italiana ha ieri evitato di notare che il simbolo dello stragista di Buffalo era lo stesso sole nero nazista che sta sullo sfondo del simbolo di Azov, vanno di fretta. Ma forse potevano aggiungere che ieri a Mariupol hanno riaperto le scuole. Certo, faranno lezioni in russo, certo insegneranno la storia a modo loro, certo all’ingresso ci sono le bandiere secessioniste e quella russa non quella ucraina. Ma gli scolari sono veri, e forse era una piccola notizia, oppure gli altri non esistono, sono tutti figli di Putin, sono occupatori del paese in cui sono nati ? Mi ha divertito amaramente quel retroscena del voto devoto all’Eurovision. L’orchestra vincitrice – in rete c’era perfino il video di un resistente dell’Azovstal che canticchiava il refrain nei sotterranei – in realtà era arrivata seconda alle selezioni ucraine. Solo che la vincitrice, una cantante, si era macchiata di un viaggio in Crimea, per un matrimonio di conoscenti. E non si viaggia tra gli altri, che non esistono, squalificata. Fine della retorica, inevitabile quando si è aggrediti, e difficile da evitare quando si va alla guerra pretendendo di non saperlo. .

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scrive Giorgio Bianchi

SALVATE IL SOLDATO GIANNINI.

Massimo Giannini si è aggiudicato il premio Goebbels per la miglior propaganda 2022.

Motivazione della giuria: l’aver saputo racchiudere in meno di tre righe un condensato di manipolazione della verità e spudoratezza che ha completamente ridefinito i concetti di malafede e faziosità.

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Al gran bazar delle armi – Alberto Negri

 

Il destino dei curdi – e non solo il loro – si gioca al gran bazar delle armi, iniziato in queste ore tra Usa e Turchia per aggirare il veto di Erdogan all’ingresso nella Nato di Svezia e Finlandia che simpatizzano per il Pkk, da Ankara considerato organizzazione terroristica come l’Ypg, le brigate curde siriane di Kobane e del Rojava che nel 2014 condussero eroicamente la lotta al Califfato al posto nostro, un po’ come gli ucraini la stanno facendo oggi con la Russia occupante.
Ma tutto sembra dimenticato, come ci siamo scordati i 15mila morti curdi e le promesse mancate dell’Occidente di protezione dalla repressione turca: nell’autunno 2019 Trump ritirò le truppe dal confine siriano lasciando a Erdogan mano libera per il massacro. La forza di interposizione che sostituì allora gli americani era russa. Sono bastati 70 giorni per diventare tutti ucraini ma non 70 anni per diventare tutti curdi o palestinesi. L’amara battuta circola in Medio Oriente dove Turchia e Israele hanno sempre carta bianca.

LA TURCHIA, MEMBRO Nato dal 1952, è di nuovo in guerra contro i curdi, con numerose vittime tra i civili, ma l’Alleanza atlantica fa finta di non saperlo. Il 17 aprile Ankara ha lanciato una nuova campagna militare nel Kurdistan iracheno e nel Rojava siriano. “Dobbiamo sradicare il Pkk”, è la motivazione di Erdogan che con questo slogan raccoglie consensi in patria oltre il suo partito. In realtà gli aerei e i droni curdi – gli stessi in azione in Ucraina contro i russi – colpiscono oltre ai curdi, civili compresi, anche la maggioranza yezida di Sinjar, che fu sottoposta ad atroci massacri e stupri dai jihadisti dell’Isis. È stata attaccata pure Kobane, roccaforte anti-califfato dove entrai nell’ottobre 2014, allora occupata per il 70% dai jihadisti appoggiati da Ankara, che in Erdogan hanno oggi a Idlib il loro referente principale.
Ma non erano questi curdi i combattenti che avevamo celebrato come “i nostri eroi”? Evidentemente non lo sono più. Anzi, noi a Erdogan diamo un solido aiuto bellico. Al punto che i raid turchi avvengono anche attraverso gli elicotteri italiani Mangusta (gli AgustaWestland AW129) prodotti in Turchia su licenza dell’italiana Leonardo.
Di tutto questo naturalmente il premier Draghi (che ieri ha ricevuto la leader finlandese Sanna Marin) non intende parlare come non parla che in maniera generica dell’invio di armi in Ucraina, su cui riferisce oggi in Parlamento davanti a deputati e senatori costretti a fare solo da spettatori al suo intervento.

MA A ERDOGAN NON BASTA un silenzio complice: per spazzare via i curdi, vuole altre armi. Il sultano – che ricatta l’Europa con i profughi e ha visto esplodere l’inflazione al 70% con la lira turca ai minimi su dollaro ed euro – sta alzando il prezzo del veto al nuovo allargamento della Nato. Ankara, oltre alla fine dell’appoggio ai curdi e dell’ospitalità a presunti membri del Pkk, chiede che venga tolto l’embargo alla vendita di armi deciso da Svezia e Finlandia dopo gli attacchi di Ankara contro i curdi siriani. A questo si aggiunge che la Svezia ha accolto esponenti dell’organizzazione di Fethullah Gulen (in esilio in Usa), considerato da Erdogan responsabile – insieme agli stessi americani – del golpe fallito del 14 luglio 2016…

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L’ambigua debolezza degli Stati uniti – Gian Giacomo Migone

 

Di ritorno da New York, sono e resto convinto che la guerra ucraina sia il sintomo di un pericolo globale che si alimenta della debolezza dei contendenti in campo.
L’aggressore russo e il presunto beneficiario statunitense. Non certo l’Europa, che vede una parte del proprio territorio nuovamente ridotto a teatro di orrori e distruzioni causate da un conflitto a cui dovrebbe, e forse potrebbe, porre fine.
Basta osservare la propaganda di guerra che scaturisce da Washington e da Mosca e che si diffonde in tutta Europa, fino a diventare ragione di esistenza e di resistenza a Kiev e dintorni. “Cinque milioni di baionette”, “li respingeremo sul bagnasciuga”, parole che rimbombano nella memoria di alcuni di noi e che si ritrovano trasformate nelle paginate o nei telegiornali che evocano effimere vittorie e sconfitte sul terreno conteso, ma che nulla garantiscono, se non la continuazione delle sofferenze dei popoli colpiti.
Sulla debolezza di Mosca non occorre soffermarsi, se non come spiegazione di un aggressività volta a compensare un’umiliazione storica che scaturisce dall’involuzione di un sogno rivoluzionario e dalla disintegrazione parziale del proprio territorio nazionale; di cui l’ex alleato della Seconda Guerra Mondiale, poi avversario-connivente nel contesto di quella fredda, ha approfittato per rianimare un proprio strumento militare. “Out of area or out of business”, fuori area o fuori uso, è diventata la parola d’ordine della Nato, dopo la caduta del Muro di Berlino.
Meno ovvio, ma più inquietante, per i suoi effetti in Europa, è il declino tutto politico degli Stati Uniti. Partiamo da alcune constatazioni immediate. Quella guerra in casa nostra, che giustamente domina l’agenda politica europea, figura si e no al terzo o al quarto posto di quella dell’inquilino della Casa Bianca. Incombe sulla presidenza Biden l’esito delle Midterm Elections, in scadenza a novembre, che potrebbero consegnare il Congresso ai repubblicani e preludere alla loro conquista della presidenza nel 2024 (con o senza Trump quale candidato). A questo fine, gli effetti economici e sociali di un’inflazione galoppante che rischia di tradurrsi in stagnazione, la volontà della Corte Suprema di menomare il diritto di aborto, la più recente strage razzista in un supermercato, persino le difficoltà di approvigionamento di alcuni beni alimentari essenziali per neonati, dominano il dibattito politico assai più della guerra lontana, ormai definita “by proxy”, ovvero senza vittime statunitensi. Una guerra la cui durata – non a caso favorita dagli interventi verbali di Biden e da quelli militari contro flotta e generali russi – è comunque destinata ad accrescere le tensioni con alleati europei, costretti ad assumersi i costi più rilevanti delle sanzioni e a subire le limitazioni di sovranità determinate da un rilancio della Nato. L’apparente successo delle domande di adesione di Finlandia e Svezia ne rivela le contraddizioni interne attraverso il veto di Erdogan, con una motivazione che enfatizza l’importanza di uno status di neutralità che ha consentito loro una sacrosanta protezione delle minoranze curde.
Questi segnali contingenti del declino dell’egemonia degli Stati Uniti si inseriscono in una tendenza di ormai lunga durata, soltanto occultata da quella più evidente dell’avversario-connivente sovietico. Da una successione di vittorie militari, a partire dall’inizio della guerra nel Vietnam, in tempi più recenti in Iraq, Afghanistan, Libia sono scaturite altrettante sconfitte politiche. Le dichiarate intenzioni di esportare democrazia e diritti si sono tradotte in regimi che ne sono ugualmente privi, utilizzando metodi e mezzi simili a quelli denunciati nei propri avversari…

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L’Occidente e il vizio di considerarsi superiore – Tomaso Montanari

 

I nostri valori. Nostri dell’Occidente, si intende. La retorica della guerra ruota tutta intorno a questa formula magica. Siamo in guerra per quelli, ci dicono. Il Corriere della sera scrive che «la resistenza ucraina ha risvegliato i valori occidentali» e Mario Draghi ha detto pochi giorni fa, a Capitol Hill, che siamo di fronte ad «una grande sfida per i valori al centro della democrazia. […] Non è in gioco solo l’integrità territoriale dell’Ucraina, la sua sovranità, la sua indipendenza. Questo è un attacco al sistema internazionale basato sulle regole che abbiamo costruito insieme dopo la Seconda guerra mondiale». Il messaggio è molto chiaro: l’Occidente è il custode non solo dell’ordine mondiale, ma anche della sua etica. La nostra supremazia sull’umanità è implicita. Il nostro interesse è legittimo: chiunque lo minacci non è solo un nemico. È un “cattivo”.

Questa cornice retorica suggerisce che il conflitto in Ucraina non sia un episodio, ma l’inizio di una fase in cui l’Occidente si metta in guerra con il resto del mondo. Il fatto che la maggioranza dell’umanità (guidata da Cina e India) abbia preferito di fatto schierarsi (nel rifiuto delle sanzioni, e nell’opposizione alle inchieste sui crimini di guerra russi) con un tiranno sanguinario come Putin e contro le democrazie occidentali dovrebbe farci capire come siamo percepiti. Del resto, siamo noi ad annunciare guerra al mondo…

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La lingua biforcuta della guerra – Marco Revelli

 

Finalmente alcune verità da qualcuno di noi ripetute fin dall’inizio di questa maledetta guerra ma a lungo segregate dietro il muro di propaganda bellica, iniziano faticosamente a filtrare persino nei Palazzi della politica. E cioè che la pace (non più parola proibita) è desiderabile hic et nunc e da perseguire come obiettivo prioritario sul terreno della diplomazia. Che la guerra, tanto più quando si trasforma in “guerra d’attrito” come sta avvenendo, fa male a entrambe i contendenti e andrebbe fermata quanto prima. Che fa male anche, e in misura crescente, all’Europa, la quale non ha gli stessi interessi degli Stati uniti, che quella guerra vorrebbero prolungarla, ma al contrario ne paga pesantemente il prezzo, in termini economici, politici e geopolitici, come ha fatto capire esplicitamente Macron e più timidamente (molto più timidamente) Draghi. E poi quello che sanno tutti fin dall’inizio ma non si poteva neppure accennare, e cioè che la tragedia ucraina potrebbe – anzi dovrebbe – essere fermata attraverso un colloquio diretto tra Biden e Putin (la fatidica telefonata evocata o invocata da Draghi) perché si tratta in realtà, dietro la velleità neocoloniale della Russia, di un confronto “di potenza”, o “tra potenze” che va oltre l’Ucraina. E che è tanto più pericoloso in quanto si tratta di potenze deboli, in declino (una già declinata, la Russia, l’altra declinante, gli Usa), atterrite dal rischio dell’impotenza e per questo incapaci di cedere qualcosa (quel di più di concessione all’altro per permettergli una via d’uscita nel compromesso). Verità che i nostri media hanno dovuto mediare attraverso la citazione delle parole di Chomsky (in occasione della recente pubblicazione del suo Perché l’Ucraina), perché l’avevano negata disperatamente negli oltre settanta giorni passati, ma che appare sempre più difficile da nascondere…

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Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

3 commenti

  • ROSA DALMIGLIO

    premesso che 30 anni fà un colonnello della Nato traduttore dell’Ambasciatore Americano a Roma, mi invitò ad incontrare un grande esperto di Merchand-bank con un piano Marchall (era un suo allievo)su 7 Paesi Africani
    era scoppiata Tangentopoli mentre gli USA cercavano come la Cina persone capaci ed oneste, consapevoli che la RUSSIA ed i Paesi dell’EST erano economicamente arretrati (a mio avviso di almeno 20 anni)
    si poteva pagare solo in moneta Russa (come oggi)anche se personalmente ero stata invitata dal Presidente UNESCO-Russia e dal Ministro della Cultura Russa
    500 delegati io rappresentavo la CINA, nessun Italiano allora, nessun Italiano oggi
    ho posto una sola condizione sia a Pechino che a Saint Petersburg (nella stessa Università dove studiavano i figli del Presidente Putin, bastava attraversare il fiume Neva e si era in Finlandia
    avrei lavorato sempre con la Stampa presente e la XINHUA NEWS AGENCY era già presente in 100 Stati, con i partner Russi avrebbero pubblicato i report ,stampati i libri che ora l’UNESCO a messo in rete
    ho seguito il primo progetto Cinese la riconversione della Norinco fabbrica d’Armi con 800000 dipendenti
    allora non c’erano i social , la stampa permetteva un dialogo anche con il Patriarca assente ai Congressi Interreligiosi Mondiali ma presente a Pechino, Maggio 2014 incontro realizzato fra la Chiesa Ortodossa e Xi Jinping (grazie a Putin) forse Papa Francesco con la riforma del Giornalismo per la Pace, dovrebbe riformare anche i Diplomatici (vale anche per il nostro Governo filoamericano )
    non si inviano armi se si vuole la PACE-per adesso ha vinto BILEN il burattinaio ….

  • State facendo un lavoro eccellente e preziosissimo. Grazie.
    Sull’argomento degli affari per la ricostruzione io segnalerei anche l’articolo di Fabio Mini “Affari di guerra e di ricostruzione” apparso su Il fatto quotidiano del 14 maggio 2022. Eccolo: https://infosannio.com/2022/05/14/affari-di-guerra-e-di-ricostruzione/

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